Periodo di riferimento: aprile – luglio 2021
L’attività legislativa della Regione Siciliana, nel periodo compreso tra aprile e luglio 2021, è consistita nella approvazione di dodici leggi.
Ben sette di queste sono state oggetto di impugnazione da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
- La prima la legge impugnata è la n. 9 del 15 aprile 2021 (Legge di stabilità regionale).
L’articolo 5, comma 1, lett. f) introduce nell’articolo 55 della legge regionale 7 maggio 2015 n. 9 il comma 7-bis con il quale viene riconosciuto al personale del comparto in servizio a tempo indeterminato e determinato presso l’ufficio speciale C.U.C. (Centrale Unica di Committenza) una retribuzione annua sostitutiva dei premi di cui al comma 4 dell’articolo 90 del CCRL vigente nelle misure riconosciute dall'articolo 94 del medesimo CCRL al personale del comparto in servizio presso l'UREGA (Ufficio Regionale Espletamento Gare d'Appalto).
Secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, compresi gli aspetti relativi al trattamento economico, rientra nella materia dell’ordinamento civile e, pertanto, spetta in via esclusiva al legislatore nazionale. Considerato che il decreto legislativo n. 165 del 2001 rimette espressamente alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, la disposizione in esame si porrebbe in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione (da ultimo, nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 16/2020, riguardante un analogo contenzioso con la stessa Regione siciliana).
Peraltro, sebbene alla Regione Siciliana spetti, ai sensi dell'art. 14, lett. q), dello statuto di autonomia, la competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale, tale potestà di regolazione incontra i limiti derivanti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, quali sono i principi desumibili dal T.U. pubblico impiego (Corte cost., sentt. nn. 93 del 2019, 201 del 2018, 178 del 2018, 172 del 2018, 189 del 2007).
1.1. L’articolo 14 detta disposizioni in materia di Interventi in favore del personale ex Arra (Agenzia Regionale per i rifiuti e le acque), cui è riconosciuta, con effetti economici decorrenti dal 1° gennaio 2021, l’anzianità di servizio prestato presso le amministrazioni di provenienza, equiparato al servizio prestato presso l’amministrazione regionale, autorizzando la relativa spesa, per l’esercizio finanziario 2024, ai sensi del comma 1 dell’articolo 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118.
La norma censurata estende il riconoscimento delle anzianità pregresse anche per i servizi svolti dal personale presso enti e soggetti di diritto privato, e successivamente assunti nell’organico dell’ex Arra (Agenzia Regionale per i rifiuti e le acque). Tale servizio è, dunque, equiparato al servizio prestato presso l’amministrazione regionale ed è così modificato il parametro dell’anzianità posto alla base dell’elemento retributivo appena citato, riconoscendosi con effetto retroattivo anche i servizi precedenti all'inquadramento nei ruoli ex Arra e regionali. Ciò influisce direttamente sulla determinazione della retribuzione individuale che il legislatore nazionale ha demandato alla contrattazione.
Peraltro, secondo il Governo, il riconoscimento di tali effetti economici con valore retroattivo determina progressioni ed avanzamenti di fascia economica all’interno delle categorie previste dal vigente ordinamento professionale, con conseguente incremento della retribuzione tabellare (trattamento economico fondamentale) al personale all’epoca non in servizio nei ruoli regionali e, in quanto tale, non in possesso dei requisiti soggettivi di anzianità di effettivo servizio, previsti dai rispettivi CCRL pro-tempore vigenti.
Dunque, mentre la contrattazione collettiva non ha previsto la valutazione dei servizi resi presso enti e soggetti di natura privata, coerentemente con le vigenti disposizioni normative e degli orientamenti giurisprudenziali, l’intervento regionale interviene in senso diverso nella disciplina normativa dell’ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva tali aspetti.
Anche in questo caso valgono perciò i rilievi mossi alla disciplina contenuta nell’art. 5 di cui si è detto: alla Regione Siciliana spetta, ai sensi dell'art. 14, lett. q), dello Statuto di autonomia, la competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale, ma essa deve rispettare il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, tra i quali i principi desumibili dal testo unico del pubblico impiego.
Si rileva, inoltre, il contrasto della disposizione in oggetto con l’articolo 38 del decreto legislativo n. 118 del 2011 e, attraverso questo, con l’articolo 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici.
Infatti, «il riconoscimento dell’anzianità pregressa determina un nuovo beneficio economico per il solo personale in mobilità ex Arra consentendo l’incremento della “retribuzione individuale di anzianità”, il cui onere è stato previsto dalla disposizione in esame e che, in quanto tale, si aggiunge agli stanziamenti previsti dalla stessa Regione per i rinnovi contrattuali del personale».
Tali oneri assumono natura di “spese obbligatorie” quali componenti del trattamento economico fondamentale della retribuzione e, pertanto, da corrispondere in via permanente e strutturale ai dipendenti.
La previsione della copertura finanziaria della maggiore spesa a carico del bilancio regionale, fa erroneamente richiamo all'articolo 38 del d.lgs. n.118 del 2011 per gli oneri a decorrere dall’esercizio finanziario 2024, daro che la previsione richiamata si riferisce espressamente alle sole spese non obbligatorie, mentre in questo caso, trattandosi di spesa di natura obbligatoria afferente al trattamento economico del personale ex Arra, il relativo onere deve essere indicato a regime, e la sua quantificazione non può essere rinviata alla legge di bilancio.
Un ulteriore profilo di illegittimità è prospettato dal Governo rispetto alla violazione dell’art. 3 Cost., determinandosi una disparità di trattamento, anche in termini di avanzamenti economici, tra il personale transitato nei ruoli della Regione e altri dipendenti pubblici regionali e il personale, sia dipendente della Regione stessa sia dipendente di altre P.A., inquadrato nei rispettivi ruoli a seguito di analoghe procedure di mobilità che non beneficia della ricostruzione economica retroattiva prevista per i soli dipendenti ex Arra.
