Archivio rubriche 2021

La Corte di giustizia chiarisce la portata del diritto al silenzio delle persone fisiche nell’ambito dei procedimenti amministrativi per gli abusi di mercato e scongiura l’attivazione dei contro-limiti da parte della Corte costituzionale italiana (1/2021)

Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza 2 febbraio 2021, Causa C-481/19, DB c. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), ECLI:EU:C:2021:84.

La sentenza Consob contribuisce ad arricchire il dialogo tra la Corte di giustizia e la Corte costituzionale italiana, confermando l’importanza dello strumento del rinvio pregiudiziale per la risoluzione di potenziali contrasti tra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale. Nella sentenza in esame, la Corte di giustizia ha stabilito che gli articoli 47 e 48 della Carta assicurano il diritto al silenzio delle persone fisiche sottoposte a un procedimento amministrativo per abusi di mercato allorché le dichiarazioni rese da queste possano contribuire a farne emergere la responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo e/o alla formulazione di un’accusa penale a loro carico. Ciò posto, ha chiarito che le disposizioni di diritto dell’Unione oggetto del rinvio pregiudiziale possono essere interpretate in maniera conforme agli articoli 47 e 48 della Carta, consentendo quindi allo Stato membro di non sanzionare la persona fisica che si avvale del diritto al silenzio nell’ambito del procedimento amministrativo suddetto.

La sentenza oggetto della presente nota trae origine da un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana[1]. La controversia principale riguarda l’opposizione contro le sanzioni amministrative adottate dalla Consob nei confronti del ricorrente, DB, per un illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate e comunicazione illecita di informazioni privilegiate, fondate sull’articolo 187 bis del decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico, in avanti)[2]. La Consob ha altresì inflitto al ricorrente una sanzione pecuniaria per l’illecito amministrativo, previsto dall’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, a motivo del fatto che l’interessato si era rifiutato di rispondere alle domande che gli erano state rivolte nel corso dell’audizione. Il ricorrente, dopo aver proposto opposizione, senza successo, contro tali sanzioni dinanzi alla Corte d’appello di Roma, si rivolgeva alla Corte suprema di cassazione intentando un ricorso avverso la decisione del detto giudice d’appello. La Corte suprema di cassazione investiva così la Corte costituzionale di due questioni incidentali di legittimità costituzionale vertenti sull’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, nella parte in cui sanziona l’interessato per il mancato ottemperamento nei termini alle richieste della Consob[3].

La Corte costituzionale ha rilevato che la disposizione controversa appare in contrasto con principi di diversa natura, aventi sia origine nazionale (articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione italiana) sia internazionale (articolo 6 CEDU e articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici), la cui violazione potrebbe comportarne l’incostituzionalità, in base agli artt. 11 e 117, prima comma, della Costituzione italiana.

In particolare, per effetto dell’obbligo di cooperazione con la Consob derivante dall’art. 187 quinquiesdecies del Testo unico, il sospetto autore di un illecito amministrativo suscettibile di una sanzione amministrativa avente carattere punitivo potrebbe contribuire, di fatto, anche alla formulazione di un’accusa in sede penale nei propri confronti. Va infatti osservato che, nell’ordinamento italiano, l’abuso di informazioni privilegiate è previsto al tempo stesso come illecito amministrativo e come illecito penale[4], e che i relativi procedimenti possono essere attivati e proseguiti parallelamente, nei limiti in cui ciò sia compatibile con il principio ne bis in idem.

Poiché la disposizione controversa è stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano in esecuzione dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6[5] (e costituisce l’attuazione dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014), laddove ne venisse dichiarata l’incostituzionalità rischierebbe di crearsi un contrasto con il diritto dell’Unione. Nel tentativo di evitare il verificarsi di tale eventualità, la Corte costituzionale ha così deciso di rimettere una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia per comprendere se le disposizioni di diritto dell’Unione richiamate, lette alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (Carta, in avanti), debbano essere interpretate nel senso che esse consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo degli atti di diritto dell’Unione suddetti, si rifiuti di fornire a detta autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale e/o alla formulazione di un’accusa penale a suo carico. In altre parole, la Corte costituzionale ha chiesto di stabilire se il diritto al silenzio si applichi sia nei procedimenti penali sia nelle audizioni personali disposte dalla Consob nell’ambito della sua attività di vigilanza.

