Questa segnalazione è dedicata a una proposta di modifica del regolamento del Senato della Repubblica, il Doc. II, n. 4, presentato dalla senatrice Paola Taverna il 20 febbraio 2020 in materia di presentazione delle petizioni in formato elettronico. Si inserisce, con intenti innovatori, nella disciplina di uno strumento antico, ben radicato nella nostra storia costituzionale, il quale si ritrova nell’art. 57 dello Statuto del Regno e nell’art. 50 della vigente Costituzione, che reca: «tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità».
Vero è che il suo esercizio non risulta assistito da particolari garanzie, in quanto, una volta assegnata la petizione alla competente Commissione, solo dalla volontà di questa dipendono l’an e il quando dell’esame, che eventualmente può dar luogo all’integrazione della proposta in un progetto di legge, ovvero a una risoluzione rivolta al Governo (cfr. art. 109 r.C. e art. 141 r.S., ove si aggiunge che tanto in caso di presa in considerazione quanto in quello di archiviazione «al presentatore […] viene data comunicazione della decisione adottata»). Eppure, nonostante le scarse garanzie di successo e il fatto che, forse, esistono oggi modalità più immediate per rivolgersi all’attenzione dei rappresentanti, lo strumento non risulta affatto desueto, in quanto, nella sola XVIII Legislatura, sono stati presentati 609 documenti al Senato e 517 alla Camera.
Sui siti delle Camere non se ne leggono i testi, ma solo i titoli e i nomi dei presentatori (cfr. camera.it/leg18/468?idLegislatura=18 e senato.it/static/bgt/listadocumenti/18/0/2220/0/index.html). Si può rinvenire comunque una grandissima varietà di materie: richieste di speciale valore sociale (e.g. n. 155 S.R., in materia di tutela dei boschi e delle montagne); relative a interessi di settore (e.g. n. 355 C.d., in materia di rappresentanza sindacale militare) o locali (e.g. n. 239 S.R. dove si chiede la sostituzione dei sampietrini romani con «asfalto di ultima generazione» nelle strade più trafficate); dal colore politico molto marcato (e.g. n. 324 S.R., per la «nazionalizzazione della Banca d’Italia»), o anche decisamente singolari (e.g. n. 498 C.d., per l’«istituzione della Giornata nazionale della pizza fatta in casa quale simbolo dell'unità nazionale»).
Sulle modalità pratiche di presentazione il regolamento della Camera dei deputati tace del tutto, quello del Senato prescrive, all’art. 140, che «il Presidente ha facoltà di disporre che venga accertata l’autenticità [della petizione] e la qualità di cittadino del proponente, salvo che […] sia stata presentata di persona da un senatore». Dunque, né l’uno, né l’altro ramo del Parlamento sembrano precludere la via della spedizione digitale. Del resto, nelle sezioni informative dei rispettivi portali informatici, si legge che le petizioni possono essere inviate per posta ordinaria, elettronica o fax (anche consegnate a mano alla Camera), allegando, nel caso di inoltro informatico, la scannerizzazione della firma (ma al Senato è sufficiente la firma digitale) e di un documento d’identità.
Se tutto questo è vero, e sembra funzionare senza gravi incomodi, si fatica a comprendere la ratio di una proposta di modifica come quella presentata dalla senatrice Paola Taverna, che aggiungerebbe all’art. 140 r.S. un comma 2-bis per il quale «è possibile presentare petizioni in formato elettronico. Il Consiglio di Presidenza stabilisce forme e modalità della presentazione».
Né la relazione si rivela di particolare aiuto. Dopo aver riflettuto largamente sul fatto che «la tendenza che si coglie nelle democrazie moderne sembra orientata verso la coesistenza tra istituti di democrazia diretta e impianto rappresentativo del sistema», conclude che tale processo troverebbe grande vantaggio nell’integrarsi con le potenzialità della tecnologia, al fine di «rendere più forti e credibili le istituzioni»; pertanto, anche alla luce di positive esperienze estere, occorre «rifondare in forma larga l’istituto della petizione, aprendolo alle petizioni elettroniche». Esse costituirebbero «uno strumento nuovo, strettamente connesso all’uso di tecnologie recentissime», le quali «potrebbero avere sviluppi migliorativi ed accrescere ulteriormente le possibilità di interazione»: e per questo la loro disciplina dovrebbe essere rimessa a uno strumento elastico ma trasparente come uno dei cd. “regolamenti parlamentari minori”, onde potersi tempestivamente adeguare a eventuali novità tecniche, senza bisogno di revisione regolamentare.
Per condivisibili (o meno) che possano essere gli assunti di fondo e i propositi dell’iniziativa, non può sfuggire che essa offra il fianco a qualche inevitabile critica. In primo luogo perché sembra muovere dal presupposto (evidentemente da ridimensionare) che sia attualmente impossibile presentare petizioni digitali; in secondo luogo perché rinuncia del tutto a suggerire qualche innovazione per valorizzare concretamente il diritto di petizione, per esempio una garanzia di pubblicazione in rete, di esame a data certa, di risposta nel merito; in terzo luogo perché, paradossalmente, sottrarrebbe la disciplina della presentazione alle agili indicazioni di prammatica ora vigenti, assoggettandola a un vero e proprio regolamento che difficilmente potrebbe semplificare ulteriormente (anzi, a tutto rischio del contrario).
Se il carattere pleonastico dell’iniziativa ne suggerisce gli obiettivi più dimostrativi che innovativi, questi risaltano ancor di più in quanto essa non gode del carattere dell’autoapplicatività, ma, per spiegare qualche effetto pratico, richiede un intervento del Consiglio di presidenza. Il che, sia detto in conclusione, testimonia anche la rilevanza strutturale, per la procedura parlamentare, delle determinazioni rimesse a organi diversi dal plenum assembleare e l’importanza pratica delle fonti secondarie del diritto parlamentare.