Nela sentenza Łowicz, la Grande sezione ha chiarito il diverso compito affidato alla Corte dai Trattati a seconda che essa sia investita di un rinvio pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento, nel contesto di crisi dello stato di diritto negli Stati membri. In linea con la sua giurisprudenza precedente, la Corte ha innanzitutto riaffermato la sua competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale, sulla base dell’art. 19 par. 1 comma secondo TUE, riguardo a misure adottate da uno Stato membro a riforma del proprio sistema giudiziario nazionale e tali da rimettere in questione l’indipendenza dei giudici nazionali. Tuttavia, ha contestualmente chiarito che mentre nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte deve verificare se la misura o la prassi nazionale sia – in linea generale – contraria al diritto dell’Unione, il compito della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, è quello di assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente. Nel caso di specie, la Corte ha quindi ritenuto che le domande pregiudiziali sollevate dai giudici del rinvio e volte a verificare la compatibilità con l’art. 19 par. 1 comma secondo TUE della riforma nazionale sul procedimento disciplinare nei confronti degli appartenenti alla magistratura, dovevano considerarsi irricevibili in quanto non vertevano su un’interpretazione del diritto dell’Unione rispondente ad una necessità oggettiva ai fini della soluzione delle controversie, ma avevano piuttosto un carattere generale. La Corte non ha mancato però di sottolineare come una misura di diritto interno, come quella in questione, non possa in ogni caso impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della facoltà, conferita dall’art. 267 TFUE, di adire la Corte di giustizia.
Con la sentenza Łowicz, la Corte di giustizia ha aggiunto un altro tassello al già nutrito filone giurisprudenziale relativo alla tutela dei valori fondanti dell’Unione di cui all’art. 2 TUE - in particolare, dello stato di diritto - negli Stati membri. Si tratta della quarta sentenza[1] in cui la Corte è stata chiamata a valutare la compatibilità con il diritto dell’Unione delle misure adottate nel 2017 dal legislatore polacco a riforma del sistema giudiziario nazionale.
Infatti, sebbene tale riforma fosse già stata oggetto di una proposta motivata della Commissione ai sensi dell’art. 7 par. 1 TUE[2] - a seguito della quale il Consiglio può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art. 2 TUE - l’elevata maggioranza richiesta in seno al Consiglio e la natura essenzialmente politica della decisione avevano tuttavia impedito che una siffatta procedura fosse in concreto attivata. Tale situazione di stallo e i limitati poteri attribuiti dall’art. 269 TFUE alla Corte di giustizia rispetto alle procedure di cui all’art. 7 TUE avevano quindi portato il giudice dell’Unione a sviluppare ulteriori strumenti per garantire una tutela efficace dei valori fondanti dell’Unione negli Stati membri.
Nella sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses (ASJP), la Corte aveva quindi riconosciuto che l’organizzazione del sistema giudiziario degli Stati membri e, in particolare, le questioni inerenti l’indipendenza dei giudici nazionali che possono essere chiamati a statuire su questioni relative all’applicazione e interpretazione del diritto UE, rientrano nei “settori disciplinati dal diritto dell’Unione” ai sensi dell’art. 19 par. 1 comma secondo TUE, in quanto tale articolo “concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE [e] affida l’onere di garantire il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione non soltanto alla Corte, ma anche agli organi giurisdizionali nazionali” (sentenza ASJP, par.32, corsivo aggiunto). Partendo da tale ricostruzione dell’ambito applicativo della disposizione, la Corte aveva quindi affermato la sua competenza non solo a pronunciarsi attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale – come nella sentenza ASJP -, ma anche a constatare, attraverso il procedimento di infrazione, la violazione degli obblighi discendenti dall’art. 19 par. 1 comma secondo TUE, che impone agli Stati membri di assicurare che i propri organi giurisdizionali rispondano ai requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva, tra cui il carattere di indipendenza. Con la presente sentenza, il giudice dell’Unione ha quindi chiarito le diverse caratteristiche ed i rapporti che intercorrono tra i due strumenti del rinvio pregiudiziale e del procedimento di infrazione, utilizzati dalla Corte per far fronte al deterioramento dei valori di cui all’art. 2 TUE e, in particolare, alla crisi dello stato di diritto negli Stati membri.
