Ord. n. 86/2020 – Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
Deposito del 7 maggio 2020 – pubblicazione in G.U. del 13/05/2020 n. 20
Motivo della segnalazione
La questione affrontata dalla Corte riguarda un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senatore De Falco nei confronti di un provvedimento adottato dal Senato della Repubblica sulla base della deliberazione n. 31 del 26 giugno 2019 della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica.
Tale provvedimento aveva ad oggetto la proclamazione a senatrice di una candidata del MoVimento 5 Stelle (M5S), prima dei non eletti nella Regione Umbria, attribuendole il posto non assegnato nella Regione Sicilia per indisponibilità di ulteriori candidati eleggibili nella medesima lista. La carenza di candidati eleggibili discendeva principalmente dall’elezione di tutti i candidati del partito in questione nei collegi uninominali e dal sistema delle pluricandidature pur previsto nella l. 165/2017.
La questione appare di fondamentale interesse sul piano delle fonti, in quanto attiene alla stessa proclamazione dei rappresentanti del popolo nei consessi parlamentari che dovrebbe conseguire a rigidi meccanismi previsti nella legge elettorale che, in ossequio ai presidi costituzionali, eliminino ogni margine di discrezionalità nella scelta.
I due ordini di problemi che si innescano riguardano innanzitutto la necessità di evitare, appunto, che le conseguenze del voto popolare siano soggette a eccessive forme di interpretazione della legge elettorale; il secondo problema attiene all’opportunità o meno che tale potere “interpretativo” possa essere direttamente devoluto all’Aula Parlamentare interessata che, essendo costituita dagli eletti nella medesima tornata, si troverebbe investita non solo del potere legittimo di controllare la regolarità delle operazione elettorali ma, in sostanza, di influire sulla stessa elezione.
Un terzo problema che consegue al caso di specie è un problema di sistema che attiene all’insindacabilità degli atti parlamentari e all’eventuale scorretto uso del potere di autodichia ex art.66 Cost., che incontra il tradizionale self-restraint della Corte costituzionale.
In effetti, più che di una lacuna della legge elettorale, il caso di specie si mostra come ipotesi possibile del sistema elettorale attuale ed, in particolare, del diffuso utilizzo delle pluricandidature che può, in effetti, innescare problemi di questo tipo. Tutto ciò renderebbe necessario, ove non si voglia intervenire a limitare l’utilizzo delle pluricandidature, un intervento legislativo volto a prevedere meccanismi predeterminati di risoluzione del caso di cui si sta discutendo.
In carenza di una sistemazione delle fonti che si occupi del problema, non perfettamente perspicua appare l’utilizzazione delle norme regolamentari (art.17-bis, comma 3, del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e successive modifiche, secondo cui, in caso di vacanza «per qualsiasi causa» di un seggio, «il Presidente della Camera proclama eletto il candidato che segue immediatamente l’ultimo eletto nell’ordine accertato dalla Giunta delle elezioni»); ed in particolare del parere della Giunta per il regolamento del 7 giugno 2006 secondo il quale “in mancanza di una disciplina specifica, è ragionevole ipotizzare che l’ufficio elettorale regionale non abbia il potere di proclamazione in relazione alle «successive vicende del seggio», là dove quest’ultimo si renda vacante in corso di legislatura, e che siffatto potere spetti alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari”.
Tale ultimo caso non riguardava, infatti, l’originaria proclamazione di un senatore (peraltro risultato eletto in altra Regione), ma la sostituzione di un seggio già regolarmente assegnato e poi divenuto vacante.
La questione è, dunque, rilevante sotto il profilo delle fonti nonostante che la Corte neghi la legittimazione attiva del ricorrente in quanto il quesito proposto non si ricollega alle proprie prerogative costituzionalmente riconosciute al parlamentare (diritto di parola, proposta di voto etc), ma ad un “generico interesse del singolo parlamentare alla legittimità del seggio rimasto vacante”.
Infatti, le argomentazioni del ricorrente più che un conflitto tra poteri riguardano carenze direttamente riconducibili alla attuale legge elettorale (legge 3 novembre 2017, n. 165). Tra queste, per quel che attiene al caso di specie, la mancata previsione di elezioni suppletive (che eviterebbe la necessità di proclamare senatori candidati in regioni diverse da quelle in cui il seggio è scattato e, dunque, eliminerebbe il problema della sovra - o sottorappresentenza dei territori), e l’eccessiva ammissibilità delle pluricandidature.
Nel sistema attuale permane altresì la questione della titolarità del potere di proclamazione, nel caso di specie avocato a sé direttamente dal Senato della Repubblica (o meglio dalla Giunta per le elezioni), che potrebbe forse più ragionevolmente essere attribuito all’Ufficio elettorale regionale e centrale.
Rispetto a ciò, dal momento che la materia interseca i regolamenti e le prassi parlamentari, la Corte, al di là della carenza di legittimazione del ricorrente, non pare orientata a prendere posizione, il che renderebbe opportuno un intervento chiarificatore del legislatore.