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La Corte riconosce la legittimità di una legge regionale che prevede la non punibilità di sanzioni amministrative previa regolarizzazione dell’illecito da parte del suo autore purché l’elaborazione del contenuto della normativa premiale non sia devoluta a

 

Sentenza 5/2021 – La decisione in epigrafe denota aspetti d’interesse sul sistema delle fonti in una duplice direzione, toccando, per un verso, il rapporto tra fonte statale e regionale e, per altro verso, quello tra fonte legislativa regionale e attribuzioni della Giunta. Proprio su quest’ultimo versante, come si vedrà, si appuntano in particolare le censu-re della Corte.
Nella sostanza, le disposizioni impugnate dallo Stato, contenute negli artt. 1 e 2, e 4 della L.R. Veneto 16 luglio 2019, n.15 (Norme per introdurre l’istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell’ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative), prevedevano un regime di favore per gli autori di illeciti soggetti a sanzioni amministrative in materie di competenza esclusiva regionale.

Da qui l’abrogazione esplicita del precedente istituto della “diffida amministrativa”, per sostituirlo con un regime ancora più favorevole per effetto del quale veniva fatto divieto di istituire sanzioni amministrative regionali in assenza della possibilità, riconosciuta al cittadino, di provvedere alla regolarizzazione della condotta sanzionata. In aggiunta a ciò, la normativa indubbiata concedeva un ampio, quando non eccessivo, potere alla Giunta regionale di definire gli aspetti salienti della normativa con propri provvedi-menti da assumersi entro novanta giorni dall’emanazione della legge.
Le doglianze introdotte dalla difesa dello Stato nel successivo giudizio in via principale riguardavano, dunque, la lesione degli artt. 3, 25 e 97 Cost., nonché il contrasto di una siffatta normativa con la legge n. 689/1981 che detta la disciplina generale in tema di san-zioni amministrative.
Incidentalmente, la difesa dello Stato contestava altresì, con scarna motivazione, l’illegittimità costituzionale dell’abrogazione dell’istituto della diffida amministrativa, operato dall’art. 4 della legge regionale impugnata. Tale rilevazione viene, in linea di principio, disattesa dalla Corte nella misura in cui la predisposizione di un regime più favorevole per il cittadino non può che comportare l’abrogazione dei previgenti istituti della stessa natura. E tuttavia, come si vedrà, la successiva abrogazione della legge in di-scorso ha determinato, per conseguenza, anche l’abrogazione di quella disposizione che avrebbe, in caso contrario, avuto il legittimo effetto di eliminare l’istituto della diffida amministrativa.
Dal punto di osservazione del rapporto tra fonti, un primo elemento che viene in rilievo riguarda il rifiuto della Corte di assumere a parametro del proprio giudizio la legge n.689/81, poiché quest’ultima non ha rango costituzionale, neppure quale norma interpo-sta.
Sembra dunque evidente che, in via generale, la Corte propenda per un’interpretazione che riconosce al legislatore regionale la possibilità di legiferare in materia autonoma da quello statale nella disciplina delle sanzioni amministrative.
In linea di principio, dunque, indipendentemente dal successivo annullamento comun-que dichiarato dalla Corte, quest’ultima riconosce al legislatore regionale una propria discrezionalità nella materia, sottratta al vaglio della propria sindacabilità.
Difatti, la Corte assume di non condividere la prospettazione statale nella misura in cui essa lamenta che concedere in ogni caso la possibilità di sanare la violazione ammini-strativa, senza conseguenze, eliminerebbe del tutto l’effetto deterrente della sanzione.
In questo senso l’art.1 della legge impugnata, nella misura in cui prevede che «nei procedimenti di accertamento per violazione di disposizioni normative, sanzionate in via amministrativa, in materie di competenza esclusiva della Regione, nessun provvedimento sanzionatorio può essere irrogato se prima non sia consentita la regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione da parte del soggetto interessato», sembrerebbe in effetti assicurare una certa garanzia d’impunità all’autore dell’illecito amministrativo, sempre messo, senza conse-guenze, nella possibilità di sanare la propria posizione, evitando la sanzione.
Tuttavia la Corte prende in considerazione la specificità del caso esaminato che non può prescindere dalla constatazione dell’estrema complicazione del sistema amministrativo, ed anche il fatto che istituti riparatori della medesima specie sono ampiamente utilizzati nella stessa legislazione statale, persino in materia penale.