La sentenza resa dalla Corte di giustizia in risposta al quesito pregiudiziale poc’anzi ricordato ha permesso di evitare l’insorgere di un contrasto diretto con la Corte costituzionale, che paventava implicitamente l’attivazione dei contro-limiti, consentendole altresì di adottare un’interpretazione del diritto fondamentale al silenzio delle persone fisiche disposto dal diritto dell’Unione in linea con la giurisprudenza della Corte Edu.

Riformulando l’ordine delle questioni avanzate dalla Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio, la Corte di giustizia si è dapprima concentrata sull’interpretazione degli articoli 47 e 48 della Carta – che sanciscono, segnatamente, il diritto a che la propria causa sia esaminata equamente e la presunzione di innocenza – per ricostruirne il contenuto e la portata. A tal fine, la Corte di giustizia ha ricordato che, in virtù della clausola di coordinamento di cui all’art. 52, par. 3, della Carta, letta congiuntamente alle Spiegazioni allegate a essa, l’articolo 47, secondo comma, della Carta corrisponde all’articolo 6, par. 1, CEDU, mentre l’articolo 48 della Carta corrisponde all’articolo 6, par. 2 e 3, della CEDU. Nell’interpretazione dei suddetti articoli, pertanto, la Corte di giustizia ha ribadito che deve tener conto dei diritti corrispondenti protetti dall’articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Edu, che costituisce la soglia minima di protezione garantita[6].

Coerentemente, la sentenza prosegue con un consistente riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, per accertare che, pur non essendo esplicitato dall’art. 6 CEDU, il diritto al silenzio si trova al centro della nozione di equo processo[7]. Di conseguenza, detto diritto va riconosciuto anche nell’ambito del diritto dell’Unione e, in particolare, nel quadro degli articoli 47 e 48 della Carta.

Ciò posto, la Corte di giustizia si è concentrata sulla portata del diritto al silenzio, stabilendone l’estensione ai procedimenti amministrativi che possono terminare con sanzioni amministrative aventi carattere punitivo. A tal fine, la Corte di giustizia ha nuovamente tratto ispirazione dalla giurisprudenza della Corte Edu, chiarendo che, in base a quest’ultima, esso si estende sia alle confessioni di illeciti da parte della persona interrogata sia alle informazioni su questioni di fatto che possano essere successivamente utilizzate a sostegno dell’accusa, avendo così un impatto sulla condanna o sulla sanzione inflitta a tale persona[8].

Nel caso di specie, la Corte di giustizia ha altresì osservato che la necessità di rispettare il diritto al silenzio nell’ambito di un procedimento di indagine condotto dalla Consob avrebbe potuto risultare anche dal fatto che gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tale procedura sono utilizzabili nell’ambito di un procedimento penale contro la stessa persona, per dimostrare la commissione di un illecito penale.

La Corte di giustizia ha già avuto modo di far propri i criteri elaborati dalla Corte Edu nella sentenza Engel[9] per definire le condizioni al verificarsi delle quali un procedimento qualificato dal diritto nazionale come amministrativo, fiscale o disciplinare, presenta invece natura penale[10]. Detti criteri sono stati impiegati dalla Corte di giustizia proprio per stabilire che alcune delle sanzioni amministrative inflitte dalla Consob paiono perseguire una finalità repressiva e presentano un elevato grado di severità, tale per cui esse sono suscettibili di avere natura penale[11].