1.2. L’art. 36, al comma 1, estende l’applicazione delle misure di cui all’articolo 1, commi da 292 a 296, della legge 30 dicembre 2020 n. 178, ai lavoratori inseriti nell’elenco di cui all'articolo 30, comma 1, della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5.
In particolare, la predetta disposizione è volta a favorire l’assunzione a tempo indeterminato delle categorie di lavoratori di cui all’articolo 2, comma 1, del d.lgs. 81/2000 (soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili), e all’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 280/1997 (soggetti impegnati in lavori di pubblica utilità). La norma estende il regime di assunzioni a tempo indeterminato – disposto dalla legge n. 178/2020, art. 1, commi 292-296, in favore dei lavoratori socialmente utili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (LSU), e all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 280 (LPU), nonché dei lavoratori già rientranti nell’abrogato articolo 7 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (lavoratori percettori di trattamento straordinario di integrazione salariale), e dei lavoratori impegnati in attività di pubblica utilità, anche mediante contratti di lavoro a tempo determinato o contratti di collaborazione coordinata e continuativa nonché mediante altre tipologie contrattuali – ai lavoratori inseriti nell’elenco di cui all’articolo 30, comma 1, della legge regionale 28 gennaio 2014 n. 5, che a sua volta ricomprende sia titolari di contratto a tempo determinato sia soggetti utilizzati in attività socialmente utili.
L’articolo 1 comma 292, della legge 178 del 2020, nel disciplinare le modalità di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori socialmente utili, dispone che le amministrazioni pubbliche utilizzatrici di tale personale, di cui all’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2000 e all’articolo 3, comma 1 del d.lgs. n. 280 del 1997, anche mediante contratti di lavoro a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa, nonché mediante altre tipologie contrattuali, possono procedere con le assunzioni solo a condizione che gli stessi lavoratori siano in possesso degli specifici requisiti di cui alle lettere a), b), c) e d) del richiamato comma 292.
Il Governo dubita che l’ampliamento della categoria ammessa ad utilizzare la procedura e le deroghe di cui all’articolo 1, commi da 292 a 296, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, previsto dalla legge regionale rispetti i vincoli e i requisiti richiesti dal legislatore nazionale, trattandosi di percettori di un’indennità mensile di sostegno al reddito, il cui impiego da parte della Regione e dei Comuni avviene in base a convenzioni e protocolli e non con contratti di lavoro.
A tal proposito è richiamata la sentenza n. 194 del 2020 della Corte Costituzionale che non esclude la possibilità di stabilizzazione di rapporti precari, ma richiede il rispetto dei limiti stabiliti della normativa statale di riferimento. Nel caso di specie, non sembrano rispettati, stante il sopra evidenziato disallineamento con la normativa nazionale quanto all’ambito soggettivo di applicazione e ai requisiti richiesti, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. l) Cost.
L’art. 36 della legge regionale, e in particolare il comma 2, determinerebbe inoltre una violazione dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle richiamate a proposito della previsione di cui all’art. 14, ponendosi in contrasto con l’articolo 38 del d.lgs. n. 118 del 2011 che stabilisce che l’onere annuale deve essere indicato a regime, e conseguentemente, con l’articolo 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici” e l’articolo 117, terzo comma, in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Infine, la disposizione regionale si porrebbe «in contrasto anche con quanto previsto dall’articolo 3 della Costituzione, in materia di uguaglianza e parità di trattamento, in quanto determina evidenti disparità rispetto ad altri soggetti, siano essi personale precario sia destinatari di altre analoghe forme di sostegno al reddito, che non possono essere assunti con tale procedura agevolata in quanto destinatari della normativa statale di natura ordinaria finalizzata al superamento del precariato delle pubbliche amministrazioni (articolo 20 del decreto legislativo n. 75/2017)».
1.3. L’altra disposizione oggetto di analoghe censure è quella di cui all’articolo 50, a norma della quale «entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Aziende del Servizio Sanitario Regionale e l'istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia procedono ad incrementare le ore di incarico a tempo indeterminato a ciascun medico veterinario specialista ambulatoriale interno, già titolare di incarico da almeno 5 anni, per il raggiungimento di almeno trenta ore di incarico settimanali per medico-veterinario. Gli incrementi di orario eccedenti la quota di almeno trenta ore settimanali di cui al comma 1 devono essere motivati e autorizzati dall’Assessorato regionale della Salute, sulla base di una preventiva ricognizione del fabbisogno delle prestazioni e delle attività programmate o programmabili, relative alla specialistica ambulatoriale veterinaria, presso ciascuna Azienda sanitaria provinciale e presso la sede dell'istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia e possono essere attribuiti nel rispetto del vincolo dell'equilibrio economico del bilancio aziendale. 3. I direttori generali delle Aziende sanitarie provinciali e dell’istituto Zooprofilattico sperimentale della Sicilia sulla base delle criticità riscontrate e della programmazione delle attività, compatibilmente con il titolo di specializzazione di cui all'allegato 2 dell’Accordo Collettivo Nazionale del 31 marzo 2020, in possesso di ogni medico veterinario specialista e sulla base dei criteri di valutazione, di cui all’articolo 21 comma 3, del citato Accordo Collettivo Nazionale, possono disporre una sola volta il passaggio dell’intero effettivo delle ore di incarico a branche diverse, allo scopo di ottimizzare e concentrare le risorse sulle attività prioritarie, previa formale accettazione degli interessati. 4. In caso di transito da una branca all’altra, allo specialista è riconosciuta l'anzianità di servizio già maturata. Al fine di garantire l'appropriatezza delle prestazioni, il transito ad altra branca potrà avvenire a seguito di un adeguato periodo di affiancamento».
