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La Corte di Giustizia si pronuncia in tema di macellazione rituale, applicando alcuni criteri interpretativi propri della Corte EDU (1/2021)

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a., Causa C‑336/19, ECLI:EU:C:2020:1031

La Corte di Giustizia ha chiarito che gli Stati membri non hanno l’obbligo di garantire la deroga al principio del previo stordimento degli animali durante l’abbattimento prevista dal Regolamento 1099/2009 in relazione alla macellazione compiuta a fini religiosi. Pronunciandosi riguardo ad un decreto adottato dal governo delle Fiandre che, nell’ambito della macellazione rituale, impone l’uso di un procedimento basato sul previo stordimento reversibile la Corte, richiamando l’ampio “margine di discrezionalità” che deve essere riconosciuto alle autorità nazionali in materia, ha ritenuto che il decreto in questione consente di garantire un “giusto equilibrio” tra il benessere degli animali, quale “valore” riconosciuto dall’art. 13 TFUE, e il diritto di manifestare la propria religione, garantito dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. 

Con la sentenza Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a., la Grande Sezione della Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione europea della legge regionale adottata dal governo delle Fiandre che, da un lato, sancisce il divieto di macellare gli animali senza previo stordimento anche nell’ipotesi in cui l’abbattimento avvenga nell’ambito di un rito religioso e, dall’altro, prevede che, nel caso di macellazione rituale, sia garantito un procedimento basato sullo stordimento reversibile, tale da non determinare la morte dell’animale.

La pronuncia trae origine da un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale belga, cui alcune associazioni religiose ebraiche e musulmane avevano presentato un ricorso volto a ottenere l’annullamento della legge fiamminga sostenendo che essa, oltre a imporre un metodo di macellazione contrario alle proprie prescrizioni religiose e tale quindi da violare il loro diritto a manifestare la propria religione, risultava in contrasto con il Regolamento 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento[1].

Con la specifica finalità di garantire la libertà religiosa, riconosciuta dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il Regolamento 1099/2009, dopo aver sancito il principio generale in forza del quale gli animali devono essere storditi prima della macellazione (art. 4, par. 1), prevede che tale principio sia oggetto di una deroga in caso di macellazione effettuata a fini religiosi (art. 4, par. 4). Inoltre, l’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c), autorizza gli Stati membri ad adottare disposizioni nazionali volte a garantire una maggiore protezione del benessere degli animali durante la macellazione in alcuni settori disciplinati dal Regolamento, tra cui “la macellazione di animali conformemente all’articolo 4, paragrafo 4, e le operazioni correlate”. La formulazione di tale disposizione non è tale da precisare se essa autorizzi gli Stati membri, come sostenuto dal governo fiammingo, a non garantire la deroga prevista dall’art. 4, par. 4, in caso di macellazione rituale o se, come invece argomentato dai ricorrenti del procedimento principale, una tale interpretazione svuoterebbe di qualsiasi significato la previsione della suddetta deroga.

In ragione delle diverse interpretazioni prospettate dalle parti del procedimento principale, il giudice del rinvio sollevava, in primo luogo, una questione con riguardo all’interpretazione da dare all’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c). Nell’ipotesi in cui la Corte di Giustizia l’avesse interpretata nel senso di autorizzare gli Stati membri a non garantire la deroga prevista dal Regolamento, la Corte costituzionale belga chiedeva, in secondo luogo, alla Corte di pronunciarsi circa la validità dell’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c), del Regolamento rispetto all’art. 10 della Carta e, da ultimo, in relazione agli artt. 20 (principio di uguaglianza), 21 (principio di non discriminazione) e 22 (rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica) della Carta. Con riferimento a tale ultima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio evidenziava che l’interpretazione suggerita dal governo fiammingo, qualora accettata dalla Corte di Giustizia, avrebbe avuto ad oggetto esclusivamente la macellazione rituale e non l’abbattimento degli animali posto in essere durante le attività di caccia e pesca e in occasione di eventi culturali o sportivi, essendo tali ipotesi escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento.

La Corte ha, innanzitutto, evidenziato che il principio del previo stordimento e, in più in generale, l’obiettivo del Regolamento mirano ad assicurare il benessere degli animali di cui, conformemente all’art. 13 TFUE[2], l’Unione e gli Stati membri devono tenere ampiamente conto e che la Grande Sezione ha qualificato come un “valore dell’Unione” (par. 41). D’altra parte, il Regolamento autorizza la macellazione rituale senza previo stordimento a titolo meramente derogatorio e, in tal modo, “concretizza […] conformemente all’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, l’impegno positivo del legislatore dell’Unione” ad assicurare l’effettiva tutela della libertà di manifestare la propria religione (par. 44).  

