Sentenza n. 108/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 09/05/2019 – Pubblicazione in G. U. 15/05/2019
Motivo della segnalazione
La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni di una legge regionale che, autoqualificandosi come legge di interpretazione autentica, incide retroattivamente in peius sul meccanismo di attualizzazione dei vitalizi degli ex consiglieri regionali, affronta la questione della distinzione fra normative di interpretazione autentica (pacificamente retroattive) e normative innovative incidenti sul legittimo affidamento dei soggetti beneficiari di un'attribuzione patrimoniale. Nel caso di specie, essa ritiene che si tratti di una disciplina innovativa, la cui retroattività è ritenuta ragionevole in considerazione del sottostante bilanciamento operato dal legislatore.
Nel dettaglio, gli articoli della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4, recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti conseguenti», erano stati impugnati nella parte in cui «applicano con efficacia retroattiva la nozione di “valore attuale medio”, prevedendo l’obbligo di restituzione di somme e/o quote del Fondo Family già percepite legittimamente da ex consiglieri regionali sulla base della legge regionale 21 settembre2012, n. 6». Il giudice rimettente lamentava che, sotto le mentite spoglie di un’interpretazione autentica, le censurate disposizioni della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 avrebbero inciso retroattivamente sulle operazioni di calcolo della cosiddetta “attualizzazione” della parte di assegno vitalizio eccedente la misura del 30,40 per cento dell’indennità parlamentare lorda. In particolare, esse avrebbero disposto «con efficacia retroattiva» la sostituzione dei parametri e dei criteri individuati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale con la nozione di «valore attuale medio», prevedendo altresì, a carico degli ex consiglieri regionali interessati, l’obbligo di restituire le somme già percepite e/o le quote del fondo finanziario già attribuite sulla base dei criteri contenuti nelle citate delibere. Così disponendo, si sarebbero poste in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché avrebbero inciso in modo irragionevole sul legittimo affidamento riposto dai destinatari delle disposizioni censurate nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto che non può essere leso da disposizioni retroattive, laddove esse trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti.
La Corte rileva innanzitutto che l’intervento legislativo oggetto di censura si qualifica, a partire dal titolo, quale «interpretazione autentica» di quanto disposto nell’art. 10 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, in tema di “attualizzazione” delle quote di assegno vitalizio eccedenti il limite del 30,40 per cento dell’indennità parlamentare lorda, ed esamina quindi i contenuti di tale intervento per ricostruirne la ratio. In particolare, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 stabilisce che il termine «valore attuale», contenuto nel citato art. 10, «dal momento di entrata in vigore» della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 «si interpreta nel senso che esso fa riferimento al “valore attuale medio”»; l’art. 2 elenca direttamente i parametri applicativi da utilizzare per la determinazione del valore attuale medio, mentre l’art. 1, comma 2, stabilisce che l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale provveda, secondo questi parametri – «applicati secondo criteri di ragionevolezza» – alla nuova quantificazione degli assegni, adottando tutti i provvedimenti conseguenti; l’art. dispone dettagliatamente in tema di «restituzioni e recuperi» a carico dei consiglieri che abbiano beneficiato dei più favorevoli criteri di calcolo basati sul «valore attuale»; l’art. 4 prevede la complessiva rideterminazione, in base ai nuovi criteri, delle modalità di assegnazione ai consiglieri delle quote del cosiddetto “Fondo Family”. Pertanto, “con tale complessivo intervento, il legislatore regionale ha inteso dunque incidere sugli effetti della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, tenendo conto – come si legge nella relazione al disegno di legge – del fatto che l’applicazione dei criteri e dei parametri di calcolo del «valore attuale» dei vitalizi prescelti dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale aveva condotto a quantificazioni attestate su cifre elevate, determinando, tra l’altro, non positive reazioni dell’opinione pubblica”. Premesso che “costituisce appunto oggetto della presente questione di legittimità costituzionale il verificare se tale nuova disciplina, anziché ragionevole interpretazione autentica del precedente assetto legislativo, si configuri quale intervento recante una normativa retroattiva che trasmoda in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate sulla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, e perciò determini, in contrasto con l’art. 3 Cost., la lesione del legittimo affidamento maturato dai destinatari delle previsioni di quest’ultima” (cons. n. 2), la Corte giunge alla conclusione che la questione stessa non è fondata.
Quanto ai fondamenti della decisione, per la Corte assume innanzitutto rilievo “la natura dell’intervento che il legislatore regionale ha operato con la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014: in concreto “è necessario stabilire se la legge regionale in questione contenga realmente un’interpretazione autentica di quanto previsto dall’art. 10 della precedente legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, oppure se essa rechi una disciplina che retroattivamente innova criteri e modalità di quantificazione degli assegni vitalizi attribuiti ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol”.
