Titolo completo della segnalazione "Rimessa alla Corte di giustizia la decisione sulla legittimità della previsione dell’ulteriore presupposto del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per il riconoscimento degli assegni di maternità e di natalità a stranieri titolari del permesso unico di lavoro"
Ordinanza n. 182/2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 30/07/2020 – Pubblicazione in G.U. del 05/08/2020 n. 32
Motivo della segnalazione
La questione di legittimità è stata sollevata con riferimento ad una norma della legge di bilancio 2015 (l. 23 dicembre 2014 n.190) e all’art. 74 del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in materia di “tutela e sostegno della maternità e paternità”, da parte della Corte di Cassazione. I parametri evocati erano costituiti dagli art. 3 e 31 della Carta di Nizza, e dagli art. 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, in ordine alla presunta illegittimità costituzionale, prevista nelle norme indubbiate, del prerequisito del possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per l’erogazione, a stranieri, di prestazioni sociali quali l’assegno di maternità e l’assegno di natalità.
La questione, pertanto, si colloca nel più vasto campo delle prestazioni sociali erogabili agli stranieri sprovvisti del permesso di soggiorno, ma titolari del permesso unico di lavoro in base alla direttiva 2011/98/UE. Si tratta di un problema che, a giudizio della Corte, dev’essere inquadrato nello sfondo del diritto europeo, già, dunque, riaffermando la rilevanza delle fonti sovranazionali anche in questioni sensibili quali quelle attinenti alla protezione dei diritti sociali degli individui. Peraltro, si può notare come, nel caso di specie, si ponga l’attenzione su diritti spettanti a stranieri e non a cittadini europei, in ordine ai quali la prevalenza del diritto euro-unitario è più pacificamente riconosciuta.
In particolare, l’attenzione del giudice rimettente si appunta sul presunto contrasto delle norme nazionali indicate soprattutto con disposizioni della CDFUE, cui è riconosciuto lo stesso valore giuridico dei Trattati; contrasto in relazione al quale la Corte costituzionale ha più volte affermato il proprio sindacato. Nel caso di specie, dunque, la Corte assume un doppio parametro di giudizio, in quanto le disposizioni impugnate sono sospettate di violare non solo norme costituzionali, ma anche principi e disposizioni contenute nella Carta di Nizza (v., anche, nello stesso senso, Corte cost., sent. 63/2019, punto 4.3. del Considerato in diritto).
Sul piano delle fonti si rinnova, dunque, la necessità non solo di valorizzare il primato del diritto europeo sul diritto nazionale, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., ma anche l’obbligo di interpretare il diritto europeo in modo da garantire l’uniforme applicazione dello stesso nello spazio giuridico dell’Unione, tanto più importante quando essa riguardi l’estensione del riconoscimento dei diritti fondamentali.
Una necessità che si fa più pressante quando coinvolga ipotesi di prestazioni sociali inedite, come l’assegno di natalità, non ancora indagate dalla giurisprudenza comunitaria.
La legittimità delle norme impugnate andrebbe, tanto più, a dipendere dal rapporto che ha per estremi, da un lato, l’art.34 della Carta di Nizza, che a giudizio della Corte costituzionale dovrebbe tutelare quei cittadini in possesso del permesso unico di cui alla direttiva 2011/98/UE, e, dall’altro lato, la direttiva 2003/109/CE, che, introducendo il permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, stabilisce un trattamento ancora “più privilegiato” per gli stranieri che ne sono in possesso.
Pur nell’indicare la strada preferibile, ossia quella che massimizza la tutela dei diritti fondamentali in discorso la Corte sancisce, in ogni caso, la prevalenza della fonte europea sul diritto interno, decidendo, comunque, di rimettere la questione alla Corte di Giustizia affidandole, così, il compito di dichiarare il diritto europeo applicabile alla fattispecie.