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La Corte costituzionale, la complessità della PMA e il legislatore inerte (2/2021)

Sentenza 32/2021
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 09/03/2021; Pubblicazione in G. U. 10/03/2021 n. 10

Sentenza 33/2021
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 09/03/2021; Pubblicazione in G. U. 10/03/2021 n. 10

Le due decisioni qui segnalate hanno ad oggetto norme differenti, ma presentano alcuni tratti comuni e rilevanti dal punto di vista delle fonti del diritto.

La sentenza 32/2021 riguarda la legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della l. 40/2004, (intitolata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”) e dell’art. 250 del codice civile, “in quanto, sistematicamente interpretati, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore” (punto 1 del ‘considerato in diritto’).
Secondo il Tribunale di Padova la disciplina de qua garantirebbe sì il riconoscimento del legame di filiazione in capo a chi nasca da tecniche di fecondazione PMA cui abbiano fatto ricorso coppie eterosessuali, ma non in capo ai nati da coppie di sole donne, lasciando privo di tutela l’interesse del minore al “il riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale, non essendovi nella fattispecie in esame neppure le condizioni per procedere all’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), a causa del mancato assenso del genitore biologico-legale, previsto quale condizione insuperabile (art. 46)” (ibidem).
Inoltre, “sarebbe violato il diritto del nato a far valere, nei confronti delle due persone, pur dello stesso sesso, che si sono comunque assunte la responsabilità della procreazione, i propri diritti al mantenimento, all’educazione, all’istruzione, ma anche i diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e di crisi della coppia” (ibidem).
I parametri invocati dal giudice rimettente sono gli artt. 2, 3, 30 e 117, I comma, Cost. (quest’ultimo, in specie, in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
Poi, per il giudice a quo, si configurerebbe anche una grave lesione del diritto alla vita privata del bambino: ciò a causa del mancato riconoscimento del suo legame con la madre intenzionale (con la parte della coppia genitoriale, cioè, con cui non c’è un legame biologico) e delle ripercussioni che ciò avrebbe sia sulla sua identità personale, sia sulle sue relazioni sociali.
Nell’ordinanza di rimessione si prospetta poi un’ingiustificata disparità di trattamento sia rispetto a quanto previsto per le coppie eterosessuali, sia rispetto alle coppie omosessuali per le quali sia possibile ricorrere all’adozione in casi particolari, grazie all’assenso della madre biologica: “Un tale vuoto di tutela entrerebbe in contrasto con l’impegno assunto dallo Stato italiano, in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989 […], volto a considerare «l’interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai bambini (art. 3) e, comunque, ad adottare «tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari» (art. 2).” (ibidem).
La Consulta passa quindi all’esame delle eccezioni presentate dalla difesa statale; le giudica tutte infondate, tranne una, relativa al fatto che la q.l.c. richiederebbe alla Corte un’integrazione normativa in un ambito caratterizzato da un alto tasso di discrezionalità legislativa.
La Corte giudica quindi inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Padova, ma non prima di avere ricostruito il quadro giuridico relativo alla PMA e alla tutela del minore, come delineato (anche) dall’operare della Corte EDU, oltre che dalle fonti interne, dalla CEDU e dalla propria pregressa giurisprudenza.
Inoltre, il giudice delle leggi sottolinea che “nel dichiarare l’inammissibilità della questione ora esaminata, per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario, questa Corte non può esimersi dall’affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia”, indicando al Parlamento, fra l’altro, alcune possibili linee di intervento (punto 2.4.1.4. del ‘considerato in diritto’).
Nella sentenza 33 del 2021, invece, la Corte si pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 12, IV comma, della l. n. 40/2004, dell’art. 64, I comma, lettera g), della l. 218/1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e dell’art. 18 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».
I parametri individuati sono gli artt. 2, 3, 30, 31, 117, I comma, della Costituzione; quest’ultimo, in particolare, in relazione all’art. 8 della CEDU, agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 176/1991, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cfr. il punto 1 del ‘considerato in diritto’).
Anche questa decisione riguarda questioni attinenti allo stato civile delle bambine e dei bambini nati con PMA.
Nel caso di specie, “è […] in discussione la possibilità di dare effetto nell’ordinamento italiano a provvedimenti giudiziari stranieri che riconoscano come genitore del bambino non solo chi abbia fornito i propri gameti, e dunque il genitore cosiddetto “biologico”; ma anche la persona che abbia condiviso il progetto genitoriale pur senza fornire il proprio apporto genetico, e dunque il cosiddetto genitore “d’intenzione”” (punto 2 del ‘considerato in diritto’).
La I sez. civ. della Corte di Cassazione, quindi, “dubita della legittimità costituzionale del diritto vivente, risultante dalla sentenza delle Sezioni unite civili 8 maggio 2019, n. 12193, che esclude il riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato dichiarato un rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore “d’intenzione” cittadino italiano, in ragione del ritenuto contrasto di tale riconoscimento con il divieto di surrogazione di maternità stabilito dal menzionato art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile secondo le Sezioni unite come principio di ordine pubblico”; questa soluzione violerebbe tutti i parametri costituzionali sopra evocati (ibidem).
La Consulta ha dichiarato inammissibili tutte le q.l.c. sottoposte al suo scrutinio, non prima di aver ricostruito con acribia, anche in questa decisione, il quadro giuridico relativo allo status giuridico dei nati grazie a tecniche di PMA.
Ancora una volta, il giudice delle leggi richiama l’attenzione del Parlamento sulla necessità di regolare con legge questa complessa materia: “Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco. Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore” (punto 5.9 del ‘considerato in diritto’).
Fra i vari profili rilevanti delle decisioni qui segnalate, meritano di essere sottolineati, quindi, almeno due aspetti. Il primo riguarda la pluralità e la complessità delle fonti che vanno tenute in considerazione nell’analizzare il tema dei diritti dei nati con PMA: si tratta, difatti, di un ambito in cui interagiscono tanto principi e valori costituzionali, quanto principi dettati dalle fonti di carattere internazionale e sovranazionale, come rielaborati dalle corti.
In secondo luogo, va tenuta presente la posizione assunta dalla Corte nell’imbattersi nella linea di confine segnata dalla discrezionalità del legislatore. Se in passato, come segnalato in dottrina, la discussione circa lo status dei nati con PMA ha visto rapporti non sempre lineari fra giudici e legislatore, nei casi di specie le indicazioni fornite dalla Consulta paiono chiare. La fonte del diritto più adatta a regolare questioni complesse e delicate come quelle sovra evocate, optando per una fra le svariate soluzioni costituzionalmente ammissibili, è la legge.

Osservatorio sulle fonti

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