Tale libertà e il benessere degli animali costituiscono “due valori” la cui “conciliazione” non è operata dal Regolamento, bensì rimessa agli Stati membri (par. 47). A fronte della necessità di garantire “un certo livello di sussidiarietà a ciascuno Stato membro” (considerando 18 del Regolamento), la Corte ha quindi interpretato l’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c), nel senso di autorizzare gli Stati membri a introdurre disposizioni nazionali che impongono l’obbligo del previo stordimento anche nell’ambito della macellazione rituale. Tale soluzione, che risulta peraltro opposta a quella proposta dall’Avvocato generale Hogan nelle sue Conclusioni[3], si fonda su un’interpretazione letterale dell’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c), il quale, come sopra richiamato, fa riferimento anche alle “operazioni correlate” alla macellazione, utilizzando un’espressione che, ai sensi dell’art. 2, lett. b, del Regolamento deve intendersi ricomprendere altresì lo stordimento[4]

Dopo aver affermato che lo stordimento reversibile e tale da non comportare la morte dell’animale, imposto dalla legislazione fiamminga, è conforme alla possibilità prevista dall’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c), del Regolamento, la Corte ha ritenuto che l’esercizio di tale “possibilità” costituisca un’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51(1) della Carta e, in quanto tale, debba essere conforme ai diritti da essa sanciti e, in particolare, il diritto di manifestare la propria religione.

Poiché, come già in precedenza affermato dai giudici di Lussemburgo[5], la macellazione rituale costituisce una forma di manifestazione della libertà religiosa garantita dall’art. 10, par. 1 della Carta, la legislazione regionale de qua, risultando in contrasto con i precetti religiosi musulmani ed ebraici, ne comporta una limitazione. La Corte ha, quindi, proceduto a valutare se una tale limitazione soddisfi le condizioni previste dall’art. 52, par. 1, della Carta[6]. Nell’ambito di tale valutazione, conformemente all’art. 52, par. 3, della Carta, la Grande Sezione ha ampiamente richiamato la giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti umani (Corte EDU) in relazione alla libertà religiosa garantita dall’art. 9 CEDU cui, come risulta dalle Spiegazioni alla Carta, l’art. 10 della stessa deve ritenersi corrispondente.

Nulla quaestio circa la circostanza che la limitazione derivante dalla legislazione fiamminga sia prevista dalla legge e persegua un obiettivo di interesse generale; a quest’ultimo riguardo, infatti, dai lavori preparatori del decreto emerge che esso mira a perseguire il benessere degli animali che costituisce un obiettivo di interesse generale dell’Unione ai sensi dell’art. 13 TFUE.

Ad avviso della Corte, anche il requisito del rispetto del contenuto essenziale del diritto alla libertà religiosa deve ritenersi integrato poiché l’ingerenza, derivante dalla normativa in questione, si limita “a un aspetto dell’atto rituale specifico costituito da tale macellazione” e non comporta, invece, un divieto della macellazione in quanto tale (par. 61).

Venendo alla valutazione relativa al rispetto del principio di proporzionalità, la Corte ha ricordato che, conformemente a una sua costante giurisprudenza[7], esso implica che i limiti apportati dalla legislazione nazionale devono essere strettamente idonei e necessari alla realizzazione degli obiettivi perseguiti e che gli effetti pregiudizievoli da essa derivanti non devono risultare sproporzionati rispetto allo scopo da conseguire. Con particolare riferimento all’ipotesi in cui “più diritti fondamentali e principi sanciti dai Trattati siano in discussione, quali, nel caso di specie, il diritto garantito all’articolo 10 della Carta e il benessere degli animali sancito all’articolo 13 TFUE”, la valutazione relativa al rispetto del principio di proporzionalità deve avvenire ricercando “un giusto equilibrio tra di essi” (par. 65).

A questo riguardo, la valutazione relativa alla necessità dell’ingerenza presenta profili di particolare interesse. La Corte, infatti, non si è limitata a evidenziare che, come richiamato dal preambolo del Regolamento 1099/2009, la comunità scientifica è concorde nell’individuare lo stordimento previo quale strumento ottimale per limitare la sofferenza dell’animale durante l’abbattimento, ma ha interpretato il requisito della necessità alla luce del criterio del margine di discrezionalità elaborato dalla Corte EDU. Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte EDU, qualora tra gli Stati parte della CEDU manchi un consenso circa la necessità di applicare determinate limitazioni alla libertà di manifestare la propria religione, occorre riconoscere alle autorità nazionali un ampio margine di discrezionalità.