Tali disposizioni regionali contrasterebbero con quelle previste dall’Accordo Collettivo Nazionale del 31 marzo 2020 per la disciplina dei rapporti con specialisti ambulatoriali interni, veterinari e altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ambulatoriali.
Il Governo, richiamando la sentenza n. 10 del 2019 della Corte costituzionale, osserva come non sia consentito a una legge regionale stabilire delle deroghe ad un accordo collettivo nazionale che, in attuazione dell’articolo 8 del decreto legislativo 502 del 1992, determini puntualmente la disciplina di un determinato aspetto del rapporto di lavoro.
E per tale ragione promuove la questione di legittimità costituzionale per violazione della competenza statale esclusiva in materia di “ordinamento civile” (articolo 117, secondo comma, lettera I), Cost.), nonché del principio di eguaglianza (articolo 3, Cost.), non garantendosi l’uniformità, sul territorio nazionale, delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti in questione.
1.4. Un altro gruppo di disposizioni, contenute nella medesima legge regionale, è impugnato essenzialmente perché violerebbero il divieto di spese non obbligatorie, ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, al quale la Sicilia è sottoposta, essendo in piano di rientro dal disavanzo sanitario.
1.4.1. Si tratta, in particolare, dell’articolo 41 (Progetti a favore degli studenti con disabilità), nella parte in cui, da un lato, prevede al comma 2 che l’onere relativo agli interventi previsti a favore di tale categoria gravino per un totale di 5 milioni di euro sulla missione 12 e, dall’altro, al comma 3, specifica che ai predetti oneri si fa fronte per la quota parte di 1 milione di euro con riduzione della missione 13, violando i princìpi fondamentali dettati nella materia “coordinamento della finanza pubblica” sancito dall’articolo 117, terzo comma della Costituzione, l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, l’articolo 117, secondo comma, lett. m) in materia di livelli essenziali di assistenza e l’articolo 117, terzo comma della Costituzione in materia di tutela della salute.
Tale disposizione travalica, inoltre, le competenze affidate alla Regione dallo Statuto di autonomia che, all’articolo 17, comma 1, lettera c), affida alla stessa il potere di emanare leggi in materia di assistenza sanitaria, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, ponendo però il limite “dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”.
1.4.2. L’articolo 53 stabilisce che «In conformità alle indicazioni espresse dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA), nelle more dell’autorizzazione definitiva da parte dell’AlFA, è autorizzata la terapia genica "Zolgensma", già inserita dall’AlFA nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del servizio sanitario nazionale ai sensi del decreto legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, per il trattamento dei lattanti e dei bambini affetti da atrofia muscolare spinale (SMA) fino a 21 chilogrammi di peso, anche oltre i sei mesi di età. Ai relativi oneri provvede a valere sulle risorse del capitolo 413374 nella misura di 4.200 migliaia di euro (Missione 13, Programma 1, capitolo 413374)».
La norma non risulterebbe coerente con la legislazione vigente, in quanto richiama uno statuto normativo non più applicabile alla fattispecie disciplinata. In particolare, essa non tiene conto dell'intervenuta adozione della determinazione dell’AlFA n. 277 del 10 marzo 2021, con la quale è stato definito il regime di rimborsabilità e prezzo del farmaco in questione.
Secondo il Governo la norma regionale «costituisce un livello ulteriore di assistenza, che la regione Sicilia, in quanto soggetta al piano di rientro dal disavanzo sanitario non potrebbe assicurare, neanche con fondi sociali, vigendo il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311».
Si richiama sul punto la giurisprudenza della Corte costituzionale (ex multis, sent. n. 104 del 2013), secondo la quale «l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», specie «in un quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario».
Alla luce di tali indicazioni si configurerebbe l’illegittimità costituzionale dell’articolo 53 per violazione del principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) in materia di livelli essenziali di assistenza e dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, in quanto, in ragione della sua genericità, si pone in contrasto con i princìpi di certezza e attualità della copertura finanziaria.
La disposizione travalicherebbe poi le competenze affidate alla Regione dallo Statuto di autonomia che, all’articolo 17, comma 1, lettera c), le affida il potere di emanare leggi in materia di assistenza sanitaria, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, ma pur sempre ne rispetto del limite «dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”.
1.4.3. Profili di illegittimità si riscontrano anche in relazione all’articolo 54, in particolare laddove prevede l’istituzione di centri regionali di riferimento per l'esecuzione delle analisi genetiche denominate “Non Invasive Prenatal Test- NIP” e contempla, a favore delle assistite residenti in ambito regionale, l’esenzione dalla partecipazione al costo correlato ai predetti screening, disponendo altresì che «al fine dell'adeguamento delle strutture e degli impianti tecnologici, operativi e strumentali finalizzato ad assicurare l’offerta dello screening prenatale di cui al comma 2, è autorizzata la spesa di 4.000 migliaia di euro cui si provvede a valere sul Fondo sanitario regionale».
Osserva al riguardo il Governo che le indagini genetiche indicate dalla disposizione in esame non sono attualmente incluse nei livelli essenziali di assistenza e conseguentemente non possono essere garantite dal SSN.
L’allegato 10C del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 (Condizioni di accesso alla diagnosi prenatale invasiva, in esclusione dalla quota di partecipazione al costo), infatti, non contempla i NIPT tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria per i quali è prevista la relativa esenzione.
La previsione contenuta nel comma 2 dell'articolo impugnato, dunque, integra un livello ulteriore di assistenza, che la regione Sicilia, essendo in piano di rientro, non può assicurare, vigendo il divieto di spese non obbligatorie, ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004. Da qui il contrasto con l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, per violazione dei princìpi fondamentali della materia “coordinamento della finanza pubblica” e dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), in materia di livelli essenziali di assistenza.
