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Legislazione regionale e obblighi vaccinali: alcune precisazioni da parte della Consulta (3/2019)

Sentenza n. 137/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 06/06/2019 – Pubblicazione in G. U. 12/06/2019, n. 24

 

Motivo della segnalazione

Con la sentenza che qui si segnala, la Corte costituzionale è andata a occuparsi della conformità a Costituzione di quanto previsto dagli artt. 1, commi I e II; IV e V, nonché dell’intero testo, della l.r. Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per l’esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari).

Il Presidente del Consiglio dei ministri, nell’impugnare la legge regionale in questione, ha indicato quali parametri di legittimità il principio d’uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., il principio della riserva di legge statuito dall’art. 32 Cost., oltre a quanto previsto dall’art. 117, III comma, Cost., in ordine alla fissazione dei principi fondamentali relativi alla tutela della salute, e a quanto dal II comma della medesima disposizione, ove, alla lett. q), si prevede che sia di competenza riservata statale quel che riguarda la profilassi internazionale.
La Consulta, nel proprio iter argomentativo, affronta prima di tutto la questione relativa all’incostituzionalità dell’intera legge regionale impugnata. Essa viene giudicata inammissibile, giacché il ricorso, sul punto, è generico e fa riferimento al carattere omogeneo della legge de qua, senza addurre ulteriori argomentazioni. Viene quindi rilevato come sia sì possibile valutare l’incostituzionalità di un intero testo legislativo connotato da omogeneità, ma le censure di costituzionalità devono essere comunque formulate in maniera precisa e motivata, anche con riferimento all’incostituzionalità dell’intera legge (punto 2 del considerato in diritto).
Vista la stretta interconnessione, la Corte decide di affrontare congiuntamente le questioni relative agli artt. 1, comma I, IV e V, della l.r. Puglia 27/2018, promosse in riferimento agli artt. 3, 32, 117, II comma, lettera q), in materia di profilassi internazionale, e 117, III comma, Cost., in materia di tutela della salute. La questioni non sono fondate; la Consulta ha infatti valutato come scorretto il presupposto interpretativo da cui prende le mosse l’argomentazione della parte ricorrente. Le doglianze «si fondano sul presupposto che le disposizioni impugnate impongono obblighi vaccinali ulteriori rispetto a quelli stabiliti dal legislatore statale, sulla base di deliberazioni della Giunta regionale e con previsioni assistite da sanzioni amministrative che ne rafforzano la cogenza. Di qui discenderebbe, anzitutto, la violazione dei limiti alle competenze legislative regionali lamentata nel ricorso e la conseguente interferenza con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale in materia di tutela della salute, nonché con la materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato.» (punto 3.3 del ‘considerato in diritto’). Ai fini dell’individuazione della materia impugnata, però, è essenziale che si tenga conto delle esigenze, della ratio e della finalità della disposizione impugnata, evitando di prendere in considerazione aspetti marginali ed effetti riflessi e identificando «correttamente e compiutamente» l’interesse tutelato.
La Corte riscontra nelle disposizioni oggetto di impugnazione degli elementi che inducono a ricondurre la disciplina de qua al novero dell’organizzazione sanitaria: quest’ultima è parte integrante della competenza regionale in materia di tutela della salute. La Puglia ha esercitato il proprio potere legislativo «in modo non eccentrico» rispetto a quanto stabilito dal d.l. 73/2017 (convertito, con modificazioni, in l. 119/2017) e dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale. Inoltre, le disposizioni oggetto di censura si concentrano sulle vaccinazioni di una particolare categoria di soggetti: esse non sono rivolte, infatti, alla generalità dei cittadini, ma «agli operatori sanitari che svolgono la loro attività professionale nell’ambito delle strutture facenti capo al servizio sanitario nazionale, allo scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura : anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività». (ibidem). Sul punto, la Corte cita