Pur ricordando di essersi “talvolta espressa nel senso della possibile assimilazione, quanto agli esiti dello scrutinio di legittimità costituzionale, tra disposizioni di interpretazione autentica – retroattive, salva diversa volontà esplicitata dal legislatore stesso – e disposizioni innovative con efficacia retroattiva (da ultimo, in tal senso, sentenza n. 73 del 2017)” la stessa Corte soggiunge che “non deve tuttavia trascurarsi che, in relazione a leggi che pretendono di avere natura meramente interpretativa, la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pur non dirimente, dell’irragionevolezza della disciplina censurata (di nuovo sentenza n. 73 del 2017 e, in particolare, sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011)”. “In direzione opposta”, si rileva altresì che “la natura realmente interpretativa della disciplina in esame può non risultare indifferente ai fini dell’esito del controllo di legittimità costituzionale, laddove sia censurata l’irragionevolezza della sua retroattività”: infatti, “tale natura è rilevante, in particolare, quando il principio costituzionale asseritamente leso dall’intervento legislativo sia quello dell’affidamento dei consociati nella certezza e nella stabilità di un’attribuzione (nel caso di specie patrimoniale) disposta in via legislativa. Infatti, se l’interpretazione imposta dal legislatore consiste effettivamente nell’assegnare alle disposizioni interpretate un significato normativo in esse già realmente contenuto, cioè riconoscibile come una delle loro possibili e originarie varianti di senso, questo può deporre, sia per la non irragionevolezza dell’intervento in questione, sia nella direzione della non configurabilità di una lesione dell’affidamento dei destinatari (ancora sentenza n. 73 del 2017; sentenza n. 170 del 2008)” (cons n. 4.1).
Ciò premesso, la Corte ritiene che le disposizioni censurate “non possono qualificarsi come di interpretazione autentica”, poiché, “nonostante l’auto-qualificazione contenuta nel titolo, esse non hanno realmente l’obiettivo di chiarire il senso di disposizioni preesistenti, ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla disposizione (ex multis, sentenze n. 132 del 2016, n. 160 del 2013 e n. 209 del 2010; ordinanza n. 92 del 2014)”. In realtà. secondo la Corte “l’art. 1 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, anziché interpretare il citato art. 10, introduce nuovi criteri per l’attualizzazione”. Infatti, “nella legge più recente, l’individuazione dei criteri e delle modalità per la determinazione del «valore attuale medio» non è più rimessa alla discrezionalità dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale”: “tali criteri e modalità vengono direttamente previsti dall’art. 2 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, e, soprattutto, si tratta di criteri diversi da quelli precedenti” e all’ufficio di presidenza è soltanto imposto di provvedere, in base ad essi, alla «nuova quantificazione». Si tratta perciò “di una disciplina non già di mera interpretazione della precedente, ma innovativa di quest’ultima” (cons. n. 4.2), oltre che avente natura retroattiva (cons. n. 4.3).
Giunta a questo punto del ragionamento, la Corte ricorda che la sua costante giurisprudenza “afferma che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, costituisce principio fondamentale di civiltà giuridica”; e che “esso, tuttavia, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., riservata alla materia penale”: “ne consegue che il legislatore, nel rispetto di tale disposizione costituzionale, può approvare disposizioni con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 170 del 2013)”; “le leggi retroattive, in particolare, devono trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (così, da ultimo, sentenza n. 73 del 2017)” (cons. n. 5).
Subito dopo, si rileva che “tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all’ammissibilità di leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente, in questa sede – nell’ambito dei principi e interessi incisi dall’efficacia retroattiva dell’intervento legislativo regionale – l’affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata”, avente copertura costituzionale nell’art. 3 Cost. e «principio connaturato allo Stato di diritto» (sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e n. 160 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010): esso “è da considerarsi ricaduta e declinazione “soggettiva” dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza del diritto”.
D’altro canto, la Corte ricorda che, sempre secondo la sua giurisprudenza, il legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica «è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali», fermo restando che le disposizioni legislative retroattive non possono comunque «trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti» (sono richiamate le sentenze n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016; n. 149 del 2017).