Vale, dunque, la pena di sottolineare come la Corte riconosca l’elevata complessità di molte prescrizioni che prevedono sanzioni amministrative, auspicando un rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione strutturato in senso dialogico e collaborativo, an-ziché oppositivo.
Ciò porta ad escludere che un chiarimento dell’amministrazione circa l’esatta portata della condotta del cittadino, con conseguente termine per adeguarsi al precetto, costitui-sca per ciò stesso garanzia preventiva d’impunità, in quanto in molti casi solo dalla col-laborazione tra cittadino e amministrazione il primo può prendere piena coscienza di divieti spesso fumosi o assai difficili da rinvenire in una normativa spesso inintelligibi-le.
In questo modo la Corte ridimensiona le censure opposte dalla difesa statale rispetto agli art. 3 e 97 Cost., per riconoscere alle contrapposte concezioni margini di plausibilità, conferendo al contempo alla discrezionalità del legislatore, anche regionale, di valutare quando possa essere necessario alleggerire l’intento punitivo in ragione dell’effettiva inestricabilità delle norme amministrative.
La Corte ha così modo di affermare in materia di sanzioni amministrative uno spazio di discrezionalità del legislatore regionale che sfugge al sindacato costituzionale, almeno sin quando i meccanismi sanzionatori non risultino del tutto irragionevoli alla luce de-gli interessi costituzionali protetti.
Come detto, ancora nel rapporto tra fonti, la Corte disattende la censura, proveniente dalla difesa statale, relativa alla violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costitu-zione, in quanto, nonostante le garanzie che esso propone si applichino anche agli illeciti e alle sanzioni amministrative di carattere punitivo, la riserva assoluta di legge statale è riferibile alle sole norme di diritto penale.
Ciononostante, la Corte, evocando il diverso parametro dell’art.23 Cost., osserva come il principio della riserva di legge relativa si applichi, in ogni caso, ad ogni potere sanzio-natorio amministrativo riferibile alla legge regionale.
Sotto questo ulteriore aspetto, riguardante il rapporto tra fonte legislativa regionale e fonte secondaria, la Corte individua evidenti vizi di costituzionalità della legge impu-gnata.
Osserva appunto la Corte che proprio relativamente a questo aspetto esiste «un’esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell’esercizio del potere sanzionatorio, con riferi-mento sia alla configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia – ancora – alla struttura di eventuali cause esimenti. E ciò per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto pe-nale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di assicurare al consociato tutela contro pos-sibili abusi da parte della pubblica autorità (sentenza n. 32 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto): abusi che possono radicarsi tanto nell’arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio» (sul punto v. già Corte cost., sent. n. 447/1988).
Il rispetto della riserva di legge relativa in materia è, peraltro, vigente sia nei confronti della legge statale che di quella regionale ed è particolarmente stringente, in quanto il cittadino può essere assoggettato/soggetto ad una disciplina che lo obbliga tenere o non tenere comportamenti solo in forza di provvedimenti legislativi sufficientemente chiari ed univoci, non potendosi ritenere tali delle disposizioni legislative “in bianco” che rin-viino per il contenuto normativo essenziale a fonti di livello secondario.
Da questo punto di vista, il meccanismo della riserva di legge relativa di cui all’art.23 Cost. si mostra senz’altro compatibile con la previsione di una certa capacità d’integrazione delle fonti secondarie (cfr. Corte cost., sent. n. 134/2019), ma solo quando sia la legge a dettare criteri direttivi capaci di orientare la discrezionalità dell’amministrazione (Corte cost., sent. n. 174/2017).
Nel caso di specie, la legge regionale, che a giudizio della Corte ben avrebbe potuto in-tervenire in materia, ha del tutto disatteso questi compiti non provvedendo a chiarire l’ambito di applicazione dell’istituto definendone i limiti, il termine entro il quale il tra-sgressore avrebbe la possibilità di regolarizzare l’illecito, gli esiti della condotta ripara-toria, ossia se essa valesse a far venire meno tout court la sanzione o solo a determinare una sua riduzione.
Ciò, a giudizio della Corte, viola il parametro di cui all’art.23 Cost. poiché tali contenuti non possono essere demandati ad atti della Giunta regionale ma devono essere definiti, almeno nelle linee essenziali, dalla legge regionale.

 

 

 

Osservatorio sulle fonti

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