L’attività legislativa della Regione Siciliana, nel periodo compreso tra aprile e luglio 2022, è consistita nella approvazione di otto leggi.
La metà di queste sono state oggetto di impugnazione da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.
1. La prima legge della Regione siciliana impugnata, con delibera del 6 giugno 2022, è la n. 6 dell’8 aprile 2022 “Istituzione della giornata della memoria del terremoto di Messina del 1908".
In particolare l’art. 2, comma 1, secondo il Governo violerebbe l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi di spesa di cui all'articolo 81, terzo comma, della Costituzione, che secondo la giurisprudenza costituzionale si applica anche alle autonomie speciali.
La disposizione impugnata prevede, infatti, iniziative regionali di promozione e valorizzazione relative all’evento storico e ambientale del terremoto di Messina, in assenza di «una previsione finanziaria che quantifichi gli oneri e individui le fonti di finanziamento, come richiesto dalla normativa statale in materia di contabilità per quanto riguarda le necessarie coperture delle leggi di spesa, ai sensi dell’art. 19, della legge 31 dicembre 2009, (Legge di contabilità e finanza pubblica). Quest’ultimo dispone, al comma 1, che "le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell’onere stesso e l’indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali"; e, al comma 2 che “ai sensi dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono tenute a indicare la copertura finanziaria alle leggi che prevedano nuovi o maggiori oneri a carico della loro finanza e della finanza di altre amministrazioni pubbliche anche attraverso il conferimento di nuove funzioni o la disciplina delle funzioni ad esse attribuite. A tal fine utilizzano le metodologie di copertura previste dall’articolo 17».
2. Sempre con delibera del Consiglio dei Ministri del 6 giugno 2022 il Governo ha deciso di impugnare l’art. 4 della legge n. 8 del 13 aprile 2022 “Istituzione della giornata della memoria dell’eruzione dell’Etna del 1669” per motivi analoghi a quelli della precedente impugnativa.
Anche in questo caso il parametro invocato è il comma 3 dell’art. 81 della Costituzione e anche in questo caso, «a fronte di iniziative regionali di sviluppo e valorizzazione che dovranno concretizzarsi attraverso risorse strumentali e finanziarie», il Governo rileva «la mancanza nella legge in esame di una clausola finanziaria che quantifichi gli oneri e individui le fonti di finanziamento, come richiesto dalla normativa statale in materia di contabilità per quanto riguarda le necessarie coperture delle leggi di spesa, ed in particolare dall’art. 19, comma 1, legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica)».
In questo caso la violazione sarebbe vieppiù confermata dalla circostanza che l’art. 12, comma 58, della legge regionale n. 13 del 25 maggio 2022, (legge di stabilità regionale 2022) in vigore dal 28 maggio 2022, ha inserito nella legge in esame l’art. 4 bis, “Clausola finanziaria” a norma del quale “Alla copertura degli oneri derivanti dalla presente legge si fa fronte nei limiti degli stanziamenti del bilancio della regione, con risorse regionali ed extraregionali. Il Ragioniere generale della Regione è autorizzato ad apportare le opportune variazioni al bilancio della Regione”.
Formulazione che, oltre a dimostrare l’originaria assenza di copertura finanziaria, risulterebbe «assolutamente generica, in quanto non individua la missione, il programma e il titolo ove imputare la relativa spesa e, quindi non idonea a superare le criticità che afferiscono al testo originario della legge n. 8/2022, poiché permane l’assenza sia della quantificazione degli oneri di spesa discendenti che dell’indicazione della copertura finanziaria».
3. Per identiche ragioni il Governo, con delibera del 14 luglio 2022, ha deciso di impugnare la legge n.12 del 12 maggio 2022 “Riconoscimento e promozione della Dieta mediterranea”
Secondo il Governo nella legge in esame, ed in particolare nell’art. 3 della legge in esame (“Politiche regionali per la promozione della Dieta Mediterranea”), «a fronte di iniziative regionali di sviluppo e valorizzazione che dovranno concretizzarsi attraverso risorse strumentali e finanziarie, si deve rilevare la mancanza nelle legge in esame di una clausola finanziaria che quantifichi gli oneri e individui le fonti di finanziamento, come richiesto dalla normativa statale in materia di contabilità per quanto riguarda le necessarie coperture delle leggi di spesa, di cui all’art. 19, comma 1, legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).
4. L’impugnativa di maggiore ampiezza, coinvolgendo una pluralità di disposizioni, è quella avente ad oggetto la legge 25 maggio 2022, n. 13 “Legge di stabilità 2022-2024”, decisa dal Governo con delibera del 21 luglio 2022.
4.1. L’articolo 3 (Norme in materia di personale), commi 1 e 2, si porrebbe in contrasto con gli artt. 81, 97, c.1 e 119, c.1 Cost.