anche l’orientamento delle società medico-scientifiche, impegnate nel segnalare l’urgenza di porre in essere pratiche volte a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero, per garantire cure sicure, anzitutto attraverso un corretto comportamento da parte degli operatori sanitari. In questa prospettiva – sottolinea la Consulta – la Puglia non ha voluto incidere sull’ambito degli obblighi vaccinali, ma su quello dell’accesso alle strutture di cura. La finalità del provvedimento è la prevenzione delle epidemie ospedaliere: secondo la Corte, «può ragionevolmente giungersi a un approdo esegetico che valorizza la genesi delle disposizioni impugnate, il loro dato testuale, il loro contenuto, la loro ratio oggettiva e la loro finalità come espressione della competenza della Regione in materia di organizzazione del servizio sanitario e, dunque, di tutela della salute ex art. 117, terzo comma, Cost.» (ibidem). Per la Corte, non possono ritenersi violati neppure gli altri parametri costituzionali (artt. 3 e 32 Cost.) e infondata è pure la censura formulata con riferimento all’art. 5 della legge regionale.
Diverso è l’esito dello scrutinio relativo alla censura relativa all’art. 1, II comma, in riferimento agli artt. 3, 32, 117, III comma, Cost.: essa giudicata fondata.
La disposizione impugnata statuisce che «in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente, valutano l’opportunità di prescrivere vaccinazioni normalmente non raccomandate per la generalità degli operatori». Secondo la parte ricorrente la disposizione in questione consente alle direzioni sanitarie di imporre delle vaccinazioni «in violazione dei limiti di competenza stabiliti dall’art. 117, terzo comma Cost., in violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e in violazione dell’art. 32 Cost. perché, senza prevedere che siano adeguatamente individuati a livello di fonte primaria i presupposti, il contenuto e i limiti dell’obbligo vaccinale, trasgredisce alla riserva di legge imposta da tale disposizione costituzionale nella materia dei trattamenti sanitari obbligatori.» (punto 4 del ‘considerato in diritto’).
In questo caso, come osserva la Corte, il verbo utilizzato («prescrivere») e l’oggetto della prescrizione («vaccinazioni normalmente non raccomandate») non consentono interpretazioni diverse da quella proposta dall’Avvocatura generale dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri.
La norma regionale finisce per attribuire alle direzioni sanitarie un potere «molto ampio e indefinito»; si tratta, peraltro, di un potere che non è delimitato neppure dal fatto che la disposizione censurata preveda che le direzioni possano farlo solo «in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali». Come rileva la Consulta, in questo modo si finirebbe per attribuire alle direzioni sanitarie un potere d’ordinanza contingibile e urgente. Però un potere del genere appartiene, sulla base della normativa vigente, ad altra autorità (il sindaco, per le emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, come disposto dall’art. 50, comma V, del Testo unico enti locali) e comunque ha bisogno di poggiare su una previsione legislativa statale (l’art. 98, III comma della l. 388/2000 prevede che «Le regioni possono, nei casi di riconosciuta necessità e sulla base della situazione epidemiologica locale, disporre l’esecuzione della vaccinazione antitifica in specifiche categorie professionali»). L’art. 1, II comma, della l.r. Puglia 27/2018 è quindi incostituzionale perché viola tutti i parametri costituzionali invocati.
La fonte regionale, in primo luogo, va a invadere un ambito riservato alla competenza statale, perché inerente ai princìpi fondamentali di tutela della salute: la Consulta aveva già avuto modo di affermare che l’art. 117, III comma, Cost., riserva allo Stato «il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili» (sentenza n. 5 del 2018; analogamente sentenza n. 169 del 2017).
In secondo luogo, essa va a incidere su un’area attinente «alla riserva di legge statale in materia di trattamenti sanitari di cui all’art. 32 Cost., riserva che, a sua volta, è connessa al principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost.» (così il punto 4.2 del ‘considerato in diritto).

Osservatorio sulle fonti

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