Accertato che gli articoli 47 e 48 della Carta tutelano anche il diritto al silenzio in capo alle persone fisiche nel quadro di procedimenti amministrativi che possono terminare con sanzioni punitive e/o dai quali possa emergere anche una responsabilità penale[12], la Corte di giustizia ha valutato se le norme in questione della direttiva 3/2006 e del regolamento n. 596/2014 possono essere interpretate in modo compatibile con il diritto al silenzio così definito.

A tal fine, la Corte di giustizia ha richiamato il principio generale di interpretazione conforme in virtù del quale un atto di diritto derivato deve essere interpretato, per quanto possibile, in modo da non pregiudicarne la validità e in conformità con il diritto primario, in particolare, con la Carta. Allorché la disposizione in questione si presti a più di un’interpretazione occorrerà quindi preferire quella che la rende compatibile con il diritto primario[13]. Con riferimento alle norme in questione, la Corte di giustizia ha osservato che l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6, così come l’articolo 30, paragrafo 1, del regolamento n. 596/2014, non escludono espressamente, né impongono, l’obbligo in capo agli Stati membri di comminare sanzioni nei confronti della persona fisica sottoposta ad audizione che rifiuti di fornire all’autorità competente risposte che siano suscettibili di far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale. Tutto ciò considerato, la Corte di giustizia ha concluso che le disposizioni in questione si prestano ad una interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 della Carta.

Così disponendo, la Corte di giustizia ha confermato che gli Stati membri non sono obbligati a sanzionare una persona fisica per essersi rifiutata di rispondere all’autorità competente, fornendole informazioni da cui avrebbe potuto sorgere la responsabilità penale oppure la responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo. La Corte di giustizia ha così accolto l’interpretazione auspicata (e, invero, suggerita) dalla Corte costituzionale italiana, evitando da principio l’insorgere di un conflitto interpretativo con quest’ultima, potenzialmente rischioso per l’equilibrio dei rapporti tra le Corti nell’ambito dell’Unione.

Infine, va altresì osservato che la Corte di giustizia ha considerato la sua precedente giurisprudenza in materia di concorrenza per tentare di affermarne la compatibilità – usualmente contestata – con quella della Corte Edu. Prima d’ora, infatti, la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi sulla portata del diritto al silenzio solo nel settore richiamato e, segnatamente, in relazione al diritto al silenzio delle imprese sottoposte a un procedimento per accertare un comportamento anticoncorrenziale suscettibile di portare all’inflizione di sanzioni. A partire dalla sentenza Orkem[14], la Corte di giustizia ha sempre sostenuto che l’impresa interessata può essere costretta a fornire tutte le informazioni necessarie relative ai fatti di cui essa può avere conoscenza e a fornire i documenti in suo possesso, anche quando questi possano servire per dimostrare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Di contro, essa non può vedersi imporre l’obbligo di fornire risposte in virtù delle quali essa si troverebbe a dover ammettere l’esistenza della violazione contestata.

Secondo la Corte di giustizia, il suddetto limite al dovere di collaborare che incombe sull’impresa sarebbe sufficiente per considerare lo standard di tutela assicurato a quest’ultima del tutto assimilabile a quello previsto dalla Cedu. Invero, come osservato, la giurisprudenza della Corte Edu appare più garantista verso la persona fisica coinvolta nel procedimento che può condurre all’inflizione di una sanzione amministrativa avente carattere punitivo. Ciò posto, va del pari considerato che la giurisprudenza della Corte Edu riguarda la condizione delle persone fisiche, mentre quella della Corte di giustizia in materia di concorrenza verte esclusivamente sulle persone giuridiche. Infatti, proprio per tale ragione, la Corte di giustizia ha altresì rimarcato che la propria giurisprudenza in materia di concorrenza non avrebbe potuto trovare applicazione analogica al caso di specie[15].

In conclusione, se lo standard di tutela del diritto al silenzio riservato alle persone fisiche dalla Carta può ritenersi uniforme a quello assicurato nel sistema CEDU, non sembra (ancora) potersi affermare lo stesso per quanto attiene al livello di protezione assicurato alle persone giuridiche nell’ambito dei procedimenti in materia di concorrenza.

