Alla mezzanotte (CET) del 31 gennaio 2020, dopo un complesso negoziato protrattosi per quasi tre anni, l’evento ormai comunemente noto come “Brexit” si è perfezionato:[1] il Regno Unito è uscito dall’Unione europea. Il 1° febbraio 2020 è entrato in vigore l’Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica (di seguito, «Accordo di recesso »).[2] La presente segnalazione offre una breve sintesi dei contenuti essenziali del suddetto Accordo, dopo alcuni riferimenti all’iter negoziale.
Preme sin d’ora evidenziare che la Brexit non ha corrisposto la cessazione immediata dell’applicazione nel Regno Unito e al Regno del diritto dell’Unione, che, al contrario, continua ad applicarsi a e nel tale Stato (benché, ormai, Stato non membro) in virtù delle disposizioni dell’Accordo di recesso che disciplinano la fase della cd. transizione.
Come si ricorderà, la procedura di recesso – disciplinata dall’art. 50 TUE – aveva preso formalmente avvio il 29 marzo 2017, data in cui il Regno Unito – facendo seguito all’esito della consultazione referendaria sulla permanenza dello Stato nell’Unione del 23 giugno 2016 – ha notificato al Consiglio europeo l'intenzione di recedere. Da quel momento, aveva quindi cominciato a decorrere il termine di due anni che l’art. 50 TUE prevede come lasso di tempo a disposizione dell’Unione e dello Stato recedente per giungere alla conclusione di un accordo di recesso, in assenza del quale il recesso si perfezionerà comunque, con l’immediata cessazione dell’applicazione del diritto UE al suddetto Stato. Nel caso del Regno Unito, il termine di due anni è stato prorogato tre volte, per mezzo di altrettante decisioni adottate – secondo quanto previsto dall’art. 50(3) TUE – dal Consiglio europeo (senza il rappresentante britannico) “d’intesa” (sostanzialmente, su richiesta) dello Stato recedente.[3]
In questo lasso di tempo c’è stato spazio anche per una pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia – che ha deliberato in composizione plenaria – sull’interpretazione dell’art. 50 TUE. Sollecitata da un giudice scozzese circa la possibilità per lo Stato recedente di revocare unilateralmente la notifica dell’intenzione di recedere, la Corte, nella sentenza Wightman,[4] ha colto l’occasione per precisare che “[la] decisione di recedere ricade esclusivamente nella sfera di volontà di tale Stato membro, nel rispetto delle sue norme costituzionali, e dipende quindi unicamente da una sua scelta sovrana” (par. 51); che “l’art. 50 TUE persegue un duplice obiettivo, vale a dire, da un lato, sancire il diritto sovrano degli Stati membri di recedere dall’Unione e, dall’altro, istituire una procedura intesa a consentire che tale recesso si svolga in modo ordinato” (par. 56); e che lo Stato recedente ha diritto “di revocare unilateralmente la notifica [dell’intenzione di recedere], in maniera univoca e incondizionata, mediante comunicazione scritta al Consiglio europeo, dopo che lo Stato membro interessato abbia assunto la decisione di revoca conformemente alle sue norme costituzionali” (par. 75). La revoca della notifica dell’intenzione di recedere può avvenire fintanto che non sia entrato in vigore l’accordo di recesso o, in mancanza, fino a quando non sia scaduto il termine di due anni – eventualmente prorogato – di cui all’art. 50(3) TUE, e deve essere “finalizzata a confermare l’appartenenza dello Stato membro di cui trattasi all’Unione in termini immutati per quanto riguarda il suo status di Stato membro e pone fine alla procedura di recesso” (par. 75). La revoca, ove sia esercitata nel rispetto delle condizioni procedurali ricordate, “pone fine alla procedura di recesso” (par. 74).
