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Il ruolo del preambolo della legge regionale in sede di giudizio di costituzionalità e, di riflesso, nel sistema delle fonti del diritto: quid novi? (3/2020)

Sentenza n. 126 del 2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 25/06/2020 – Pubblicazione in G.U. 01/07/2020 n. 27

Motivo della segnalazione

La questione sottoposta alla Corte dal Presidente del Consiglio riguarda la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3 e dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 28 giugno 2019, n. 38 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la sostituzione di personale collocato in quiescenza, del direttore generale e dei direttori. Modifiche alla l. r. 1/2009), per contrasto con gli artt. 3, 51, comma 1, 97, 117, comma 2, lett. l) e m) e comma 3 Cost.

L’art. 1, comma 3 della suddetta legge affida all’Agenzia regionale toscana per l’impiego (ARTI) la gestione di un piano triennale di reclutamento finalizzato al rafforzamento dei centri per l’impiego: viene previsto, a tal fine, “lo scorrimento delle graduatorie per il reclutamento di personale approvate a far data dal 1° gennaio 2019” in deroga alle previsioni dell’art. 1, comma 361 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che consentiva di utilizzare le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) al solo scopo di coprire i posti messi a concorso e “quelli che si rendono disponibili, entro i limiti di efficacia temporale delle graduatorie medesime, fermo restando il numero dei posti banditi e nel rispetto dell’ordine di merito, in conseguenza della mancata costituzione o dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori”.

L’art. 2 della citata legge regionale autorizza la Regione, gli enti dipendenti, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale a procedere, in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 361 della sopra citata legge n. 145 del 2018, allo scorrimento delle graduatorie approvate a far data dal 1° gennaio 2019.

Tutte le censure si indirizzano verso la scelta di ricorrere allo scorrimento delle graduatorie in deroga all’art. 1, comma 361 della legge n. 145 del 2018, disposizione, quest’ultima, che si prefiggerebbe di fornire all’amministrazione il personale più qualificato; tuttavia, una in particolare di queste censure è volta a denunciare il contrasto con l’art. 117, comma 3 Cost. sul presupposto che la disciplina di “modalità uniformi di utilizzo delle graduatorie concorsuali per l’accesso al pubblico impiego” rappresenti “un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica” che tenderebbe “a regolare la spesa per l’accesso ai pubblici uffici (evitando il reclutamento secondo modalità differenziate […])”.

Proprio con specifico riguardo a quest’ultima censura la Consulta rileva che nel caso di specie non hanno alcuna attinenza le enunciazioni di principio espresse da essa stessa e finalizzate ad attribuire il rango di norme di coordinamento della finanza pubblica alle previsioni volte a delimitare la proroga dell’efficacia delle graduatorie “in costanza di misure di contenimento delle assunzioni” (così la sentenza n. 5 del 2020 nel punto 4.3.1. del cons. in diritto): questo perché le disposizioni introdotte dalla legge regionale toscana n. 38 del 2019 toccano il diverso profilo dell’uso di graduatorie ancora valide e non contrastano con misure statali finalizzate a circoscrivere la proroga delle stesse e, in pari tempo, a restringere le facoltà di assunzione delle amministrazioni.

La Corte rafforza questo passaggio argomentativo con la seguente osservazione: lo scorrimento delle graduatorie consente di risparmiare i costi correlati all’espletamento di nuovi concorsi come, da un lato, ha affermato la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 28 luglio 2011, n. 14, punto 40) e, dall’altro lato, conferma anche il preambolo della legge impugnata (punto 7), con particolare riguardo al reclutamento di personale da parte della Regione Toscana, degli enti dipendenti e degli enti e delle aziende del servizio sanitario regionale (art. 2 della legge reg. Toscana n. 38 del 2019).

In virtù di queste argomentazioni la Corte non ravvisa la violazione di alcun principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

La problematica, dunque, si inserisce nel tema delle fonti in quanto viene fatto un esplicito riferimento al preambolo della legge regionale impugnata, al quale, peraltro, la stessa Corte allude expressis verbis anche in un successivo passaggio della motivazione (punto 8.5 del cons. in dir. laddove viene fatto un rinvio al punto 5 del preambolo della legge regionale in questione).

Il riferimento al preambolo quale “elemento” dal quale in sede di giudizio di costituzionalità può essere tratta conferma, sia pure ad abundantiam, dell’insussistenza della dedotta violazione di un parametro costituzionale rappresenta certo un profilo non privo di significativa novità.

Tradizionalmente per pressochè unanime o comunque ampiamente condiviso riconoscimento i preamboli, ove presenti, sono stati considerati quelle “parti” della legge alle quali non sarebbe potuto essere conferito alcun valore normativo.

A titolo esemplificativo, il problema si è posto in tempi recenti in relazione a quelle disposizioni contenute in alcuni Statuti regionali e inerenti la motivazione della legge: a questo proposito la quaestio si è incentrata sul grado di vincolatività che deve essere annesso alla motivazione contenuta nella legge e più specificamente se la stessa debba essere ritenuta fornita del medesimo grado di obbligatorietà proprio delle altre disposizioni della legge.

In dottrina la questione ha visto gli studiosi assumere posizioni molto differenti: fra queste è stata autorevolmente sostenuta la tesi secondo la quale, mentre i “motivi” che risultassero esplicitati in premessa o nella parte terminale della legge o in un singolo articolo assumerebbero valore normativo trattandosi di norme interpretative con carattere di autenticità della stessa portata del comando a cui si riferiscono, i “motivi” che fossero contenuti nel preambolo della legge regionale non potrebbero mai essere ritenuti vincolanti per l’interprete.

Nella sentenza n. 126/2020, invece, la Corte sembra attribuire un “peso” ben diverso al preambolo e ai “motivi” sottesi all’approvazione della legge in esso eventualmente esplicitati: benché al fine di poter formulare previsioni non affrettate sia necessario attendere ulteriori conferme in sede di giurisprudenza costituzionale, è comunque certo che, qualora questo ben più incisivo rilievo conferito al preambolo trovasse modo di essere ribadito dal Giudice delle leggi, lo stesso verrebbe ad assumere all’interno del sistema delle fonti del diritto – ed in particolare di quelle regionali – un “ruolo” in precedenza ad esso raramente riconosciuto.

Osservatorio sulle fonti

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