Nella disposizione in esame, peraltro, non sono contenute indicazioni in ordine alle risorse che si intendono utilizzare per l’esecuzione dei NIPT in regime di esenzione, facendosi solo riferimento alle risorse che verranno utilizzate per l’adeguamento delle strutture e degli impianti tecnologici, operativi e strumentali finalizzato ad assicurare l’offerta dello screening prenatale stesso. Pertanto, si ravvisa anche la violazione dell’articolo 81, terzo comma Cost., in quanto, in ragione della sua genericità, si pone in contrasto con i princìpi di certezza e attualità della copertura finanziaria costituzionalmente garantiti.
1.4.4. L’articolo 55 presenta un profilo di incostituzionalità relativamente alla previsione secondo la quale «Al fine di garantire maggiore accessibilità alla terapia antidolorifica nelle pazienti affette da endometriosi, in ottemperanza a quanto stabilito dalle società scientifiche del settore, l’Assessore per la salute è autorizzato a consentire la prescrivibilità dei farmaci antinfiammatori non steroidei in fascia A in deroga ai vincoli previsti dalla nota AlFA 66 per tutte le pazienti in possesso del codice di esenzione 063. Ai relativi oneri nei limiti di un milione di euro si provvede a valere sulle risorse del capitolo 413374 (Missione 13, Programma 1, capitolo 413374)».
Anche in questo caso si sarebbe in presenza di un livello ulteriore di assistenza (extra-LEA) che la regione Sicilia non può garantire, in quanto soggetta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, stante il divieto di spese non obbligatorie.
Da qui la violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost. per violazione dei princìpi fondamentali della materia “”coordinamento della finanza pubblica” e dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), in materia di livelli essenziali di assistenza, ed il superamento delle competenze statutarie.
1.4.5. L’articolo 56, comma 1, riconosce un contributo al REMESA (REseau MEditerranèen de Santè Animale), ovvero una rete che è stata istituita sotto l’egida dell'OlE (Organizzazione Mondiale della Sanità Animale) e della FAO (Organizzazione Mondiale dell'Alimentazione e dell’Agricoltura), che comprende i Capi dei Servizi Veterinari di 15 Paesi del Mediterraneo e ha obiettivi e finalità diverse dall’ufficio istituito presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia (IZS), sede di Palermo, denominato Scientific and Technical Office of REMESA (STOR).
Per le attività istituzionali l’IZS Sicilia, nel marzo 2021, ha presentato già un progetto all'OlE, con una richiesta di finanziamento per la stessa cifra indicata dalla norma regionale.
Tale finanziamento previsto dalla legge della regione siciliana «non può essere decurtato dalle risorse del Fondo Sanitario Nazionale, destinate, per la quota spettante, al funzionamento e alle funzioni istituzionali ordinarie dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, così come individuate dalla delibera CIPE “Fondo sanitario nazionale - Riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale”, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992 (cfr. Tabella B - delibera CIPE 14 maggio 2020, n. 20 - (20A04860) GU Serie Generale n. 230 del 16-09-2020)».
Così facendo la disposizione in parola violerebbe i princìpi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e in materia di «tutela della salute», in quanto distrae risorse del Fondo sanitario Nazionale.
1.4.6. L’articolo 57 prevede, al primo comma, che «Al fine di sopperire alle richieste derivanti dal rapporto di fabbisogno accertato dalle autorità sanitarie nazionali di produzione di “cannabis terapeutica”, l’Assessorato regionale dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea è autorizzato anche tramite i propri enti strumentali, all’avvio di progetti innovativi pure nelle forme del partenariato con le società presenti sul territorio nazionale, finalizzati ad avviare le procedure previste dall'articolo 17, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90».
La disciplina statale richiamata attribuisce una serie di poteri autorizzatori al Ministero della salute, le cui competenze amministrative sono state ulteriormente precisate dal D.M. 9 novembre 2015 (Funzioni di Organismo statale per la cannabis previsto dagli articoli 23 e 28 della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972).
Dal quadro normativo è chiaro che le autorizzazioni alla sperimentazione, anche nell’ambito di progetti che comportino pure indirettamente un utilizzo delle piante ai sensi delle norme sopra richiamate, devono essere rilasciate preventivamente dal Ministero della salute.
Secondo la ricostruzione del Governo le esigenze di tutela della salute «richiedono, in attuazione del principio di adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, un esercizio unitario (in tal senso, anche la Corte Costituzionale, sentenze nn. 12/2004 e 303/2003)» e ciò risponderebbe anche all’obiettivo di tutela del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
Di contro, la norma regionale rischierebbe «di realizzare una commistione tra le funzioni dell’Assessorato regionale all'agricoltura e quelle amministrative proprie del Ministero della salute, con possibili ripercussioni sull’effettiva capacità del sistema di assicurare un adeguato livello di garanzie al fondamentale diritto alla tutela della salute presidiato dall’articolo 32 della Costituzione».
- La seconda legge regionale oggetto di impugnazione statale è la n. 12 del 26 maggio 2021 (Norme in materia di aree sciabili e sviluppo montano).
2.1. L’articolo 3 prevede, al comma 2, che i comuni, singolarmente o in forma associata, possano costituire o partecipare a società, anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalità di promozione e tutela delle “località montane e le relative aree sciabili in ragione della loro valenza in termini di sviluppo economico e culturale, di coesione sociale e territoriale”, nonché di sostegno “alla pratica dello sci e di ogni altra attività ludico-sportiva e ricreativa, invernale o estiva, che utilizzi impianti e tracciati destinati all’attività sciistica”, di cui all’articolo 1 della legge regionale in esame o, comunque, lo sviluppo “delle attività con attrezzi, quali lo sci alpino, lo snowboard lo sci da fondo, lo slittino” di cui all’articolo 2 della medesima legge.