L’Accordo di recesso si articola nelle seguenti 6 parti: Disposizioni comuni (artt. 1-8); Diritti dei cittadini (artt. 9-39), Disposizioni relative alla separazione (artt. 40-125), Transizione (artt. 126-132); Disposizioni finanziarie (artt. 133-157); Disposizioni istituzionali e finali (artt. 158-185). All’Accordo si aggiungono tre protocolli (il Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord, il Protocollo sulle zone di sovranità a Cipro, il protocollo su Gibilterra), e nove allegati (I-IX), che sono parte integrante dell’Accordo stesso, come stabilito dall’art. 182 di quest’ultimo.
Non tutte le parti dell’Accordo e i Protocolli sono, tuttavia, già applicabili; le parti seconda e terza (fatta eccezione per alcune specifiche disposizioni) si applicheranno solo al termine della fase di transizione (fissato, attualmente, alla data del 31 dicembre 2020, ma prorogabile: cfr. infra), come anche i Protocolli relativi a Irlanda e Irlanda del Nord e alle zone di sovranità del Regno Unito a Cipro, mentre, al contrario, il Protocollo su Gibilterra (ad esclusione dell’art. 1, sui diritti dei cittadini) cessa di applicarsi alla fine del periodo di transizione (art. 185).
Di seguito vengono brevemente ricostruiti i contenuti principali dell’Accordo, con attenzione particolare alla disciplina della fase di transizione, attualmente in corso, e ai meccanismi di soluzione delle questioni interpretative e delle controversie relative all’Accordo.[5]
Le Disposizioni comuni della prima parte forniscono alcune definizioni e regole generali relative all’ambito, l’interpretazione e l’applicazione dell’Accordo di recesso, che riguardano tutte le parti di quest’ultimo, sia quelle già applicabili sia quelle che si applicheranno post-transizione.
Di particolare rilievo è l’art. 4, rubricato “Metodi e principi relativi agli effetti giuridici, all’attuazione e all’applicazione del presente Accordo”, che fissa il principio secondo cui le disposizioni dell’Accordo e quelle del diritto dell'Unione rese applicabili da quest’ultimo “producono nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che producono nell'Unione e nei suoi Stati membri” (par. 1). A questa regola generale si accompagna l’espressa previsione di due corollari: da un lato, la possibilità per le persone giuridiche o fisiche di “far valere direttamente le disposizioni contenute nel presente accordo o cui il presente accordo rinvia, che soddisfano le condizioni di efficacia diretta a norma del diritto dell'Unione”; dall’altro, l’obbligo del Regno Unito di “provvede[re] ad assicurare la conformità con il paragrafo 1, anche per quanto riguarda il conferimento alle proprie autorità giudiziarie e amministrative dei poteri necessari per disapplicare le disposizioni nazionali incoerenti o incompatibili, attraverso il diritto primario nazionale”. Sempre l’art. 4 prevede che le disposizioni dell’Accordo di recesso “che rimandano al diritto dell'Unione o a sue nozioni o disposizioni sono interpretate e applicate secondo i metodi e i principi generali del diritto dell'Unione” (par. 3), in particolare “conformemente alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea antecedente la fine del periodo di transizione” (corsivo aggiunto); rispetto alla giurisprudenza della Corte successiva alla fine del periodo di transizione, invece, è previsto che le autorità amministrative e giudiziarie del Regno Unito debbano interpretare e applicare l’Accordo “tenendo conto” della suddetta giurisprudenza (par. 5).
La parte seconda dell’Accordo di recesso, che è dedicata ai Diritti dei cittadini, definisce quali cittadini dell’Unione che hanno esercitato la libera circolazione verso il Regno Unito e, viceversa, cittadini del Regno Unito che hanno esercitato tale libertà verso uno degli Stati ancora membri potranno, dopo la fine del periodo transitorio, continuare a godere nello Stato ospitante di un diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione, ossia secondo la disciplina posta dall’Accordo. Il criterio discretivo è, essenzialmente, quello dell’esercizio del diritto di soggiorno in conformità del diritto UE prima della fine del periodo di transizione, purché il soggiorno prosegua dopo tale data (art. 10). La disciplina del diritto di soggiorno ai sensi dell’Accordo di recesso è modellata su quella della Direttiva 2004/38,[6] anche con riguardo al regime di circolazione e soggiorno dei familiari dei suddetti cittadini.