La Corte di Giustizia ha, al riguardo, evidenziato che la deroga prevista dall’art. 4, par. 4, e la possibilità di introdurre disposizioni di maggiore tutela del benessere dell’animale ai sensi dell’art. 26, esprimono l’esigenza di assicurare “un certo livello di sussidiarietà a ciascuno Stato membro” (considerando 18 del Regolamento), proprio a fronte dell’assenza di consenso tra gli Stati membri rispetto alla macellazione rituale e alla presenza di percezioni nazionali differenti nei confronti degli animali e del loro benessere. L’assenza di consenso tra gli Stati membri ha, quindi, costituito il presupposto per riconoscere, nel solco della giurisprudenza della Corte EDU, che gli obblighi imposti dal legislatore fiammingo sono conformi al requisito della necessità, in quanto non vanno oltre il margine di discrezionalità che il legislatore dell’Unione, attraverso le disposizioni del Regolamento, ha voluto riconoscere agli Stati membri nel conciliare il rispetto della libertà di manifestare la propria religione, da un lato, e il benessere degli animali durante l’abbattimento, dall’altro.

Anche per quanto riguarda il rispetto della proporzionalità stricto sensu, la Corte è giunta ad affermare che la legge fiamminga assicura un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco facendo, tra l’altro riferimento, ad un criterio interpretativo proprio della giurisprudenza della Corte EDU. La Grande Sezione ha, infatti, evidenziato che la Carta, al pari della CEDU, costituisce uno “strumento vivente”, la cui interpretazione deve tenere conto dell’evoluzione dei valori esistenti all’interno della società. Con riferimento al caso di specie, essa ha quindi sottolineato che, in ragione dell’accresciuta rilevanza riconosciuta negli ultimi anni al benessere degli animali, esso può essere considerato un valore tale da giustificare la natura proporzionata di una normativa quale quella oggetto del procedimento principale.

Alla luce di tale analisi, la Corte è dunque giunta a ritenere che l’art. 26, par. 2, comma 1, lettera c), del Regolamento, letto alla luce dell’art. 13 TFUE e 10, par.  1, della Carta, deve interpretarsi nel senso di non precludere una normativa nazionale che, nell’ambito della macellazione rituale, impone lo stordimento reversibile e inidoneo a comportare la morte dell’animale.

Da ultimo, con riferimento alla terza questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con gli artt. 20, 21 e 22 della Carta delle disposizioni del Regolamento che ne escludono dall’ambito di applicazione e, pertanto, dall’obbligo di previo stordimento, l’abbattimento degli animali posto in essere in relazione ad attività di caccia, pesca e in occasione di eventi culturali e sportivi, la Corte ha innanzitutto richiamato che il principio di non discriminazione impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un simile trattamento non sia obiettivamente giustificato. In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che l’abbattimento posto in essere in occasione di eventi sportivi e culturali da cui non risulti una produzione significativa di carne, nonché quello realizzato nell’ambito di attività venatorie e della pesca presenti caratteristiche tali da non ritenerlo comparabile all’abbattimento di animali da allevamento destinati alla produzione di carne. In considerazione di ciò, la Grande Sezione ha pertanto ritenuto che l’esclusione dall’ambito di applicazione del Regolamento di tali particolari ipotesi di abbattimento non costituisca una violazione del principio di non discriminazione e non comporti alcun pregiudizio alla diversità religiosa, linguistica e culturale. 

 

[1] Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento.

[2] Art. 13 TFUE: “Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale”.

[3] Conclusioni dell’Avvocato generale Hogan presentate il 10 settembre 2020; l’Avvocato generale aveva escluso la possibilità di interpretare l’art. 26, par. 2, comma 1, lett. c) del Regolamento nel senso di autorizzare gli Stati a vietare la macellazione rituale senza previo stordimento, poiché ciò avrebbe privato di qualsiasi significato la deroga prevista dall’art. 4, par. 4 del Regolamento.

[4] Art. 2, lett. b) Regolamento 1099/2009: “«operazioni correlate»: operazioni quali il maneggiamento, la stabulazione, l’immobilizzazione, lo stordimento e il dissanguamento degli animali che hanno luogo nel contesto e nel luogo dell’abbattimento”.

[5] Corte di Giustizia (Grande Sezione), sentenza del 29 maggio 2018, Liga van Moskeeën en Islamitische Organisaties Provincie Antwerpen e a., C‑426/16, EU:C:2018:335, parr. 44 e 49.

[6] Art. 52, par. 1, Carta dei diritti fondamentali: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.

[7] V., tra gli altri, Corte di Giustizia (Grande Sezione), sentenze del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, par. 46 e del 30 aprile 2019, Italia c. Consiglio (Quota di pesca del pesce spada del Mediterraneo), C‑611/17, EU:C:2019:332, par. 55.

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