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Libertà di manifestazione del pensiero, libertà di stampa e sicurezza dei giornalisti nel rapporto presentato all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: il caso italiano (2/2020)

Rapporto sulle “minacce alla libertà di stampa e sicurezza dei giornalisti in Europa” presentato il 3 gennaio 2020 e redatto da George Foulkes, del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Doc. 15021

Nel rapporto sulle minacce alla libertà di stampa e sulla sicurezza dei giornalisti, e in particolare nella nota esplicativa, George Folkes, relatore del Comitato sulla cultura, la scienza, l'educazione e i media dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, analizza gli sviluppi e le tendenze in materia di limitazione della libertà di stampa e di sicurezza dei giornalisti dal 2017 ad oggi. In particolare, come espressamente sottolineato dal relatore[i], nel rapporto è stato rielaborato l'insieme di dati resi pubblici dalla Piattaforma per la protezione dei giornalisti, istituita nel 2015 dal Consiglio d'Europa[ii], e quelli desumibili da altri sistemi di allarme preventiva. Inoltre, sono state effettuate valutazioni che tengono conto, in generale, della particolare situazione politico-economica di certi Paesi, in cui le pressioni politiche ed economiche sulla stampa inducono, seppur in modo meno evidente, i giornalisti ad auto-censurarsi.

Dal rapporto emerge un quadro preoccupante in tutti i Paesi facenti parte del Consiglio d'Europa, in cui sono stati riscontrati frequenti attacchi alla stampa, rischi per l'incolumità personale dei giornalisti e impunità diffusa per coloro che perpetrano atti intimidatori, minacciano o commettono atti di violenza fisica e morale nei confronti dei giornalisti.

Una tale situazione, come più volte sottolineato dal Consiglio d'Europa, porta a gravi violazioni dell'articolo 10 della CEDU, che riconosce e tutela la libertà di manifestazione del pensiero, e ha gravi ripercussioni sullo stesso funzionamento democratico dei Paesi interessati, in quanto la libertà di stampa e l'attività giornalistica svolgono un ruolo essenziale nel sistema democratico, contribuendo, attraverso la libera informazione dei consociati, alla “formazione degli orientamenti della pubblica opinione”[iii].

Per quanto specificamente riguarda l'Italia, il rapporto evidenzia che la situazione è particolarmente allarmante, almeno sotto due punti di vista. In primo luogo, l'Italia è uno dei Paesi in cui i politici hanno mostrato il più elevato grado di ostilità nei confronti dei giornalisti, soprattutto nel periodo tra giugno 2018 e agosto 2019. Alcuni esponenti della Lega, come Matteo Salvini, e del Movimento Cinque Stelle, come Luigi Di Maio, hanno, infatti, adottato un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti di stampa e giornalisti. Sono, in particolare menzionate nel rapporto, le parole di Matteo Salvini, che aveva minacciato di rimuovere la protezione predisposta in favore del giornalista Roberto Saviano, nonostante le ripetute e gravi minacce rivolte nei suoi confronti, e gli insulti di Luigi di Maio nei confronti dei giornalisti, che sono da lui stati definiti “sciacalli”. Inoltre, il rapporto menziona le dichiarazioni di Luigi Di Maio relative al taglio dei fondi pubblici alla stampa e quelle concernenti la richiesta alle aziende statali di non compare spazi pubblicitari sui giornali[iv].

In secondo luogo, il relatore ha segnalato l'allarmante aumento delle intimidazioni e violenze nei confronti dei giornalisti. Il rapporto sottolinea, in particolare, che in Italia organizzazioni criminali di stampo mafioso e gruppi di estrema destra o neo-fascisti sono i principali responsabili di minacce, atti intimidatori e gravi violenze, sia fisiche che morali, nei confronti dei giornalisti[v]. Tale dato è confermato dalle segnalazioni pubblicate sulla Piattaforma del Consiglio d'Europa per la sicurezza dei giornalisti, in cui sono riportati numerosi casi di minacce, offese e violenze da parte di esponenti di organizzazioni criminali o di gruppi neo-fascisti nei confronti di giornalisti, tra cui, da ultimo, sono menzionate le aggressioni fisiche e gli insulti perpetrati a danno di giornalisti da parte di esponenti di estrema destra nell'ambito della protesta svoltasi a Roma il 6 giugno 2020, le minacce nei confronti del giornalista Gennaro Del Giudice da parte di un pregiudicato appartenente ad un'organizzazione criminale e l'incendio appiccato a scopi intimidatori all'autovettura del giornalista Fabio Buonofiglio, in data 22 aprile 2020, presso la sua abitazione in provincia di Corigliano[vi].

Il rapporto individua due ulteriori e gravi fattori di rischio per la libertà di espressione dei giornalisti: la diffusa impunità degli autori dei delitti summenzionati e l'uso frequente di sanzioni penali molto aspre, tra cui anche la detenzione, nei confronti dei giornalisti accusati di diffamazione. Quanto a quest’ultimo aspetto, la Corte EDU, ha infatti, più volte ripetuto che la previsione di sanzioni così gravi mette a repentaglio la libertà di espressione dei giornalisti, in quanto produce un effetto dissuasivo («chilling effect») rispetto all’esercizio della libertà di espressione dei giornalisti “tale da riverberarsi sul giudizio di proporzionalità, e dunque di legittimità alla luce della Convenzione, di tali sanzioni”[vii]. Al fine di evitare di incorrere in sanzioni gravi, quali la reclusione in carcere, i giornalisti sarebbero, infatti, portati ad auto-censurarsi e a non svolgere in piena indipendenza e libertà il proprio lavoro.