Lo Stato ospitante può esigere che i cittadini interessati e i loro familiari chiedano “un nuovo status di soggiorno che conferisca loro i diritti [di cui alla parte seconda dell’Accordo], unitamente a un documento attestante tale status, eventualmente in formato digitale” (art. 18, par. 1). La medesima disposizione precisa che, in presenza dei requisiti, il richiedente ha diritto a ottenere il riconoscimento dello status di soggiorno e il rilascio del documento che lo attesta; tuttavia, può essere previsto un termine per la presentazione della domanda, ma in ogni caso non inferiore a sei mesi dalla fine del periodo di transizione; inoltre, se la mancata presentazione della domanda entro il termine è giustificata da motivi fondati, le autorità competenti devono consentire all’interessato di poter presentare la domanda entro un “termine supplementare ragionevole”. Nel caso in cui lo Stato ospitante non opti per la procedura su iniziativa dell’interessato, le persone idonee a beneficiare del nuovo status di soggiorno hanno diritto di ricevere “un documento di soggiorno, eventualmente in formato digitale, corredato di una dichiarazione attestante che esso è stato rilasciato in conformità dell’Accordo [di recesso]” (art. 18, par. 4).
Nell’ambito di applicazione della parte seconda dell’Accordo, “è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità ai sensi dell’art. 18, primo comma, TFUE” (art. 12).
La parte terza dell’Accordo, rubricata Separazione, prende in considerazione i diversi settori di attività dell’Unione e, per ciascuno di essi, individua dei criteri per stabilire le regole applicabili ai rapporti giuridici sorti in base al diritto UE prima della fine del periodo di transizione e che sono ancora pendenti dopo la fine dello stesso. Viene altresì previsto che la Corte di giustizia dell’Unione europea manterrà la competenza sui ricorsi proposti dal Regno Unito o nei confronti di esso fino alla fine del periodo di transizione, e parimenti sui rinvii pregiudiziali sollevati dalle corti di tale Stato, avendo riguardo alla data di registrazione presso la Corte del ricorso o del rinvio (art. 86). Quanto ai ricorsi di infrazione, nei quattro anni successivi alla fine del periodo di transizione, la Commissione europea potrà proporli in relazione a violazioni del diritto UE commesse dal Regno Unito prima del periodo di transizione (art. 87). Le sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nell’ambito dei ricorsi e rinvii suddetti sono “vincolanti nella loro totalità” per il Regno Unito e nel Regno Unito (art. 89).
La parte quarta dell’Accordo, dedicata alla Transizione, chiarisce, come anticipato, che la Brexit non ha determinato l’immediata cessazione dell’applicazione del diritto dell’Unione nel Regno Unito e al Regno Unito. Al contrario, il diritto dell’Unione continuerà ad applicarsi – quasi nella sua interezza – nel Regno Unito e al Regno Unito per tutta la durata della fase di transizione, ovvero fino al 31 dicembre 2020 (Accordo di recesso, artt. 126 e 127, par. 1), che corrisponde alla scadenza del quadro finanziario pluriennale in corso. Hanno però già cessato di applicarsi le disposizioni dei Trattati e della Carta dei diritti fondamentali UE (e degli atti adottati sulla base di queste) che riguardano l’iniziativa legislativa dei cittadini europei e il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui il cittadino di uno Stato membro risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (art. 127, par. 1, lettere a); inoltre, al Regno Unito continueranno a non applicarsi le disposizioni dei Trattati e gli atti rispetto ai quali lo Stato beneficiava di un regime di opt-out prima del recesso (ossia, rispetto all’Eurozona, l’acquis di Schengen e lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia), ovvero concernenti cooperazioni rafforzate cui esso non partecipava (art. 127, par. 1, lettere b).
