La crisi pandemica sviluppatasi negli ultimi due anni ha contribuito in modo profondo a modificare la struttura economica e istituzionale della nostra società. Invero, seppur negli ultimi mesi la dottrina si sia interessata maggiormente ai rapporti istituzionali e al sistema delle fonti a partire dagli atti adottati dal Governo o dal Parlamento quali risposte economiche e sanitarie alle crisi in atto, il dibattito che ha trovato uno spazio minore è stato quello della legislazione della ripresa. In questo quadro trova una centralità rilevante l’analisi delle modalità con le quali gli Stati, ed in particolar modo l’Italia, hanno affrontato l’individuazione delle priorità e delle progettualità che rappresentano le missioni di rilancio, sia in campo economico, che sociale. L’attività compiuta da numerosi organi costituzionali per addivenire all’elaborazione di una bozza di Piano per la Ripresa e Resilienza, non solamente rappresenta uno snodo cruciale per l’approfondimento dell’effettività di una uscita dalla crisi, ma si riflette in modo particolare sulla capacità espansiva delle competenze tra Stato e Regioni, tra centro e periferie.
E’ fuori discussione il fatto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, approvato e trasmesso dal governo alla Commissione europea il 30 aprile scorso, abbia tra le proprie principali missioni quella di superare una diseguaglianza che spesso si sviluppa quale conseguenza del differente grado di sviluppo e di garanzia dei servizi delle Regioni. Una frattura che si consuma da nord a sud, ma che non lascia fuori da questa diseguaglianza città inserite negli stessi contesti regionali.
La gestione del PNRR e delle varie progettualità risulta quindi strettamente connesso a numerosi atti che, ad oggi, necessitano di una complessa opera di riorganizzazione.
Senza indugiare troppo su quanto previsto in primis dalla Costituzione, per quanto attiene la suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni, e rinviando alla copiosa dottrina in merito, è necessario soffermarsi su quattro tipologie di atti profondamente differenti tra loro: i verbali della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, le linee di indirizzo dell’UE, il testo del PNRR e il decreto legge Semplificazione e governance del PNRR.
Dalla lettura dei verbali si può vedere come l’interesse delle Regioni sia rappresentato principalmente dal Presidente della Conferenza che, tra le varie richieste, pone il tema della necessità di un organo condiviso di regia, dell’istituzione di tavoli tematici e di un maggiore spazio al ruolo delle Regioni. Richieste che vengono solamente in parte riprese nel testo del PNRR e nel decreto legge che ne identifica la governance sui quali torneremo successivamente. I principali documenti sono la “Commission staff working document guidance to member states recovery and resilience plans” del 22.01.2021 della Commissione Europea e il “Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento Europeo e del Consiglio “del 12 febbraio 2021. Tali atti hanno come fine quello di stabilire linee guida, principi e obiettivi del PNRR, le modalità di finanziamento e le regole di erogazione. In questi documenti vengono indicate le modalità con le quali gli Stati avrebbero dovuto predisporre i Piani e i procedimenti nazionali da seguire, le modalità di coinvolgimento, i requisiti per il finanziamento, gli indicatori di valutazione degli organi europei e il loro coordinamento. Gli obiettivi tematici sui quali devono essere costruiti i Piani Nazionali sono la transizione verde, la trasformazione digitale, la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, la coesione sociale e territoriale, la salute e resilienza economica, sociale e istituzionale e le politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani.
Tali previsioni hanno trovato quindi un loro riconoscimento nei d. l. n. 77 del 2021 e 59 del 2021, rispettivamente la normativa sulla governance e il testo del PNRR italiano.
Così i vari interventi non sono altro che il frutto di quattro fasi principali dove il ruolo dei vari livelli territoriali risulta differente: quella di predisposizione del Piano, quella di proposta dei progetti, quella di attuazione e la successiva di monitoraggio e verifica. In ognuna di queste quattro fasi le Regioni svolgono senza dubbio un ruolo centrale, soprattutto per quanto riguarda la fase dell’individuazione degli obiettivi, nonché per quella della esecuzione dei progetti selezionati.
Il PNRR, nell’affrontare gli ambiti di azione sui quali verranno concentrati gli interventi, non dedica molto spazio alle modalità di governance, che sono state successivamente identificate in un decreto ad hoc. Le Regioni vengono così richiamate a rispondere con un forte impegno verso la “questione Sud” e il superamento quindi del grande divario mediante una particolare attenzione alla progettazione delle Regioni meridionali. Ulteriori elementi che rappresentano punti cruciali per l’attuazione del Piano e dei progetti è quello della semplificazione e della sostanziale modifica delle procedure amministrative. Così il Piano richiama la necessità di affermare una “buona amministrazione” mediante una serie di riforme che vadano ad incidere sulla velocità dell’espletamento delle procedure collegate al PNRR e che sono “già state individuate con le associazioni imprenditoriali e condivise con le Regioni, l’UPI e l’ANCI, nell’ambito dell’agenda per la semplificazione”. Si noti che le procedure vengono discusse in modo differente con i soggetti economico-sociali e con quelli istituzionali; mentre con i primi si co-progettano, con i secondi si condivide solamente il risultato.