La sentenza oggetto della presente nota trae origine da due rinvii pregiudiziali sollevati dal Sąd Okręgowy w Łodzi (Tribunale regionale di Łódź, Polonia) e dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia), nell’ambito rispettivamente di una controversia relativa al versamento da parte dell’Erario di una somma a titolo di dotazione di denaro pubblico a favore della città di Łowicz, e di un procedimento penale in cui il giudice nazionale era stato chiamato a decidere se applicare un’attenuazione straordinaria della pena, prevista dal codice penale polacco, a favore degli imputati. In entrambi i casi, i giudici del rinvio esprimevano il timore che, in conseguenza delle varie riforme legislative intraprese dal legislatore polacco, un procedimento disciplinare avrebbe potuto essere avviato nei loro confronti in ragione delle decisioni che avrebbero potuto prendere, segnatamente di condannare l’Erario al pagamento della somma di denaro e di non applicare l’attenuazione straordinaria della pena a favore degli imputati. Infatti, secondo i due giudici nazionali, con le modifiche introdotte dalla legge del 2017, il Ministro della giustizia, il quale svolgeva ormai anche il ruolo di procuratore generale, aveva acquisito un’influenza determinante sull’avvio e lo svolgimento dei procedimenti disciplinari contro i giudici, tanto che gli organi giurisdizionali disciplinari potevano divenire uno strumento per rimuovere le persone che pronunciavano decisioni non gradite alle autorità nazionali. I giudici polacchi si interrogavano quindi circa la compatibilità con l’art. 19 par. 1 comma secondo TUE di un regime di procedimenti disciplinari siffatto, in quanto tale da pregiudicare la loro indipendenza.
Nel corso della fase scritta del procedimento, i giudici del rinvio avevano ulteriormente informato la Corte di esser stati oggetto di un’indagine preliminare all’avvio di un procedimento disciplinare nei loro confronti, avente ad oggetto i motivi che li avevano indotti a sollevare le questioni pregiudiziali e l’eventuale esistenza di un pregiudizio per la loro indipendenza in quanto i due giudici interessati non avevano adottato le loro rispettive decisioni di rinvio in modo autonomo.
A fronte delle domande pregiudiziali sollevate dai giudici nazionali, L’Erario, il Procuratore generale e il governo polacco avevano fatto valere dinanzi al giudice dell’Unione, da un lato, l’incompetenza della Corte a pronunciarsi, in quanto sia le questioni oggetto del rinvio sia le disposizioni nazionali relative all’organizzazione giurisdizionale nonché ai provvedimenti disciplinari, esulavano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione; dall’altro lato, gli stessi eccepivano l’irricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale, in quanto, in particolare, “le questioni sollevate non presenterebbero alcun rapporto con i procedimenti e l’oggetto delle controversie di cui ai procedimenti principali e avrebbero carattere generale e ipotetico, in quanto i giudici del rinvio non sarebbero chiamati ad applicare, in tali controversie, né le disposizioni nazionali relative al regime disciplinare dei giudici, né l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE” (sentenza Łowicz, par. 39). Inoltre, il carattere ipotetico risultava anche dal fatto che l’avvio di procedimenti disciplinari “apparirebbe, in questa fase, puramente eventuale” (ibid.).