Tutto ciò premesso, per la Corte “va sottoposta a stretto scrutinio di ragionevolezza una legge regionale che intervenga retroattivamente a ridurre attribuzioni di natura patrimoniale, come accade nel caso in esame per le parti “attualizzate” degli assegni vitalizi, e imponga perciò di restituire somme (di denaro) e quote (di fondo finanziario) già conferite” (scrutinio che «impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà»: è richiamata la sentenza n. 173 del 2016, “in fattispecie analoga ma non sovrapponibile, poiché relativa alla materia previdenziale”). “In altri termini, è richiesta non già la mera assenza di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l’effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo, poiché la normativa retroattiva incide sulla «certezza dei rapporti preteriti» nonché sul legittimo affidamento dei soggetti interessati (sentenza n. 432 del 1997)”. In generale, “un tale rigoroso controllo deve verificare, in primo luogo, se sussistano solide motivazioni che hanno guidato il legislatore regionale, e se esse trovino, appunto, «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» (ex plurimis, sentenze n. 73 del 2017, n. 132 del 2016 e n. 69 del 2014), anche in considerazione delle circostanze di fatto e di contesto entro cui l’intervento legislativo è maturato”; e “ove tale preliminare esame fornisca esito positivo, deve essere inoltre accertato se il risultato di tale intervento non trasmodi comunque in una regolazione arbitraria di situazioni soggettive, in lesione del legittimo affidamento dei destinatari della disciplina originaria, e perciò, anche sotto questo profilo, dell’art. 3 Cost.”. (cons. n. 5).
Lo svolgimento di tale controllo nel caso di specie, anche sulla scorta di quanto afferma la relazione della I Commissione legislativa del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige al disegno di legge porta a rilevare innanzitutto “che obiettivo del legislatore regionale è quello di «ridurre il trattamento economico corrisposto» in tema di quota “attualizzata” degli assegni vitalizi, ancorato dalla disciplina precedente «a parametri che si sono rivelati non consoni a criteri di equità e ragionevolezza e che si discostavano da una valutazione che avrebbe dovuto riferirsi a “valori medi” ed essere in linea con esigenze di contenimento della spesa pubblica»”.
La Corte individua pertanto “due distinte esigenze”, poste “alla base dell’intervento retroattivo del legislatore regionale”: da una parte, “quella di ricondurre a criteri di «equità e ragionevolezza» gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi” introdotti da precedenti delibere dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale; dall’altra, “quella di provvedere al «contenimento della spesa pubblica»”. Per la Corte “tali motivi di interesse generale si contrappongono ai profili sintomatici dell’asserita irragionevolezza della legge, argomentati dall’ordinanza di rimessione e segnalati anche dalla difesa dell’ex consigliere regionale” (l’erronea auto-qualificazione della legge come legge di interpretazione autentica, la ritenuta non necessarietà di interventi correttivi nella prospettiva della finanza pubblica, la diretta previsione in legge di criteri di calcolo dei vitalizi, che rientrerebbero invece nel dominio della scienza attuariale): essa ritiene “che tali ultimi profili, nel bilanciamento delle opposte esigenze, siano recessivi, a fronte della solida plausibilità, in astratto, delle motivazioni a sostegno dell’intervento di modifica, ricavabili dai lavori preparatori della legge regionale che contiene le disposizioni censurate”. Tale opinione della Corte si fonda innanzitutto su “una ragione legata alla peculiarità della vicenda in questione, in cui l’intervento legislativo retroattivo manifesta la propria natura “riparatrice” e incide su un regime di favore quale la “attualizzazione”, assai peculiare e reso ancor più eccezionale, negli effetti prodotti, dalla scelta di specifici criteri di calcolo”; nonché su “una ragione di carattere più generale a sostegno della ragionevolezza della disciplina censurata”. In concreto “l’intervento legislativo mira a correggere gli effetti di una normativa che aveva complessivamente determinato un ampliamento della spesa pubblica regionale, in controtendenza rispetto alle generali necessità di contenimento e risparmio in quegli stessi anni perseguite dal legislatore statale, a fronte di una crisi economica di ingente (e notoria) portata”: si sottolinea che “al cospetto di interventi legislativi statali che hanno imposto riduzioni generalizzate di risorse e contribuzioni straordinarie al risanamento dei conti pubblici, tutti gli enti facenti parte della cosiddetta finanza pubblica allargata sono stati chiamati, proprio in quel periodo di tempo, a concorrere – secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – all’equilibrio complessivo del sistema e alla sostenibilità del debito nazionale (sulla riconducibilità anche delle Regioni a statuto speciale al sistema di finanza pubblica allargata, da ultimo, sentenza n. 6 del 2019), a prescindere dalla condizione di maggiore o minore equilibrio del proprio bilancio. In tale contesto si spiega, e si giustifica, perché, allo stesso legislatore regionale, la disciplina risultante dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, in combinazione con i criteri di calcolo approvati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, sia apparsa dissonante, e perciò meritevole di modifica” (cons. n. 6).