Come noto, il Piano italiano è articolato in sei missioni (digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute) e 16 Componenti che dovranno portare a numerose riforme (orizzontali, abilitanti e settoriali). Il Piano prevede oltre 222 miliardi di investimenti e le principali finalità sono quelle relative alla riduzione dei divari territoriali, di quelli generazionali e quelli genere.
La Governance è stata così disciplinata con il d.l. n. 77 del 2021 mediante il quale è possibile ripercorrere, o quantomeno ricostruire, sia il confronto istituzionale che le valutazioni giuridiche affrontate.
Il primo punto qualificante la discussione circa l’equilibrio decisionale e organizzativo tra Stato e Regioni, riguarda l’istituzione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla quale parteciperebbero, oltre al Presidente del Consiglio, i Ministri e i Sottosegretari competenti in ragione delle materie.
L’art. 2 che istituisce tale cabina di regia prevede una serie di compiti particolari in capo al livello nazionale, in particolar modo, come visto, al governo nella sua interezza, lasciando altresì poco spazio alla possibilità delle Regioni di inserirsi nel processo di indirizzo. Tale organo dovrebbe infatti compiere tutte le azioni di indirizzo e linee sul Piano, la verifica dell’attuazione e delle eventuali criticità ed effettuare il monitoraggio e lo stato di avanzamento.
Viene altresì previsto un tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale (art. 3) al quale partecipano, sia le Regioni, che le parti economico-sociali e viene affidato alla segreteria tecnica della Presidenza del Consiglio (art. 4) un ruolo centrale nella gestione del Piano. Si prevede inoltre un Ufficio per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione e semplificazione presso la Presidenza del Consiglio (art. 5) che ha, tra i vari compiti, anche quello di promuovere interventi normativi, organizzativi e tecnologici da portare avanti anche attraverso una Agenda di semplificazione condivisa con le Regioni.
Così il monitoraggio dell’attuazione e il controllo rimangono al livello statale con una particolare centralità del MEF e il coordinamento dell’attuazione viene attribuito alle varie amministrazioni centrali secondo le proprie competenze (art. 8).
Si prevedono inoltre un potere sostitutivo in caso di mancato rispetto degli obblighi e impegni finalizzati all’attuazione del PNRR (art. 12) e una procedura di superamento del dissenso (art 13). Numerose sono poi le previsioni che mirano a semplificare i procedimenti amministrativi, modificando altresì la legge n. 241 del 1990. Su tutte si richiamano le riforme relative la disciplina della Valutazione di impatto ambientale (VIA) e della Valutazione ambientale strategica (VAS), il procedimento amministrativo per la produzione di energia da fonti rinnovabili e autorizzativo per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica.
Si inseriscono inoltre, ex multis, previsioni che vanno ad incidere sull’utilizzo del dibattito pubblico per la progettazione, sulla sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, sul procedimento di autorizzazione per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica e per l’agevolazione del superamento del divario digitale, con il potenziamento del sistema delle banche dati e dello scambio di informazioni. In materia di appalti si prevedono inoltre la semplificazione delle procedure per le opere di impatto rilevante e norme precise per i subappalti, premi e penali per l’esecuzione dei contratti legati al PNRR e l’appalto integrato. Vengono inoltre rafforzate la disciplina sulla trasparenza e il sistema delle stazioni appaltanti, oltre che l’obbligo di presentazione di un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne e dei giovani nelle attività e nei processi aziendali.
La disciplina della governance del PNRR risulta essere tuttavia non del tutto chiarita, in quanto le competenze sono prevalentemente incentrate a livello nazionale. Il ruolo delle regioni e degli enti locali, che è stato in gran parte ai margini nella fase di redazione del piano, è attribuito in virtù delle tematiche assegnate al PNRR e di competenza di detti soggetti. Come visto, inoltre, l’interesse nazionale rappresenta una indubbia centralità in quanto sono previsti numerosi meccanismi che permettono allo Stato di sostituirsi alle Regioni e agli enti locali al fine di velocizzare l’utilizzo dei fondi e la partenza dei progetti. I tempi ridotti nell’applicazione del Piano impongono quindi un lavoro comune tra Stato ed enti locali che in fase di attuazione risulterà ancor più chiaro ed evidente.