La Corte ha quindi preso in esame le due eccezioni procedurali, statuendo in primo luogo sulla sua competenza a pronunciarsi sulle questioni poste in via pregiudiziale. Il giudice dell’Unione ha ricordato la sua precedente giurisprudenza, ribadendo che “[l]’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE è (…) destinato a trovare applicazione, in particolare, nei confronti di qualsiasi organo nazionale che possa trovarsi a statuire su questioni relative all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione e rientranti dunque in settori disciplinati da tale diritto” (ibid. par. 34). Nel caso di specie, i giudici del rinvio, nella loro qualità di tribunali ordinari polacchi, rientravano nell’ambito di applicazione della disposizione, in quanto potevano essere chiamati “a pronunciarsi su questioni legate all’applicazione e all’interpretazione del diritto dell’Unione e, in quanto «organi giurisdizionali» nel senso definito da tale diritto, sono parte del sistema polacco di rimedi giurisdizionali nei «settori disciplinati dal diritto dell’Unione»” (ibid. par.35). Pertanto, la Corte ha riconosciuto la sua competenza a interpretare l’articolo 19 par. 1 comma secondo TUE.
Riguardo la seconda eccezione, la Corte ha innanzitutto ritenuto soddisfatti i requisiti di cui all’art. 94 del regolamento di procedura, in quanto i giudici del rinvio avevano esposto “in modo sufficiente le ragioni che li hanno nei casi di specie indotti ad interrogarsi sull’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e, in particolare, il nesso che essi stabiliscono tra detta disposizione del Trattato e le disposizioni nazionali che, a loro avviso, sono tali da esercitare un’influenza sul processo giurisdizionale al termine del quale essi emaneranno le loro sentenze e, pertanto, sull’esito dei procedimenti principali di cui essi sono investiti” (ibid. par. 42).
Tuttavia, la Corte ha egualmente sottolineato come la ratio del rinvio pregiudiziale, che costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionale, “non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia” (ibid., par. 44). Infatti, come risulta dalla formulazione dell’art. 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta deve essere “necessaria” al fine di consentire al giudice del rinvio di “emanare la sua sentenza” nella causa della quale è investito. Secondo giurisprudenza costante della Corte, infatti, “il procedimento pregiudiziale presuppone, in particolare, che dinanzi ai giudici nazionali sia effettivamente pendente una controversia nell’ambito della quale ad essi è richiesta una pronunzia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale” (ibid., par. 46).
La Corte ha quindi sottolineato la distinzione tra i compiti ad essa affidati nel caso di un rinvio pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento. Mentre, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte deve verificare “se la misura o la prassi nazionale contestata dalla Commissione o da un altro Stato membro sia – in linea generale e senza che sia necessaria l’esistenza dinanzi ai giudici nazionali di un contenzioso a ciò afferente – contraria al diritto dell’Unione, il compito della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, è, per contro, quello di assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente” (ibid., par. 47). Pertanto, in tale ultimo procedimento, deve esistere tra la controversia pendente davanti al giudice nazionale e le disposizioni di diritto dell’Unione di cui è chiesta l’interpretazione “un collegamento tale per cui detta interpretazione risponde ad una necessità oggettiva ai fini della decisione che dev’essere adottata dal giudice del rinvio” (ibid., par. 48).
Nel caso di specie, la Corte ha quindi constatato, in primo luogo, che le controversie pendenti davanti ai giudici polacchi non presentavano, sotto il profilo del merito, “alcun collegamento con il diritto dell’Unione, in particolare, con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma TUE, su cui vertono le questioni pregiudiziali, e che i giudici del rinvio non sono pertanto chiamati ad applicare detto diritto, o detta disposizione, al fine di trarne la soluzione nel merito per le suddette controversie” (ibid., par. 49). Il caso di specie si distingueva quindi da quello che aveva dato origine alla sentenza ASJP, in quanto, secondo la Corte, in quest’ultimo caso il giudice del rinvio era stato investito di un ricorso diretto all’annullamento di decisioni amministrative che avevano ridotto la retribuzione dei membri di alcuni organi giurisdizionali nazionali, in applicazione di una normativa interna la cui conformità con l’art. 19 par. 1 comma secondo TUE era stata contestata dinanzi allo stesso giudice del rinvio.