La disposizione, secondo il Governo, si porrebbe in contrasto con l’articolo 4 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP) di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016, che consente la costituzione di società ovvero l’acquisizione di partecipazioni societarie solo nel rispetto delle condizioni stabilite ai commi 1 e 2[1].
Ai fini della interpretazione di tali condizioni appare fondamentale la definizione della nozione di “servizio di interesse generale”; essa è contenuta nel TUSP all’articolo 2, comma i, lettera h), secondo cui sono tali «le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale».
Il Governo rammenta come «la Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 398/PAR/201 6) ha chiarito che il servizio può essere svolto dall’ente locale se l’intervento dell’ente stesso sia necessario per garantire l'erogazione del servizio, alle condizioni stabilite nella disposizione appena richiamata, ossia se, senza l'intervento pubblico, sarebbero differenti le condizioni di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione qualità e sicurezza al servizio oggetto di attenzione».
E la stessa Corte dei conti, «con la citata deliberazione 398/PAR/2016, soggiunge che nel caso in cui la partecipazione dell'ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di interesse generale" posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell'ente, l’intervento pubblico (stante la partecipazione minoritaria) non può garantire l’accesso al servizio così come declinato nell’articolo 4: l’accesso al servizio non sarebbe svolto dal mercato o sarebbe svolto a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica, economica, continuità, non discriminazione. Infatti, una partecipazione poco significativa non sarebbe in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio che potrebbero legittimare il mantenimento della quota».
La conclusione alla quale giunge il ricorso dello Stato è che «tenuto conto che le attività che si intendono realizzare attraverso il veicolo societario non appaiono strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali proprie della Regione (...) la norma recata dall’articolo 3 comma 2, della legge regionale in esame, in ragione del contrasto con l’articolo 4 del TUSP, appare critica, sotto il profilo della legittimità, costituzionale, in relazione alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 117, terzo comma, nonché al principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione».
2.2. Oggetto di impugnazione è anche la disposizione di cui all’articolo 10, comma 3, laddove prevede la possibile partecipazione di tecnici ed esperti ai lavori della Commissione di coordinamento per le aree sciabili, di cui al comma 1 del medesimo articolo, che determinerebbe oneri non quantificati, per i quali non è indicata la copertura finanziaria, in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
- La legge regionale n. 17 del 21 luglio 2021 (Termine ultimo per la presentazione delle istanze di proroga delle concessioni demaniali marittime), è impugnata limitatamente alla previsione contenuta nell’articolo 3 che, sostituendo il comma 1-bis dell’articolo 2 della legge regionale 16 dicembre 2020, n. 32 (introdotto dalla legge regionale n. 9 del 2021) consente di derogare, con riferimento alle nuove istanze di concessioni demaniali marittime presentate alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 32 del 2020, alle previsioni dei Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime disciplinati dalla legge regionale 29 novembre 2005, n. 15 (Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), motivando tale deroga con il riferimento all’emergenza epidemiologica e finalizzandola allo scopo di consentire all’amministrazione concedente la conclusione dei procedimenti amministrativi.
3.1. La previsione regionale eccederebbe le competenze attribuite alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia, ponendosi in contrasto con l’articolo 14, lettere f) e n) e 32 dello stesso statuto speciale, e violando gli articoli 3, 9 e 117, primo e secondo comma lettera s) della Costituzione.
Il Governo rammenta che il piano di utilizzo delle aree demaniali marittimi (PUDM) è il documento di pianificazione comunale, previsto dall’articolo 4 della legge regionale n. 15 del 2005, che regola le modalità di utilizzo della fascia costiera demaniale e del litorale marino, sia per finalità pubbliche che per iniziative connesse ad attività di tipo privatistico, in conformità ai principi definiti dall’Unione Europea ed alla vigente legislazione statale e regionale di settore.
La Regione Siciliana ha potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lettera n), dello Statuto di autonomia, nonché di urbanistica, ai sensi della lettera f) del medesimo articolo 14, così come vanta la titolarità dei beni demaniali presenti nel proprio territorio (art. 32 dello Statuto). Con il D.P.R. 30 agosto 1975, n. 637 sono state dettate inoltre le “Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti”, ai sensi delle quali «L’amministrazione regionale esercita nel territorio della regione tutte le attribuzioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio» (art. 1).
La potestà legislativa della Regione deve, tuttavia, esplicarsi pur sempre «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano», secondo quanto disposto all’articolo 14 dello Statuto regionale.
Tra questi limiti, conclude il Governo, ci sono anche le «previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e segnatamente gli artt. 135, 143 e 145, qualificabili come “norme di grande riforma economico-sociale”, e in particolare quelle di cui agli artt. 135, 143 che si impongono anche alle autonomie speciali (Corte cost., sent. n. 283 del 2013)», sicché «il piano paesaggistico assume carattere necessariamente sovraordinato agli strumenti di pianificazione territoriale».
Le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio citate, peraltro, dettano misure applicative degli obblighi assunti dall’Italia con l’adesione alla Convenzione europea del paesaggio (articolo 3, articolo 5, lettera d) e articolo 6, lettere D e E) cui è stata data esecuzione dalla legge 9 gennaio 2006, n. 14.
Inoltre «la previsione regionale, consentendo la deroga generalizzata ai Piani di utilizzo del demanio marittimo, senza che tale deroga sia giustificata dalla cura di un altro interesse di rango costituzionale primario, comporta anche un ingiustificato abbassamento del livello della tutela del paesaggio, con conseguente violazione pure dell’art. 9 della Costituzione».
3.2. Un ultimo profilo di incostituzionalità riguarda la medesima disposizione, laddove fa riferimento «al fine di consentire all’amministrazione concedente la conclusione dei procedimenti amministrativi».