Per la decisione della questione di legittimità costituzionale, “occorre ulteriormente verificare se, in concreto, l’intervento legislativo in esame abbia leso il legittimo affidamento dei suoi destinatari”. Si ricorda in proposito che, “nel solco di una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che non considera il mero interesse finanziario pubblico ragione di per sé sufficiente a giustificare interventi retroattivi, [...] questa Corte ha infatti già affermato che una disciplina retroattiva non può tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se l’intervento retroattivo sia dettato dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze eccezionali (sentenze n. 216 del 2015 e n. 170 del 2013)”; e ancora che “per verificare se, in concreto, una disciplina retroattiva incida in modo costituzionalmente illegittimo sull’affidamento dei destinatari della regolazione originaria, la giurisprudenza costituzionale attribuisce rilievo a una serie di elementi: il tempo trascorso dal momento della definizione dell’assetto regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato con efficacia retroattiva (sentenze n. 89 del 2018, n. 250 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015), ciò che chiama in causa il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo; la prevedibilità della modifica retroattiva stessa (sentenze n. 16 del 2017 e n. 160 del 2013); infine, la proporzionalità dell’intervento legislativo che eventualmente lo comprima (in particolare, sentenza n. 108 del 2016)”. La Corte ritiene che “da questo angolo visuale, nel caso in esame, assum[a]no importanza alcuni elementi”. In primo luogo, “in termini temporali, è significativo che, ad esempio, il decreto presidenziale con cui l’attore del giudizio a quo si è visto attribuire le somme, poi parzialmente revocate, risalga al 30 ottobre 2013, mentre la legge che ha condotto alla complessiva rideterminazione di queste, con effetto retroattivo, è stata approvata nella seduta del Consiglio regionale del 3 luglio del 2014 – a breve distanza dall’approvazione della precedente – dopo essere stata esaminata dalla I Commissione legislativa dello stesso Consiglio già nelle sedute del 6 e del 16 giugno 2014”. In secondo luogo, “la circostanza che l’intervento del legislatore potesse non risultare del tutto imprevedibile agli occhi dei destinatari interessati – anche a voler prescindere dalla forte reazione dell’opinione pubblica conseguente al diffondersi delle notizie sulla vicenda, e senza considerare che indagini delle magistrature penale e contabile erano nel frattempo iniziate su di essa – è in particolare suggerita dalla singolare formulazione dell’art. 3, comma 2, della stessa legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, pure censurato dal giudice a quo”: “tale disposizione stabilisce testualmente che «[l]e somme liquide, restituite alla data di entrata in vigore della presente legge, sono computate a compensazione parziale o totale delle somme da restituire»”: deve inferirsi che “con essa, il legislatore regionale ha ritenuto necessario dare giuridico riconoscimento, nell’ambito della nuova quantificazione della quota “attualizzata” dei vitalizi e dei conseguenti obblighi di restituzione, alle restituzioni per così dire “anticipate”, evidentemente effettuate in modo spontaneo da alcuni fra i destinatari del provvedimento di attualizzazione: scelte che indeboliscono la tesi dell’imprevedibilità di un intervento di modifica in materia”. Tutto ciò significa che “alla luce di tali due primi criteri, non si è insomma in presenza di un assetto regolatorio adeguatamente consolidato, sia perché esso non si è protratto per un periodo sufficientemente lungo, sia perché la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 è stata approvata in un contesto complessivo non idoneo a far sorgere nei destinatari una ragionevole fiducia nel suo mantenimento (analogamente, sentenza n. 56 del 2015)”. In terzo luogo, in relazione all’ “indice basato sulla proporzionalità dell’intervento legislativo retroattivo”, per la Corte va considerato che la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 non trascura di concedere ai beneficiari degli assegni coinvolti l’accesso a forme flessibili e graduate di restituzione delle somme percepite in eccesso, a seguito dei calcoli effettuati con il nuovo criterio del «valore attuale medio»; nella stessa prospettiva, rileva che l’art. 5 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 abbia concesso ai consiglieri che, all’entrata in vigore della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, esercitarono l’opzione per l’attualizzazione, la possibilità di revocarla con effetto retroattivo, entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta di restituzione (cons. n. 7).
In definitiva, secondo la Corte “le ragioni fin qui enunciate dimostrano la ragionevolezza della normazione retroattiva sul patrimonio dei destinatari e conducono a ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata”. Al contempo, essa sente il bisogno di sottolineare che “resta comunque fermo che si è al cospetto di un intervento legislativo eccezionale, la cui peculiarità, peraltro, deve essere valutata anche alla luce dell’oggetto stesso su cui incide, ossia un istituto di favore a sua volta fuori dall’ordinario” (cons. n. 8).