Sent. n. 91/2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 15 maggio 2020 – pubblicazione in G.U. 20/05/2020 n. 21
Motivo della segnalazione
La questione sottoposta alla Corte dal Presidente del Consiglio riguarda la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Piemonte 9 aprile 2019, n. 16 (Istituzione del Fattore famiglia), in riferimento all’art.117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione.
Tale legge istituisce nell’ambito regionale il c.d. Fattore famiglia, ossia un indicatore generale sulla situazione patrimoniale/reddituale delle famiglie, da utilizzare tra l’altro per “prestazioni sociali e sanitarie, comprese le compartecipazioni alla spesa”. Tra gli elementi che vanno a qualificare tale indicatore, che intende ricomporre in maniera sintetica la situazione reddituale reale delle famiglie, vengono in considerazione il numero di figli minorenni, di disabili non autosufficienti o di anziani. La normativa di favore cui l’applicazione del Fattore famiglia si ricollega riguarda, essenzialmente, prestazioni sociali e sanitarie, comprese le compartecipazioni alla spesa, servizi socio-assistenziali, misure di sostegno per l’accesso all’abitazione principale, servizi scolastici, di istruzione e formazione, anche universitari, incluse le erogazioni di fondi per il sostegno al reddito e per la libera scelta educativa, e il trasporto pubblico locale.
Le censure del Governo si appuntano essenzialmente proprio sull’indeterminatezza delle situazioni alle quali tale fattore verrebbe applicato e soprattutto sul fatto che l’art. 3 della legge regionale ricomprende in tale ambito prestazione di carattere sanitario.
La problematica, dunque, si inserisce nel tema delle fonti in quanto, come lamentato dalla difesa del Governo, sia la predeterminazione del c.d. ticket (art. 8, comma 15, della legge n. 537 del 1993 ), che quella del c.d. super ticket per i non esenti per un importo pari ad euro 10 (art. 17, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011), devono essere stabiliti dalla legge statale. Solo rispetto al caso del super ticket le Regioni possono individuare forme alternative di compartecipazione alla spesa sanitaria dei non esenti, tuttavia assicurando la non alterazione del gettito complessivo.
Dunque, gli elementi di incertezza della norma regionale riguarderebbero innanzi tutto la non chiara utilizzazione della stessa, ossia se essa si intende riferita alla sola quota aggiuntiva dei 10 euro ovvero anche al sistema delle esenzioni disciplinato unitariamente a livello nazionale.
In tale ultimo caso, il c.d. Fattore famiglia andrebbe ad incidere sul diritto all’esenzione “garantito a livello nazionale per alcune categorie di assistiti e potrebbe costituire un ostacolo all’accesso alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA): donde la dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.”.
Cosicché, oltre al tema della violazione delle norme sul coordinamento della finanza pubblica in materia di spesa sanitaria, l’ammissibilità di diversificazioni derivanti dall’applicazione della fonte regionale in parola potrebbe incidere sulla qualità e quantità delle prestazioni garantite, e sui livelli essenziali delle prestazioni; mentre una compartecipazione alla spesa sanitaria diversa da regione a regione potrebbe produrre discriminazioni sulle soglie di accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie basate sulla residenza.
Ancora sul piano delle fonti l’art. 4 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2019, che disciplina i concreti meccanismi di utilizzazione del Fattore famiglia, a giudizio del ricorrente, si porrebbe in contrasto diretto con l’art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)». Stante la prevalenza del sistema del’ISEE, in materia riservata alla legislazione statale dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., l’introduzione del c.d. Fattore famiglia, almeno potenzialmente, potrebbe (dunque) determinare situazioni di sovrapposizione di normative incidenti sul medesimo oggetto.
La Corte costituzionale, nel ricostruire il complesso sistema di finanziamento dei servizi sanitari, articolato su più livelli e che attinge a molteplici fonti di finanziamento nazionali e locali, precisa che dopo la proposizione del ricorso “è intervenuta la legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), che, all’art. 1, comma 446, a decorrere dal 1° settembre 2020, ha nuovamente abolito la quota di compartecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, facendo cessare, a decorrere dalla stessa data, le misure alternative adottate dalle Regioni ai sensi della lettera p-bis) del medesimo comma 796”. Peraltro, rileva la Corte, il finanziamento del SSN è articolato sul sistema dei c.d. riparti, che prevede l’assegnazione dei fabbisogni alle singole regioni e sull’individuazione delle fonti di finanziamento, in maniera strumentale all’assicurazione dei LEA, in maniera uniforme sul territorio nazionale.
In questo quadro, nonostante l’intricatezza del sistema delle fonti, in cui in effetti la predisposizione di un ulteriore indicatore quale il Fattore famiglia rischia di determinare un nuovo elemento di incertezza, la Corte si spende in un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto previsto dall’art.3 della legge regionale impugnata, dichiarando l’infondatezza della questione di costituzionalità.
Il Fattore famiglia, a giudizio della Corte, non andrebbe, dunque, ad incidere sul regime delle compartecipazioni alla spesa sanitaria per come definito dalla fonte statale, ma riguarderebbe la possibilità di modulare i costi individuali relativi alle altre tipologie di prestazioni per le quali non opera il criterio di uniformità sull’intero territorio nazionale, non determinando neppure effetti distorsivi sulla programmazione e stima della spesa sanitaria.
Anche la questione della possibile sovrapposizione conflittuale della normativa sul Fattore famiglia (art.4 della legge regionale impugnata) con la normativa ISEE viene dichiarata non fondata dalla Corte, in quanto l’art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)» “fa salve” le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali.
In questo modo la Corte conferma che la normativa sull’ISEE deve essere intesa come una materia trasversale poiché incide in ambito pluridirezionale entrando in contatto ad esempio con la materia dei servizi sociali, in cui ampio spazio decisionale è, appunto, riconosciuto alla legislazione regionale.
Cosicché, in tale ultimo caso, l’introduzione del Fattore famiglia andrebbe a rispondere ad un’esigenza di buona amministrazione (regionale) introducendo elementi utili a privilegiare alcune categorie di cittadini, che presentano particolari requisiti, rispetto alla concreta erogazione dei servizi sociali e socio-sanitari. Prerogativa questa, peraltro concessa alle Regioni dallo stesso art. 2, comma 1, del d.P.C.m. n. 159 del 2013, che tuttavia fa salva “la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE” . Cosicché, sul piano delle fonti, non convince in pieno la mancata valutazione da parte della Corte del fatto che, in effetti, Fattore famiglia ed ISEE , costituendo entrambi parametri per l’erogazione privilegiata di prestazioni, possano incidere in maniera contraddittoria e conflittuale sul medesimo oggetto.
All’esito dell’interpretazione delle norme coinvolte e della loro asserita compatibilità reciproca la Corte, in primis riafferma che l’attribuzione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni alla normativa statale non esclude la possibilità che le regioni intervengano per garantire livelli ulteriori di tutela; in secondo luogo, riferendo la disciplina impugnata alla materia dei servizi sociali, rientrante nella competenza di tipo residuale, la Corte considera come pienamente legittimo l’intervento legislativo regionale.