1. Con l’esito positivo del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020 (e il dispiegarsi delle clausole presenti nel testo approvato) si è determinata l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2020, che riceverà applicazione a partire dalla XIX legislatura e comporterà una significativa riduzione del numero dei parlamentari elettivi (oltre a una precisazione circa il numero massimo dei senatori a vita di nomina presidenziale, già operante sin da inizio 2021).
Nonostante gli intendimenti più volte diffusi nel corso della campagna referendaria, non vi erano stati finora significativi “seguiti” alla riforma costituzionale, specialmente dal punto di vista dell’adeguamento dei regolamenti parlamentari alla nuova numerosità delle assemblee. La situazione di stasi è risultata poi accentuata dalla crisi interna alla maggioranza, sfociata nelle dimissioni del Governo Conte II.
Ora risulta essere stata presentata una prima proposta di modifica regolamentare al Senato, da parte del sen. Calderoli (DOC. II, n. 6), per il cui inquadramento è forse utile qualche elemento di ricostruzione del contesto.
2. Nei giorni immediatamente successivi allo svolgimento del referendum costituzionale, in entrambe le Giunte per il regolamento, i Presidenti delle Camere avevano preso l’iniziativa di avviare i lavori di revisione dei regolamenti. Già quegli esordi, tuttavia, si erano mostrati non poco problematici, nel merito e nel metodo, ponendo le basi per procedimenti assai poco trasparenti e con non pochi problemi di coordinamento, in prospettiva, tra i due rami del Parlamento.
Al Senato, il Presidente Casellati aveva riunito sul tema la Giunta per il regolamento già il 23 settembre, occasione nella quale si procedette alla costituzione di un comitato ristretto di 6 senatori (3 di maggioranza e 3 di opposizione), tutti membri della Giunta. Nella stessa sede, si decise lo svolgimento dei lavori del comitato in via informale, analogamente a quanto si era fatto per la revisione del regolamento approvata nella precedente legislatura, riferendo poi alla Giunta l’esito dei propri lavori. È opportuno forse ricordare che questa scelta non permetteva di avere aggiornamenti sull’avanzamento dei lavori, che sarebbero risultati disponibili soltanto nel momento in cui il comitato ristretto avrebbe riferito alla Giunta (e con i tempi, non velocissimi, di resocontazione sommaria delle sue attività). Nella successiva seduta del 18 novembre, la stessa Giunta, sempre su iniziativa del Presidente, aveva invece rimeditato profondamente il modo di procedere in questo ambito, “ritirando” la costituzione del comitato ristretto, a favore della nomina di due relatori (successivamente individuati nei senn. Calderoli (Lega) e Santangelo (M5S)), che riferiranno alla Giunta plenaria.
Alla Camera, in occasione della riunione della Giunta per il regolamento del 6 ottobre 2020, il Presidente della Camera Fico aveva ribadito l’intendimento, già anticipato in primavera, di avviare un confronto per valutare gli “effetti regolamentari della riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari”. Nella fase iniziale la riflessione sulla modifica regolamentare era stata accostata anche all’ulteriore tema della partecipazione a distanza ai lavori parlamentari per i deputati impossibilitati alla presenza fisica alla luce delle restrizioni sanitarie dovute all’epidemia di CoViD-19, ma successivamente si è deciso che i due filoni avrebbero proceduto invece su binari paralleli. In ogni caso, alla Camera si è proceduto, senza successivi ripensamenti, alla nomina di un comitato ristretto, presieduto dallo stesso Presidente e composto da deputati componenti della Giunta per il regolamento, in rappresentanza di tutti i gruppi parlamentari.
In definitiva, Camera e Senato procederanno in modi diversi alla revisione dei regolamenti, distinguendosi per almeno due profili.
Al Senato, alla luce del citato cambio di impostazione, non vi è un vero e proprio comitato ristretto ma due relatori (i quali, alla luce della formazione del Governo Draghi, risultano entrambi di maggioranza), che riferiranno direttamente alla Giunta. Per altro, la proposta di comitato ristretto inizialmente fatta propria dal Senato – per orientamento emerso nel dibattito in Giunta, anche in dissenso rispetto all’originaria proposta presidenziale – escludeva la presenza del Presidente (come invece aveva previsto la Camera), al fine di tenere quanto più possibile agile e informale la sede di lavoro. Tale asimmetria nel ruolo dei Presidenti avrebbe comportato non pochi problemi nel momento in cui – come appare più che auspicabile – le due Giunte dovranno confrontarsi, al fine di coordinare i propri lavori. Ad ogni buon conto, il superamento del comitato ristretto al Senato è stato necessario anche per una ulteriore asimmetria: alla Camera si è scelto di far partecipare al comitato ristretto tutti i gruppi presenti in Assemblea (e rappresentati in Giunta), mentre al Senato la stessa soluzione non sarebbe stata percorribile, stante il fatto che il gruppo di Italia Viva-PSI non era rappresentato in Giunta al momento della costituzione del comitato ristretto. Se per Italia Viva-PSI la questione è stata risolta in via politica (attraverso la modifica della composizione della Giunta, con il subentro di un senatore di IV a uno del PD), il problema si è poi riproposto, senza soluzione, al momento della formazione del gruppo Europeisti-MAIE-Centro Democratico.