Secondo il Governo «si tratta di istanze di nuove concessioni e, al riguardo, non emerge alcuna ragionevole correlazione tra la possibilità per l’amministrazione di concludere i procedimenti amministrativi e la deroga a norme di legge che tutelano rilevanti interessi pubblici correlati al demanio marittimo. La disposizione sottende la prospettazione secondo la quale i procedimenti potrebbero concludersi solo omettendo la cura di fondamentali interessi pubblici, omettendo la ragione stessa cui sono preordinati tali procedimenti e gli organi che vi sovrintendono».
In questo caso si profilerebbe «una violazione l’articolo 3 della Costituzione, in ragione dell’irragionevolezza e mancanza di proporzionalità della misura».
Tale previsione «risulta irragionevole in quanto, trattandosi di nuove concessioni non verrebbero comunque rilasciate per un periodo strettamente correlato alla durata dell’emergenza sanitaria, bensì per la durata ordinariamente prevista. La deroga avrebbe potute presentarsi come ragionevole soltanto ove fosse stata riferita a concessioni già in essere e fosse stata strettamente connessa alle esigenze di distanziamento interpersonale, con la possibilità, proporzionata al fine e contenuta nel tempo, di deroghe alle previsioni di Piano connesse con l’esigenza di rispetto degli obblighi derivanti dalle norme volte a contrastare la diffusione di pandemia. Così facendo la Regione legittima mediante un improprio riferimento alla pandemia in corso una sostanziale deroga sine die delle previsioni di tutela contenute nei Piani di utilizzazione del demanio marittimo, accantonando il rispetto dei profili di interesse pubblico connessi alla tutela paesaggistica (...)».
- La legge della regionale del 21 luglio 2021, n. 18 (Modifiche all’articolo 6 della legge regionale 21 ottobre 2020, n. 24), presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 1, comma 2, che viola la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione.
L’art. 1, comma 2, della legge in esame, nell’integrare l’art. 6 (Competenze dei comuni. Distanze minime.) della legge regionale n. 24/2020 in materia di prevenzione e il trattamento del disturbo da gioco d’azzardo, introduce l’istituto del subingresso per atto tra vivi nelle licenze di pubblica sicurezza.
Tale previsione contrasterebbe con quanto stabilito dalla disciplina statale in materia di pubblica sicurezza di cui agli artt. 8, 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza - TULPS) che individua il principio della personalità delle licenze di polizia, «a mente del quale deve esserci coincidenza tra il titolare della licenza e colui che gestisce l’attività autorizzata, con la conseguenza che dette autorizzazioni non possono essere trasmesse o cedute ad altri soggetti».
L’unica ipotesi di subingresso contemplata dalla disciplina statale è quella indicata all’art. 12 bis del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento di esecuzione del TULPS) che prevede, nel caso di morte del titolare, che «l'erede, ovvero, se si tratta del titolare di un'impresa esercitata in forma societaria, colui che vi subentra, può richiedere il rilascio di una nuova autorizzazione, continuando l’attività nei tre mesi successivi alla data della morte».
Pertanto l’art. 1, comma 2, ultimo periodo, della legge in esame, introducendo una nuova ipotesi di subingresso nelle licenze di pubblica sicurezza, contrasta con gli artt. 8, 86 e 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza - TULPS), e viola la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione.
- La legge 29 luglio 2021, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 in materia di compatibilità delle costruzioni realizzate in aree sottoposte a vincolo) introduce, all’art. 1, una norma, che pur se definita “di interpretazione autentica”, determina in realtà un’estensione dei limiti applicativi del c.d. terzo condono, di cui al decreto-legge n. 269 del 2003, consentendo il rilascio del titolo in sanatoria anche in presenza di vincoli relativi, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 32, comma 27, del citato decreto n. 269 del 2003, le cui previsioni non risultano derogabili da parte delle Regioni, anche ad autonomia speciale, secondo quanto da tempo chiarito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Essa introduce, nella legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), il nuovo art. 25-bis che fornisce, apparentemente, l’interpretazione autentica dell’art. 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15, (Misure finanziarie urgenti. Assestamento del bilancio della Regione e del bilancio dell'Azienda delle foreste demaniali della Regione siciliana per l'anno finanziario 2004. Nuova decorrenza di termini per la richiesta di referendum); quest’ultimo disciplina nella Regione il c.d. terzo condono, di cui all'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Con l’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2004 la Regione ha disposto che dalla data di entrata in vigore della stessa «è consentita la presentazione dell’istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni. Sono fatte salve le istanze di sanatoria già presentate e le anticipazioni versate ai sensi della predetta legge alle quali si applicano le disposizioni di cui al presente articolo».
5.1. La norma impugnata si porrebbe «in contrasto con i limiti alla potestà legislativa regionale sanciti dall’art. 14 dello Statuto speciale e invade la sfera di competenza statale»; ciò anche alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale.
In particolare, nella sent. n. 160 del 2021 (punto 2.2.3. del Considerato in diritto si legge: «Per costante giurisprudenza di questa Corte, «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta ,in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato» (ex plurimis, sentenze n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017).
Per quanto riguarda segnatamente le regioni ad autonomia speciale dotate, in base al loro statuto, di competenze a loro volta esclusive nella materia, questa Corte ha affermato in molteplici occasioni che il legislatore statale «conserva il potere, “nella materia ‘tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali’, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza n. 51 del 2006) […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come ‘riforme economico-sociali’ si impongono al legislatore di queste ultime” (sentenza n. 238 del 2013)» (sentenza n. 172 del 2018, in relazione alla competenza primaria della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio; nello stesso senso, più di recente, sentenze n. 130 del 2020, in relazione alla medesima competenza della Regione Siciliana, e n. 118 del 2019, sull’analoga competenza primaria della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste)».