Durante la fase di transizione, “il diritto dell’Unione applicabile [a norma dell’Accordo] produce nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e degli Stati membri, ed è interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione” (art. 127, par. 1). Inoltre “le istituzioni, gli organi e organismi dell’Unione hanno i poteri conferiti loro dal diritto dell’Unione rispetto al Regno Unito e alle persone fisiche e giuridiche residenti o stabilite nel Regno Unito” (art. 131, par. 1); la stessa disposizione precisa che “la Corte di giustizia dell’Unione europea ha giurisdizione in forza dei Trattati”, mentre il secondo paragrafo estende l’applicabilità del primo, nei limiti della transizione, “anche per quanto riguarda l’interpretazione e applicazione [dell’Accordo di recesso]”.
Per quanto riguarda le relazioni esterne, durante la fase di transizione il Regno Unito “può negoziare, firmare e ratificare gli accordi internazionali cui ha aderito a proprio nome negli ambiti di competenza esclusiva dell’Unione, purché tali accordi non entrino in vigore né si applichino durante il periodo di transizione, salvo autorizzazione dell’Unione” (art. 129, par. 4).[7]
Il termine inizialmente previsto quale scadenza del 31 dicembre 2020 potrà essere prorogato, eventualmente, una sola volta, fino a uno o due anni (art. 132), con una decisione del comitato misto, ossia il comitato composto da rappresentanti dell’Unione[8] e del Regno Unito che è responsabile dell’attuazione e applicazione dell’accordo (art. 164).
La parte quinta dell’Accordo di recesso, relativa alle Disposizioni finanziarie, mira ad assicurare che sia l’Unione sia il Regno Unito onorino gli impegni finanziari sorti durante il periodo di permanenza del Regno Unito nell’Unione.
Infine, la sesta e ultima parte, dedicata alle Disposizioni istituzionali e finali, si occupa dell’enforcement dell’Accordo di recesso, in particolare introducendo un organo apposito (il già menzionato Comitato misto ex art. 164) – che “è responsabile dell’attuazione e dell’applicazione [dell’Accordo]” (art. 164, par. 3) e può adottare decisioni “su qualunque questione nei casi previsti [dall’Accordo]”, che “sono vincolanti per l’Unione e per il Regno Unito” e “producono gli stessi effetti giuridici [dell’Accordo]” (art. 166) – , nonché alcuni comitati specializzati (formati anch’essi da rappresentanti dell’Unione e del Regno Unito; art. 165),[9] e alcune procedure ad hoc di risoluzione delle controversie sull’interpretazione e applicazione dell’Accordo (artt. 167-171), alle quali è fatto obbligo al Regno Unito e all’Unione di avvalersi in via esclusiva (art. 168). In primo luogo, è prevista l’attivazione di una consultazione in sede di Comitato misto (art. 169): ove, nei tre mesi successivi alla comunicazione dell’intenzione di avviare la consultazione, non si giunga a una soluzione della controversia, ciascuna parte potrà chiedere la costituzione di un collegio arbitrale, il cui regolamento di procedura è contenuto nell’Allegato IX, parte A, dell’Accordo (art. 172), che emetterà un lodo vincolante per l’Unione e il Regno Unito (art. 175), di regola entro dodici mesi dalla sua costituzione (art. 173, par. 1). Se la controversia portata alla attenzione del collegio arbitrale “solleva una questione d'interpretazione di un concetto di diritto dell'Unione [ovvero] d'interpretazione di una disposizione del diritto dell'Unione”, il collegio – sentite le parti – deve chiedere alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, e la decisione di quest’ultima sarà vincolante per il collegio (art. 174).
