Il TAR Marche con la sentenza n. 557/2021 ha confermato la legittimità della composizione della Giunta della Regione Marche nominata dal nuovo Presidente, nonostante che vi fosse la presenza di una sola donna, su sei componenti della Giunta.
Secondo i ricorrenti, tale composizione era in contrasto con una pluralità di norme, tutte tese a garantire il principio di pari opportunità nelle nomine elettive: artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7/12/2000, del Preambolo Dichiarazione dei diritti umani ONU, della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18/12/1979, degli artt. 2 e 3 del Trattato dell’Unione Europea, degli artt. 3, 49, 51, 97 e 117 della Costituzione Italiana, dell’art. 1, comma 4, del D.Lgs. n. 198/2006 (codice delle pari opportunità fra uomo e donna), degli artt. 3 e 7 dello Statuto della Regione Marche. Tutte norme che avrebbero imposto di garantire, se non la parità assoluta – tre assessori donna e tre uomini -, quantomeno “una presenza femminile più equilibrata con almeno due componenti (che costituirebbe il minimo ragionevole e conforme a diritto, considerato che il Presidente della Giunta Regionale è anch’esso uomo)”.
Ma nessuna norma richiamata viene considerata idonea a rendere illegittima la composizione, anche tenendo conto della giurisprudenza costituzionale ed in particolare della sent. n. 81 del 2012, che aveva sì dichiarato l’illegittimità della nomina della Giunta campana, ma in virtù di quanto previsto nello stesso statuto campano all’art. 46 comma 3, “secondo cui gli assessori devono essere nominati “nel pieno rispetto del principio di un’equilibrata presenza di donne e uomini”.
Viceversa, lo Statuto della Regione Marche contiene norme molto diverse poiché la discrezionalità presidenziale viene delimitata “garantendo la rappresentanza di entrambi i sessi” (cfr. art. 7, comma 2), e l’art. 3 comma 2 stabilisce poi che “Le leggi regionali garantiscono parità di accesso a donne e uomini alle cariche elettive e negli enti, negli organi e in tutti gli incarichi di nomina del Consiglio e della Giunta”. La sentenza del TAR richiama quindi implicitamente anche un altro indirizzo della giurisprudenza della Corte costituzionale espresso prima nella sent. n. 2 del 2004 sullo Statuto della regione Calabria e poi ribadito in modo ancor più esplicito nelle sent. nn. 372 (statuto Toscana); 378 (statuto Umbria) e 379 (statuto Emilia-Romagna) del 2004. La Corte ha affermato infatti che i principi contenuti negli Statuti sono enunciazioni a cui “non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica”, ma che si collocano “sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello Statuto”.
Un indirizzo giurisprudenziale, in realtà fonte di tanti malumori in dottrina e dubbi, tanto che il Consiglio di Stato in alcune sentenze 3146/2011 del 27/7/11 e 4502/2011 ha affermato che le norme di principio degli Statuti non possono essere considerate norme programmatiche, ma immediatamente precettive. Nonostante questo indirizzo in parte diverso del Consiglio di Stato, l’interpretazione del valore delle norme di principio degli Statuti regionali sembrano ora tornare nelle parole del giudice amministrativo marchigiano.
In definitiva, secondo il giudice, la rappresentatività femminile è garantita ed in una misura pari al 16,67 %, che, fra l’altro, è abbastanza simile alla rappresentanza presente in Consiglio regionale che è pari al 26%. Anche se si applicasse la stessa percentuale, su 6 assessori dovremmo avere una rappresentanza femminile di 1,56, che, in difetto, può essere ridotta ad una.
Le conclusioni che possono essere tratte da tale decisione sono abbastanza chiare: dalle norme costituzionali, europee ed anche internazionali non può sorgere alcun vincolo diretto nei confronti del Presidente della Regione nella nomina della propria Giunta, se il vincolo non è esplicitato nello Statuto regionale. E ciò deve avvenire, non in modo generico nelle parti preliminari dello Statuto, ma solo nella parte che disciplina l’organizzazione della Regione e la sua forma di governo.