Secondo il Governo «il tenore letterale dell’art. 24 della legge regionale n. 15 del 2004 porta a ritenere che tale disposizione rechi un recepimento integrale dell’articolo 32 del d.l. n. 269 del 2003, con la conseguente inammissibilità delle domande di condono relative ad abusi commessi in zona soggetta a vincolo di inedificabilità relativa».
A sostegno di tale conclusione è richiamata Cassazione penale, sez. III, sent. n. 30693 de 2021 (in senso conforme, ex multis, Cass. Sez. III, sentt. nn. 7400 del 2017, n. 45977 2011 e n. 45527 del 2016), laddove afferma che «Il legislatore regionale, a differenza di quanto accaduto con la L.R. n. 37 del 1975, ha recepito nell’ambito territoriale della Regione Sicilia, la L. n. 326 del 2003, art. 32 direttamente e integralmente e cioè sia con riguardo alle forme che ai limiti ivi previsti, tra cui, anche, la previsione di cui al comma 27, lett. d), per la quale la concessione edilizia in sanatoria non può essere rilasciata per interventi di nuova costruzione in aree sottoposte ai vincoli ivi citati».
Dunque «la legge in esame estende indebitamente, per la sola Regione Siciliana, i limiti applicativi del c.d. terzo condono».
Si interviene in un ambito – quello del condono edilizio – che è riservato in via assoluta allo Stato e sul quale, pertanto, la Regione è sfornita di potestà legislativa, estendendo l’ambito degli abusi suscettibili di sanatoria.
5.2. La norma impugnata contrasterebbe altresì «con la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, in quanto determina una “lesione diretta” dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell’intero territorio nazionale.
Rammenta il Governi come la disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio costituisca «un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente (Corte cost., sentt. nn. 172 e 178 del 2018, 199 del 2014, 246 e 145 del 2013, 67 del 2010, 104 del 2008, n. 378 del 2007).
5.3. Infine, la disposizione censurata non fornisca una interpretazione di una precedente previsione legislativa, ma «introduce surrettiziamente una prescrizione nuova e retroattiva, che estende l’ambito di applicabilità del condono edilizio, dopo diciassette anni dalla entrata in vigore della disciplina che lo regolava».
La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto estensibili alla legislazione regionale i principi e i limiti elaborati in tema di interpretazione autentica della legge.
Alla luce di questi, secondo il Governo, «Nel caso in esame, la previsione normativa non è qualificabile come norma di interpretazione autentica, in quanto non dirime un dubbio sulla portata della disposizione asseritamente interpretata, ma introduce retroattivamente una norma innovativa, che estende la portata del condono a casi che pacificamente non vi rientrano in base alla disciplina statale», con l’effetto di determinare «una grave instabilità dei rapporti giuridici e che appare del tutto arbitraria, con conseguente violazione dei parametri sopra richiamati».
Per tale ragione essa si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi (artt. 14 e 27 dello Statuto di autonomia; artt. 117, 123 e 127 Cost., relativi all’attività legislativa regionale); con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza (cfr. Corte cost. sentt. n. 39 del 2006 e n. 308 del 2013); con la CEDU, sotto il profilo del rispetto della certezza ed effettività delle relazioni giuridiche (art. 6 e 13) e dunque con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, nonché con l’art. 14 dello Statuto di autonomia, determinando una violazione degli obblighi internazionali assunti dallo Stato.
5.4. Un ultimo profilo di illegittimità, legato a quello appena richiamato, deriverebbe dall’estensione con efficacia retroattiva dell’area degli illeciti condonabili che avrebbe «una evidente ricaduta infine sul piano dell’ordinamento penale, parimenti riservato alla potestà legislativa statale, con conseguente violazione dell’art.117, secondo comma, lett. 1), Cost. e dell’articolo 14 dello Statuto speciale», dato che «la norma in esame finisce per invadere la sfera riservata al legislatore statale in materia penale, con un inammissibile e ingiustificato trattamento di favore per illeciti eventualmente commessi nel territorio siciliano, a danno del paesaggio e del patrimonio culturale».
- La legge regionale del 29 luglio 2021, n. 20 (Legge regionale per l’accoglienza e l’inclusione. Modifiche di norme) è impugnata con riguardo ad alcune disposizioni che eccederebbero le competenze attribuite alla Regione Siciliana dagli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale e violerebbero l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, il quale attribuisce (lett. a) alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, la materia del “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini non appartenenti all’Unione Europea” e (lett. b), la materia dell’“immigrazione”.
Con la legge in esame, la Regione Siciliana detta disposizioni in materia di accoglienza e inclusione sociale che, nell’asserito “esercizio delle proprie competenze”, si riferiscono ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea - ivi compresi i richiedenti e i titolari di protezione internazionale, nonché i beneficiari di protezione complementare – e agli apolidi dimoranti nel territorio della Regione.
Al riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr., ex multis, sentenza 12 aprile 2010, n. 134), deve essere riconosciuta la possibilità di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell’immigrazione, per come previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 286/1998, recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero”, secondo cui «Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione».
Tuttavia, tale potestà legislativa regionale non può riguardare profili fondamentali di disciplina della materia dell’immigrazione (quali, ad esempio, le politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale), rimessi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ma “altri ambiti, rientranti nelle competenze regionali, come il diritto allo studio o all’assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle Regioni (sentenze n. 50 del 2008 e n. 156 del 2006), ovvero l’assistenza in genere e quella sanitaria in particolare, peraltro secondo modalità (in necessario previo accordo con le prefetture) tali da impedire comunque indebite intrusioni” (sentenza n. 300 del 2005).
Si sottolinea, altresì, che, secondo il medesimo articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le disposizioni del citato Testo unico «hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica».