Per quanto riguarda la competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi sull’interpretazione dell’Accordo su richiesta degli Stati membri, è previsto che la decisione del giudice di rinvio contenente la questione sia notificata al giudice nazionale (art. 161, par. 1; verosimilmente, ai fini della corretta attuazione degli obblighi interpretativi di cui all’art. 4 dell’Accordo). Un regime speciale è previsto per le questioni interpretative relative alla parte seconda dell’Accordo (Diritti dei cittadini). Infatti, anche i giudici del Regno Unito potranno – ove lo ritengano necessario per emanare la sentenza – sollevare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia nel caso in cui la questione sorga nell’ambito di una causa avviata in primo grado entro otto anni dalla fine del periodo di transizione (art. 158, par. 1); in tal caso, la pronuncia resa in via pregiudiziale produrrà, nel Regno Unito, gli stessi effetti giuridici che essa dispiega, ex art. 267 TFUE, nell’Unione e negli Stati membri (art. 158, par. 2).
Infine, mentre con riguardo agli Stati membri spetta alla Commissione vigilare sulla corretta attuazione della parte seconda dell’Accordo, per il Regno Unito è prevista la creazione di un'autorità indipendente “dotata di poteri equivalenti a quelli della Commissione europea (…), per svolgere indagini di propria iniziativa in relazione a presunte violazioni della parte seconda da parte delle autorità amministrative del Regno Unito e ricevere denunce dai cittadini dell'Unione e dai loro familiari ai fini della conduzione d'indagini” (art. 159).
Venendo ai tre Protocolli - che, come ricordato, sono parte integrante dell’Accordo di recesso -, quello relativo all’Irlanda e all’Irlanda del Nord contiene la soluzione raggiunta per evitare l’introduzione di un “hard border”. A tal fine, si prevede che, dopo la fase di transizione, l’Irlanda del Nord, pur facendo parte dell’area doganale del Regno Unito, e potendo essere inclusa negli accordi di politica commerciale che quest’ultimo concluderà in modo indipendente, rimarrà soggetta all’applicazione di alcune regole di diritto UE (il Codice doganale UE, la legislazione su IVA e accisa, sui requisiti dei prodotti, sulla produzione agricola e il commercio dei relativi prodotti, nonché la normativa sugli aiuti di Stato). La disciplina prevista dal Protocollo si applicherà nei quattro anni successivi alla fine del periodo transitorio, decorsi i quali il Regno Unito dovrà, nei due mesi successivi, consentire all’Irlanda del Nord di esprimersi sul proseguimento dell’applicazione della suddetta disciplina; in caso di risposta negativa, si aprirà un periodo di “cooling off” di due anni.
Il Protocollo relativo a Cipro si applicherà anch’esso a partire dalla fine del periodo di transizione e si occupa della tutela dei cittadini ciprioti che lavorano nelle zone di sovranità del Regno Unito di Akrotiri e Dhekelia.
Infine, il Protocollo relativo a Gibilterra disciplina la cooperazione amministrativa tra Spagna e Regno Unito durante la fase di transizione e fino alla fine della stessa, in particolare con riguardo all’attuazione della parte seconda dell’Accordo.
Come emerge dalla breve disamina svolta, l’Accordo di recesso disciplina solo le modalità del recesso, per assicurare che esso si svolga in modo ordinato, mentre non si occupa delle relazioni future tra Regno Unito e Unione europea.[10] A tal proposito, l’Unione europea e il Regno Unito hanno convenuto una Dichiarazione politica, che accompagna l’Accordo di recesso,[11] tesa a definire “i parametri di un partenariato ambizioso, ampio, approfondito e flessibile che abbraccia una cooperazione commerciale ed economica imperniata su un accordo di libero scambio globale ed equilibrato, attività di contrasto e giustizia penale, politica estera, sicurezza e difesa e settori più ampi di cooperazione”. La Dichiarazione afferma poi che “è evidente intenzione delle due parti sviluppare, in buona fede, accordi che diano attuazione a tali relazioni e avviare il processo formale di negoziazione il prima possibile dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione, affinché detti accordi possano entrare in vigore entro la fine del 2020”. Per quanto riguarda l’Unione, il Consiglio ha autorizzato l’apertura del negoziato sulle relazioni future con il Regno Unito il 25 febbraio 2020, con una decisione con la quale ha contestualmente provveduto a nominare formalmente la Commissione negoziatore per l’Unione e a stabilire le direttive di negoziato.[12]
[1] Una cronologia completa della procedura di recesso del Regno Unito è consultabile all’indirizzo https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-uk-after-referendum/. Una sintesi sul negoziato ex art. 50 TUE con il Regno Unito è reperibile anche sul sito Eur-lex: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM:4301000.
