Ord. n. 60/2020 – giudizio sull’ammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato
Deposito del 26 marzo 2020 – Pubblicazione in G.U. del 1/04/2020, n. 14.
Motivo della segnalazione
Con l’ordinanza n. 60 del 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presentati dai Presidenti e componenti di alcuni gruppi parlamentari, nonché dai medesimi gruppi, avverso la legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di bilancio 2020) e il relativo iter parlamentare di approvazione, per violazione delle prerogative costituzionali spettanti agli stessi ricorrenti.
In particolare, questi ultimi lamentavano l’evidente menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite, in ragione di un procedimento parlamentare di approvazione della legge di bilancio 2020 caratterizzato da un esame in tempi ridotti alla Camera dei deputati, con successiva presentazione della questione di fiducia sul testo approvato dal Senato, a sua volta licenziato in prima lettura a seguito della presentazione di un maxi-emendamento integralmente sostitutivo dell’art. 1 del disegno di legge. Ciò, ad avviso dei ricorrenti, avrebbe determinato una manifesta violazione delle prerogative costituzionali dei singoli parlamentari e dei rispettivi gruppi di appartenenza, stante la loro certa riconducibilità alle «articolazioni del potere legislativo […] quale riflesso naturale dei partiti politici, unità di misura basilare degli organi parlamentari, nonché modulo organizzativo e di esercizio delle funzioni tipico dei singoli rappresentanti».
Sotto il profilo oggettivo, il mancato svolgimento di una discussione e l’impossibilità di introdurre emendamenti al testo avrebbe determinato la violazione degli articoli 67, 68 70, 71, primo comma, e 72 della Costituzione, nonché del principio bicamerale, del principio di separazione dei poteri fra Governo e Parlamento e dei principi di leale collaborazione e di effettività del circuito di responsabilità democratica. E ciò tanto più in un contesto – quale è il momento di approvazione della legge di bilancio annuale – «in cui si concentrano le fondamentali scelte di indirizzo politico e in cui si decide della contribuzione dei cittadini alle entrate dello Stato e dell’allocazione delle risorse pubbliche: decisioni che costituiscono il nucleo storico delle funzioni affidate alla rappresentanza politica sin dall’istituzione dei primi parlamenti e che occorre massimamente preservare» (ordinanza n. 17 del 2019).
La Corte, tuttavia, rilevata preliminarmente la carenza di legittimazione ad agire dei gruppi parlamentari, ai quali, nonostante l’indiscutibile ruolo svolto a garanzia del pluralismo politico, non può essere riconosciuta la titolarità delle medesime prerogative costituzionalmente attribuite ai singoli parlamentari, non ha ritenuto condivisibile la ricostruzione operata dai ricorrenti ed ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Le deformazioni e le dilatazioni delle procedure parlamentari lamentate dai ricorrenti devono infatti – ad avviso dei giudici costituzionali – essere considerate nella prospettiva dell’evoluzione che ha caratterizzato, nel corso degli anni, l’iter legislativo e che si è tradotta tanto nella revisione dei regolamenti parlamentari dei due rami del Parlamento quanto nel consolidarsi di nuove prassi. Queste ultime, in particolare, nel tempo hanno interessato in misura crescente il procedimento legislativo parlamentare, allo scopo di conseguire il necessario equilibrio tra valorizzazione del contraddittorio, da un lato, ed efficienza e tempestività delle decisioni parlamentari dall’altro. L’originaria, esclusiva valorizzazione del contradditorio ha infatti «dovuto farsi carico dell’efficienza e tempestività delle decisioni parlamentari, primieramente in materia economica e di bilancio, in ragione di fini, essi stessi desunti dalla Costituzione ovvero imposti dai vincoli europei, che hanno portato ad un necessario bilanciamento con le ragioni del contraddittorio».
Alla luce di tali considerazioni, nella pronuncia in esame la Corte ha ritenuto che dalle specifiche circostanze relative all’approvazione della legge di bilancio 2020 non emerga un irragionevole squilibrio fra le esigenze in gioco e, dunque, non ha ravvisato nel caso di specie la sussistenza di una grave e manifesta violazione delle prerogative parlamentari.