Da questo punto di vista, l'Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (“Corte EDU”), la quale ha più volte ripetuto che la legislazione italiana non è in linea con gli standard del Consiglio d'Europa, nella misura in cui prevede la possibilità di applicare la pena detentiva nei confronti di giornalisti in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa[viii]. La Corte EDU ha, infatti, ritenuto sproporzionata l'inflizione della pena detentiva nei confronti dei giornalisti, anche se responsabili degli addebiti rivolti loro, e pur se la pena detentiva è stata cancellata da un provvedimento di grazia del Presidente della Repubblica ovvero è stata condizionalmente sospesa. In base al ragionamento della Corte EDU, ancorché condizionalmente sospesa, la pena detentiva ha, infatti, un effetto deterrente notevole cha limita considerevolmente la libertà di espressione dei giornalisti. In base alla giurisprudenza della Corte EDU, l'inflizione della pena detentiva per un reato commesso a mezzo stampa è compatibile con la libertà di espressione giornalistica sancita dall’articolo 10 CEDU “solo in circostanze eccezionali, in particolare quando altri diritti fondamentali siano stati gravemente lesi, come nel caso, ad esempio, della diffusione di un discorso di odio o di incitazione alla violenza”[ix].

Alla luce di tale giurisprudenza, il tribunale ordinario di Salerno e il tribunale ordinario di Bari hanno recentemente sollevato, in riferimento agli articoli 21 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 10 CEDU, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 595, terzo comma, del codice penale e dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, nella parte in cui prevedono la pena della reclusione, in via alternativa o cumulativa rispetto alla multa, “a carico di chi sia ritenuto responsabile del delitto di diffamazione aggravata dall'uso della stampa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato”[x]. A giugno 2020, la Corte Costituzionale si è, dunque, pronunciata emettendo un'ordinanza con cui ha rilevato che la rimodulazione del bilanciamento tra i fondamentali diritti di libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione della persona, necessario alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, spetta al legislatore. Nel rispetto della leale collaborazione istituzionale, la Corte ha, quindi deciso, di rinviare la trattazione delle questioni ad una nuova udienza pubblica che si svolgerò tra un anno, al fine di consentire alle Camere di intervenire con una nuova disciplina della materia[xi].

Il compito di rendere compatibile la legislazione italiana con i principi stabiliti a livello internazionale e a livello europeo - per cui basti menzionare l'articolo 11 della Carta europea dei diritti dell'uomo - in materia di libertà di espressione e di libertà di stampa, è rimesso, quindi, al Parlamento, il quale avrà il compito di ridefinire la disciplina in materia di trattamento sanzionatorio per quanto riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa. Una disciplina avanzata e compatibile con la giurisprudenza internazionale e europea in tal senso, rappresenterebbe un primo passo fondamentale verso la tutela del diritto alla libertà di espressione e libertà di stampa.

La discussione in Parlamento su tale tema potrebbe rappresentare anche l'occasione per discutere più in generale su quali strumenti siano necessari per garantire la sicurezza dei giornalisti ed evitare l'impunità degli autori di minacce o violenze fisiche nei loro confronti, così dando corpo alle raccomandazioni proposte da George Folkes nel rapporto qui brevemente analizzato. Allo stesso tempo, potrebbe essere anche l'occasione per ripensare in termini diversi la relazione tra rappresentanti politici e giornalisti, così da assicurare che questi ultimi siano rispettati nello svolgimento del proprio lavoro e siano protetti da indebiti attacchi da parte dei nostri rappresentanti politici.

La libertà di stampa costituisce, infatti, una pietra miliare di ogni sistema democratico, in cui, come ribadito dalla Corte Costituzionale, “al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo “diritto all’informazione” dei cittadini”.

 

[i]     Si veda, in questi termini il par. 6 del rapporto.

[ii]     Il materiale pubblicato dalla Piattaforma è consultabile al seguente indirizzo online (clicca qua).

[iii]    Si veda in tal senso, l'ordinanza della Corte Costituzionale n. 132 del 2020, par. 7.1.

[iv]    Si veda il par. 72 della nota esplicativa (“explanatory memorandum”).

[v]     Si veda, il par. 30 della nota esplicativa.

[vi]    Queste e altre segnalazioni sono reperibili sul sito della piattaforma (clicca qua).

[vii]   Vedi, in tal senso la sentenza della Corte EDU nel caso Cumpana e Mazare c. Romania, del 17 dicembre 2004, par. 114 e l'ordinanza della Corte Costituzionale n. 132 del 2020, par. 6.1.

[viii]  Si vedano, in tal senso, le pronunce della Corte EDU nei casi Belpietro c. Italia, del 24 settembre 2013, e Sallusti c. Italia., del 7 marzo 2019.

[ix]    Cfr.  Corte EDU Cumpana e Mazare c. Romania, del 17 dicembre 2004, par. 115.

[x]     Cfr. Corte Costituzionale ordinanza n. 132 del 2020, par. 1 del “considerato in diritto”.

[xi]    Cfr. Corte Costituzionale ordinanza n. 132 del 2020, par. 8 del “considerato in diritto”.

Osservatorio sulle fonti

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