[2] In GU L 29 del 31.1.2020, pp. 7–187. Secondo quanto previsto dall’art. 50 TUE, l’Accordo di recesso è stato concluso dal Consiglio, con Decisione (UE) 2020/135 del 30 gennaio 2020, in GU L 29 del 31.1.2020, pp. 1–6. Si veda anche la «Nota relativa all’entrata in vigore dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica», in GU L 29 del 31.1.2020, pp. 189–189.
[3] Sulle prime due proroghe si rinvia alla segnalazione “La doppia estensione del termine ex art. 50 TUE nella procedura di recesso del Regno Unito dall’Unione europea”, in Osservatorio sulle Fonti 1/19. La terza proroga è stata prevista attraverso la Decisione del Consiglio europeo (UE) 2019/1810, del 29 ottobre 2019, che ha prorogato il termine fino al 31 gennaio 2020.
[4] Sent. 10 dicembre 2018 (Seduta plenaria), causa C-621/18, Wightman, ECLI:EU:C:2018:999.
[5] Sul contenuto dell’Accordo, si vedano anche le slides fornite dalla Commissione europea, all’indirizzo https://ec.europa.eu/commission/publications/eu-uk-withdrawal-agreement-explained_en.
[6] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in GU L 158 del 30.4.2004, p. 77 ss.
[7] Ai sensi dell’art. 3 della Decisione (UE) 2020/135, cit., il Consiglio concede l’autorizzazione solo in presenza di tre condizioni (cumulative): a) il Regno Unito ha dimostrato un interesse specifico a che l’accordo internazionale in questione entri già in vigore o si applichi durante il periodo di transizione; b) l’accordo internazionale in questione è compatibile con il diritto dell’Unione applicabile al Regno Unito e nel Regno Unito conformemente all’articolo 127 dell’Accordo [di recesso] e con gli obblighi di cui all’articolo 129, par. 1, [dello stesso]; e c) l’entrata in vigore o l’applicazione dell’accordo internazionale in questione durante il periodo di transizione non rischia di compromettere un obiettivo dell’azione esterna dell’Unione nell’ambito interessato né di ledere altrimenti gli interessi dell’Unione.
[8] La rappresentanza dell’Unione è affidata alla Commissione: cfr. Decisione (UE) 2020/135, cit., art. 2.
[9] Sono istituiti, in particolare, i seguenti comitati specializzati: a) comitato dei diritti dei cittadini; b) comitato delle altre disposizioni relative alla separazione; c) comitato delle questioni relative all'attuazione del protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord; d) comitato delle questioni relative all'attuazione del protocollo sulle zone di sovranità a Cipro; e) comitato delle questioni relative all'attuazione del protocollo su Gibilterra; e f) comitato delle disposizioni finanziarie.
[10] L’art. 50(2) TUE recita: “L'Unione negozia e conclude con [lo Stato recedente] un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione”).
[11] Tuttavia, la Dichiarazione è stata pubblicata nella serie C della Gazzetta Ufficiale UE, dedicata agli atti non vincolanti, precisamente in GU C 34 del 31.1.2020, pp. 1-16.
[12] Si rimanda, al riguardo, alle informazioni reperibili nella pagina dedicata alla relazioni UE-Regno Unito nel sito ufficiale del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/02/25/eu-uk-relations-council-gives-go-ahead-for-talks-to-start-and-adopts-negotiating-directives/.