In secondo luogo, al Senato, stando almeno alla resocontazione dei lavori in Giunta, non sono state ipotizzate linee di intervento, che potranno essere quindi sviluppate in autonomia dai relatori. Alla Camera, invece, il Presidente Fico ha elencato una serie di macroaree sulle quali concentrare l’azione di revisione regolamentare: i) i quorum espressi dalle disposizioni regolamentari in termini assoluti e non percentuali; ii) le soglie numeriche previste per la formazione dei gruppi parlamentari e le componenti politiche del Gruppo misto; iii) la composizione degli organi interni alla Camera (es. Ufficio di Presidenza, giunte, Comitato per la legislazione); iv) eventuali accorpamenti tra commissioni permanenti (indicando anche l’ulteriore prospettiva di una razionalizzazione degli organismi bicamerali, da effettuarsi in raccordo con il Senato).
3. Venendo quindi alla proposta del sen. Calderoli (tra l’altro, membro del comitato ristretto interno alla Giunta per il regolamento del Senato), questa risulta l’unica finora presentata, direttamente finalizzata a un “seguito” regolamentare della riforma costituzionale del 2020.
Dal punto di vista tematico, si muove su macroaree simili a quelle indicate, alla Camera, dal Presidente Fico, adottando un approccio di minimo intervento, esclusivamente teso all’adeguamento “quantitativo” di elementi numerici presenti all’interno del regolamento del Senato (per altro riproponendo l’individuazione di numeri assoluti ridotti anziché la loro trasformazione in percentuali, seguita invece per la disciplina elettorale), nonché operando alcuni interventi consequenziali e coerenti con la stessa logica minimalista.
In sintesi, nella proposta si procede a:
- ridurre da 10 a 7 il numero minimo di senatori necessari per la costituzione di un gruppo parlamentare (e da 5 a 4 nel caso di senatori eletti in rappresentanze delle minoranze linguistiche);
- istituire, anche al Senato, analogamente che alla Camera, le componenti politiche del gruppo misto;
- ridurre da 23 a 19 i componenti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari;
- ridurre da 14 a 10 le Commissioni permanenti, sostanzialmente accorpando Affari esteri e difesa, Bilancio e finanze, Lavoro e salute, nonché sopprimendo la Commissione Agricoltura (con ogni probabilità attribuendo le sue competenze alla Commissione Attività produttive);
- modificare vari quorum espressi dalle disposizioni in termini assoluti, riducendo il numero di senatori ivi individuato in maniera analoga al rapporto di rideterminazione della numerosità dell’Assemblea (es. da 8 a 5 senatori, da 20 a 12, da 15 a 10, etc.).
Si tratta di un intervento, come detto, minimale, e, proprio per questo, probabilmente discutibile. Se ne comprende certo la finalità, per altro dichiarata nell’ambito della relazione di accompagnamento all’articolato, ossia quella di consentire “l’immediata funzionalità del Senato nella prossima legislatura”, anche alla luce del richiamo alla riforma del 2017, che – nella ricostruzione fatta propria dal proponente – avrebbe già assicurato la necessaria modernizzazione dell’impianto regolamentare, non richiedendo questo ulteriori interventi di maggiore sostanza. In realtà, nel seguire un approccio “meccanico” di mero adeguamento delle soglie numeriche, alcuni interventi appaiono poco meditati e forieri, in ipotesi, di grande confusione: si interviene infatti ad adeguare soglie numeriche per l’attivazione di istituti e procedure anche previsti da disposizioni regolamentari pacificamente ritenuti ormai desuete. Ad esempio, si pensi alla possibilità per 8 senatori – che diventerebbero 5 nell’ipotesi formulata – di presentare proposte emendative in corso di seduta ai sensi dell’art. 100, comma 5, reg. Sen., disposizione già oggetto di controversie nella XVII legislatura, ma da decenni ormai ritenuta superata e non applicabile per consolidata evoluzione interpretativa (sul punto, tra gli altri, E. SERAFIN, L’evoluzione del regolamento del Senato come prodotto dell’esperienza, in I regolamenti parlamentari, a quartant’anni dal 1971, a cura di A. Manzella, Bologna, 2012, p. 78). L’intervento su di essa potrebbe porre il dubbio che l’intervento di modifica regolamentare voglia non solo armonizzare quella previsione regolamentare dal punto di vista “estetico” del numero presente nella disposizione, ma anzi di rinnovare la funzionalità dell’istituto permettendone una nuova possibilità di attivazione, nel mutato contesto di un Senato con numeri inferiori. Sul punto servirebbe almeno un chiarimento nel corso della discussione, ma risulterebbe sicuramente preferibile un approfondimento per ciascuna delle disposizioni oggetto di intervento, al fine di valutarne l’attualità e gli effetti in concreto della modifica relativa alla soglia numerica per il suo azionamento.
In ogni caso, anche a prescindere da singole questioni, questo approccio minimale appare alquanto discutibile. L’impatto della riduzione del numero dei parlamentari, specie al Senato, dovrebbe comportare un ripensamento più profondo delle modalità di lavoro di una Assemblea la cui numerosità è ridotta di oltre un terzo, conducendola a numeri assoluti esigui. Più che una mera traslazione percentuale sulle diverse soglie numeriche (con una operazione non dissimile da quanto operato per la legislazione elettorale dalla legge n. 51 del 2019) andrebbe operata una profonda “reingegnerizzazione” delle procedure, anzitutto mettendo in discussione il rapporto commissioni/Assemblea, nonché l’impianto stesso del sistema delle commissioni, magari sulla base delle più recenti esperienze comparate. L’evoluzione del dibattito nelle giunte e, quando sarà possibile, la conoscenza degli orientamenti assunti in sede di comitato ristretto, saranno cruciali per comprendere le linee direttrici di questi interventi, che risultano in ogni caso indifferibili e condizionanti sulla possibilità che la prossima legislatura possa avviarsi in condizioni di piena funzionalità delle Assemblee, del resto in linea con gli auspici di chi ha voluto la riduzione del numero dei parlamentari.