In secondo luogo, la Corte ha precisato che le questioni sollevate dai giudici del rinvio non riguardavano neanche l’interpretazione di disposizioni procedurali di diritto dell’Unione che tali giudici sarebbero stati tenuti ad applicare al fine di emettere la loro sentenza e che, in ogni caso, la Corte aveva già dichiarato, nella sua giurisprudenza, irricevibili questioni siffatte.
In terzo luogo, il giudice dell’Unione ha inoltre affermato che “una risposta della Corte a tali questioni non sembra neppure avere carattere tale da fornire ai giudici del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione che consenta loro di dirimere questioni procedurali di diritto nazionale prima di poter statuire nel merito delle controversie di cui essi sono investiti” (ibid., par.51). In tal modo, la Corte ha sottolineato l’ulteriore differenza con la sua precedente sentenza resa su rinvio pregiudiziale A.K. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), nella quale l’interpretazione richiesta alla Corte “era atta ad influire sulla questione della determinazione del giudice competente ai fini di dirimere nel merito le controversie relative al diritto dell’Unione” (ibid.).
Tenuto conto di tali circostanze, la Corte ha ritenuto che “dalle decisioni di rinvio non risulta che tra la disposizione del diritto dell’Unione su cui vertono le presenti questioni pregiudiziali e le controversie di cui al procedimento principale esista un collegamento idoneo a rendere necessaria l’interpretazione richiesta affinché i giudici del rinvio possano, in applicazione degli insegnamenti derivanti da una siffatta interpretazione, adottare decisioni che siano necessarie al fine di statuire su tali controversie” (ibid. par. 52). Pertanto, la Corte ha escluso che le questioni sollevate vertessero su un’interpretazione del diritto dell’Unione rispondente ad una necessità oggettiva ai fini della soluzione delle controversie, ma esse avevano piuttosto un carattere generale.
Pur dichiarando le domande irricevibili, la Corte ha tuttavia sottolineato come una norma di diritto interno non possa in ogni caso impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della facoltà, conferita dall’art. 267 TFUE, di adire la Corte di giustizia. Infatti, come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, “la chiave di volta del sistema giurisdizionale istituito dai Trattati è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE, il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere proprio dell’ordinamento istituito dai Trattati” (ibid., par. 55).
Sebbene nel caso di specie i procedimenti di indagine avviati dalle autorità polacche nei confronti dei giudici del rinvio fossero stati nel frattempo conclusi “in quanto non era stato dimostrato alcun illecito disciplinare consistente in una lesione della dignità della funzione a causa della formulazione di dette domande di pronuncia pregiudiziale” (ibid., par. 54), secondo la Corte non potevano in ogni caso essere ammesse disposizioni nazionali “dalle quali derivasse per i giudici nazionali il rischio di esporsi a procedimenti disciplinari per il fatto di aver adito la Corte mediante un rinvio pregiudiziale” (ibid. par. 58). Infatti, “la mera prospettiva di poter essere, se del caso, oggetto di procedimenti disciplinari per il fatto di aver proceduto ad un siffatto rinvio o di aver deciso di mantenerlo successivamente alla sua introduzione è atta a pregiudicare l’effettivo esercizio, da parte dei giudici nazionali interessati, dell[e loro] facoltà e (…) funzioni” (ibid.). Inoltre, il fatto di non essere esposti a procedimenti o sanzioni disciplinari “costituisce del resto una garanzia inerente alla loro indipendenza” (ibid. par. 59).
[1] Il testo delle sentenze Commissione c. Polonia (Indipendenza della Corte suprema), Commissione c. Polonia (Indipendenza dei tribunali ordinari) e A. K. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) sono reperibili rispettivamente qui, qui e qui.
[2] Proposta di decisione del Consiglio, del 20 dicembre 2017, sulla constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia COM/2017/0835 final.