Al di là di quest’ultima questione, la sentenza in esame testimonia invece l’importanza del dialogo tra le Corti nello spazio giuridico europeo. In particolare, il confronto tra la Corte di giustizia e la Corte costituzionale italiana, attraverso lo strumento chiave del rinvio pregiudiziale[16], si conferma determinante per assicurare lo sviluppo armonico del diritto dell’Unione[17], evitando l’insorgere di contrasti potenzialmente pericolosi per il processo di integrazione europea e, non di meno, assicurando (spesso) una tutela più intensa dei diritti fondamentali.

 

[1] Corte costituzionale italiana, ordinanza n. 117/2019 del 10 maggio 2019.

[2] Decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (supplemento ordinario alla GURI n. 71, del 26 marzo 1998).

[3] Articolo 187 quinquiesdecies Testo Unico: “Fuori dai casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l’esercizio delle sue funzioni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila ad euro duecentomila”.

[4] Articolo 184 del Testo unico.

[5] Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), GU L 96 del 12.4.2003, pagg. 16–25, abrogata da Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 GU L 173 del 12.6.2014, pagg. 1–61. La direttiva 2003/6 è applicabile ratione temporis nella causa principale.

[6] CGUE, causa C-481/19, DB c. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), 2 febbraio 2021, ECLI:EU:C:2021:84, punto 37 e giurisprudenza ivi citata.

[7] Corte EDU, 8 febbraio 1996, John Murray c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:0208JUD001873191, punto 45.

[8] Corte EDU, 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:1217JUD001918791, punto 68 e sentenza 19 marzo 2015, Corbet e altri c. Francia, CE:ECHR:2015:0319JUD000749411, punto 34.

[9] Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e a. c. Paesi Bassi, CE:EHCR:1976:0608JUD000510071, punto 82.

[10] CGUE, causa C-489/10, Prokurator Generalny contro Łukasz Marcin Bonda, 5 giugno 2012, ECLI:EU:C:2012:319. Sul punto si vedano anche le Conclusioni dell’Avvocato generale Pritt Pikamae presentate il 27 ottobre 2020, relative alla causa C-481/19, Consob, cit.

[11] CGUE, cause riunite C-596/16 e C-597/16, Enzo Di Puma contro Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) e Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) e Antonio Zecca, 20 marzo 2018, ECLI:EU:C:2018:192, punto 38. Nello stesso senso anche Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, CE:ECHR:2014:0304JUD001864010, punto 101.

[12] CGUE, Consob, cit., punto 45 “[Tale diritto osta, in particolare, a che tale persona venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente a titolo della direttiva 2003/6 o del regolamento n. 596/2014 risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale”.

[13] CGUE, cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), 14 maggio 2019, ECLI:EU:C:2019:403, punto 77.

[14] CGUE, causa C-374/87, Orkem c. Commissione, 18 ottobre 1989, ECLI:EU:C:1989:387.

[15] CGUE, Consob, cit., punto 48.

[16] CGUE, parere 2/13, Adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 18 dicembre 2014, ECLI:EU:C:2014:2454, punto 176.

[17] Si ricordi in proposito la cosiddetta “saga Taricco” e, in particolare, la sentenza della Corte di giustizia in causa C-42/17, M.A.S., M.B., 5 dicembre 2017, ECLI:EU:C:2017:936.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

L’Osservatorio sulle fonti è stato riconosciuto dall’ANVUR come rivista scientifica e collocato in Classe A.

Contatti

Per qualunque domanda o informazione, puoi utilizzare il nostro form di contatto, oppure scrivici a uno di questi indirizzi email:

Direzione scientifica: direzione@osservatoriosullefonti.it
Redazione: redazione@osservatoriosullefonti.it

Il nostro staff ti risponderà quanto prima.

© 2017 Osservatoriosullefonti.it. Registrazione presso il Tribunale di Firenze n. 5626 del 24 dicembre 2007 - ISSN 2038-5633