6.1. L’articolo 3, comma 2, lett. c) e d), l’articolo 6, l’articolo 7, comma 2, lett. d), l’articolo 14, comma 3, prevedono forme di programmazione monitoraggio, coordinamento, può incidere sui aspetti di competenza esclusiva statale, senza alcun riferimento agli strumenti previsti dalla vigente normativa nazionale, e perciò si porrebbero in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
6.2. Una doglianza diversa riguarda l’articolo 13 che si propone di favorire l’individuazione dei mediatori culturali operanti sul territorio e promuove una maggiore diffusione di tale figura professionale anche presso i servizi sanitari.
La specificità dell’iniziativa della regione Sicilia, rispetto a iniziative analoghe promosse da altre Regioni, è che essa «non solo istituisce un elenco regionale, ma attribuisce all’assessore competente la funzione di disciplinare, con proprio decreto, i requisiti di iscrizione a tale elenco».
A tal proposito il Governo richiama la giurisprudenza costituzionale secondo la quale «l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifìco collegamento con la realtà regionale» (C. cost., sentt 98 del 2013 e 47 del 2018).
Inoltre, sempre secondo la ricostruzione del Governo, «la peculiare situazione normativa concernente il riconoscimento della professione del mediatore culturale dipende anche dal fatto che le sue competenze siano richieste, con differenti aree di specializzazione, in settori eterogenei»; sicché «con riferimento all’ambito sanitario e socio-sanitario è illegittima per violazione dei principi fissati a livello statale in materia di “professioni” ai sensi dell'articolo 117, comma 3, Cost.
- La legge regionale 29 luglio 2021, n. 21 (Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura. Norme in materia di concessioni demaniali marittime), è impugnata relativamente ad alcune disposizioni che supererebbero l’ambito delle competenze attribuite alla Regione Sicilia dallo Statuto speciale di autonomia, violerebbero l’articolo 117, primo comma della Costituzione e i principi fondamentali in materia di tutela della salute al cui rispetto, ai sensi dell’articolo 17 dello stesso Statuto speciale, è tenuta la Regione siciliana nella propria potestà legislativa in materia di igiene e sanità pubblica.
L’articolo 1, recante le finalità della legge regionale, dispone essa promuove la tutela della salute umana nel rispetto dei principi della Costituzione e della normativa dell'Unione europea, in applicazione dell'articolo 14, lettera a) dello Statuto della Regione, che attribuisce le attribuisce competenza esclusiva in materia di agricoltura, anche allo scopo di innalzare i livelli minimi di tutela della salute e di protezione ambientale previsti dalla normativa statale.
In proposito si rileva che la materia trattata, ovvero la agroecologia, non attiene alla tutela della salute e alla sicurezza degli alimenti, considerato che l’unica modalità per innalzare i livelli minimi di tutela della salute è costituita dalla piena applicazione dei controlli sanitari. Ciò premesso risultano censurabili in particolare le seguenti disposizioni della legge regionale.
7.1. L’articolo 3 (Divieto di uso di biocidi) è censurato per violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost., nonché per violazione dei principi fissati a livello statale in materia di “tutela della salute” che vincolano la potestà legislativa della Regione siciliana ai sensi dell’articolo 17, dello Statuto speciale di autonomia.
7.2. L’articolo 4 (Vigilanza sull’utilizzo di biocidi tossici e sanzioni), nella rubrica fa riferimento a competenze specifiche che l’articolo 65 del Regolamento (UE) n. 528/2012 demanda in prima battuta allo Stato membro e per le quali il regime di competenza è stato già definito con Decreto Ministeriale 10 ottobre 2017 e relativo Accordo Stato Regioni 213/CSR del 06/12/2017.
Inoltre, rileva il Governo, il contenuto del medesimo articolo è «riferito a materie in nessun modo coerenti al titolo, afferendo alla materia dei controlli nelle importazioni e produzioni di prodotti agricoli ed alle misure volte a contrastare l'introduzione di specie esotiche nel territorio regionale».
Da ciò deriverebbe, quindi, la violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost., nonché la violazione dei principi fissati a livello statale in materia di “tutela della salute” che vincolano la potestà legislativa della Regione siciliana ai sensi dell’articolo 17, dello Statuto speciale di autonomia.
7.3. L’articolo 6 (Controlli e verifiche nelle importazioni e nelle produzioni) prevede il divieto di commercializzazione di prodotti agricoli importati che non rispondano a determinate condizioni.
Essa violerebbe il principio della libera circolazione delle merci ed è in contrasto con la competenza che dello Stato che ha attribuito al Ministero della salute in materia di controllo degli alimenti in importazione; inoltre, - richiamando al comma 2 il Regolamento (UE) 625/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio che non contempla, in alcun modo, questo tipo di certificazione – si porrebbe anche in contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost.
7.4. L’articolo 18 (Norme per la riduzione del contenzioso relativo alle concessioni demaniali marittime), stabilisce che «le disposizioni di cui ai commi 7, 9 e 10 dell’articolo 100 del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, si applicano nella Regione con riferimento alla determinazione dei canoni delle concessioni demaniali marittime prevista dalla normativa regionale. A tal fine i termini di cui al comma 8 del citato decreto legge n. 104/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 126/2020, per la presentazione della domanda e per il versamento dell’importo dovuto sono fissati rispettivamente alla data del 31 agosto 2021 e del 31 ottobre 2021».
Orbene, secondo il Governo, la norma regionale in esame «determina, in virtù dell'espresso richiamo della norma regionale al comma 10 dell’art. 100 della legge n. 104/2020, anche una rilevante modifica dell’ambito temporale di operatività del periodo di sospensione dei procedimenti giudiziari previsto dalla legge statale», e per ciò solo determina «una chiara interferenza con la funzione giurisdizionale, la cui materia è riservata alla esclusiva competenza dello Stato, in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione».
[1] L’art. 4 recita così:
- Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
- Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:
a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;
b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;
d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;
e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.