Le disposizioni impugnate intervengono in materia di trattamento accessorio e di revisione del sistema di classificazione del personale, destinando a tali istituti le somme derivanti dalle riduzioni strutturali della spesa per il trattamento accessorio, in netta antitesi con i principi e gli impegni assunti in materia di contenimento della spesa corrente di cui all’Accordo Stato Regione Siciliana del 14 gennaio 2021 per il ripiano decennale del disavanzo.
Tale Accordo, rileva il Governo, «subordina il raggiungimento del predetto obiettivo di risanamento ad una serie di interventi che prevedono l’obbligo per la Regione di adottare specifici impegni di contenimento e di riqualificazione della spesa regionale, mediante la riduzione strutturale di diverse componenti della spesa corrente, ivi incluse le spese di personale. In particolare, tra le misure indicate nel piano è ricompresa anche la riduzione del trattamento economico accessorio dei dipendenti regionali, compresi quelli di livello dirigenziale».
Dunque i risparmi di natura strutturale destinati inderogabilmente alla realizzazione del Piano decennale di rientro del disavanzo non sarebbero perciò utilizzabili per finalità o utilizzi diversi, «rendendo di fatto privi di copertura finanziaria gli oneri conseguenti agli interventi di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, e con ciò determinando la palese violazione dei principi costituzionali di cui all’articolo 81, all’articolo 97, secondo comma e all’articolo 119, primo comma, della Costituzione, relativamente all’obbligo dell’equilibrio dei bilanci ed all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea».
4.2. L’art. 12, comma 11 della legge impugnata modifica l’articolo 25 della legge regionale 10 agosto 2016, n. 16, che era stato dapprima modificato dalla legge regionale della Regione Siciliana 6 agosto 2021, n. 23, recante: «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica» e, a seguito della impugnazione di tale previsione da parte del Governo, abrogato con la legge regionale 18 marzo 2022, n. 2, recante "Disposizioni in materia di edilizia” che sopprimeva il censurato comma 3 dell'articolo 25 della L.R. n. 16 del 2016, come sostituito dall'articolo 20, comma 1, lett. b), della L.R. n. 23 del 2021.
Il nuovo comma 2 bis introdotto dalla disposizione impugnata nell’articolo 25 della L.R. n. 16 del 2016 prevede che «La procedura di cui ai commi 1 e 2 si applica anche per la regolarizzazione di concessioni edilizie rilasciate in assenza di autorizzazione paesaggistica, sempre che le relative istanze di concessione siano state presentate al comune di competenza prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Regione del decreto istitutivo del vincolo di cui all'articolo 140 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni».
Secondo il Governo «la formulazione attualmente introdotta dal legislatore regionale – pur avendo effetti meno "dirompenti" della formulazione introdotta con la legge regionale n. 23 23 del 2021, che estendeva la possibilità di sanatoria ex post, prima ristretta ai soli casi di vincolo paesaggistico istituito con dichiarazione di notevole interesse pubblico, anche alle aree vincolate paesaggisticamente ope legis, a far data dalla legge c.d. Galasso (legge n. 431 del 1985), per il solo fatto che fosse stata presentata istanza di concessione edilizia prima dell’apposizione del vincolo, unica condizione legittimante – resta in ogni caso illegittima in quanto si pone in violazione del generale divieto di sanatoria ex post , fissato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ai sensi del combinato disposto dell'art. 146, comma 4, e 167, commi 4 e 5 del medesimo Codice».
Tale previsione, dunque, «disattendendo il nuovo principio di divieto di sanatoria ex post stabilito dal Codice, si porrebbe in contrasto con i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti con uniformità nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m)» e «comportando un abbassamento di tutela, e in assoluta violazione della logica "incrementale" della tutela avvalorata dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 141 del 2021) si pone anche in contrasto con l'art. 9 della Costituzione».
Infine, la normativa regionale sarebbe anche irragionevole e sproporzionata, dal momento che, secondo le indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale «l'operatività retroattiva delle disposizioni, sia nazionali che regionali, deve (…) trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata" (sentenza n. 170 del 2013, richiamata da Corte cost. n. 73 del 2017)».
Né può essere determinante la circostanza che la Regione Sicilia ha competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. n), dello Statuto di autonomia, nonché di urbanistica, ai sensi della lett. f), del medesimo articolo 14, dal momento che «tale competenza si esplica pur sempre nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano.
Tra quest’ultime rientrerebbero proprio le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché le norme statali in materia di governo del territorio recanti principi di grande riforma.
4.3. È impugnato altresì l’articolo 12 (contenente Disposizioni varie), comma 20, i quale prevede che: “In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui ai commi 15, 16, 17, 18 e 19 si applicano a far data dall'approvazione della presente legge”, facendo dunque retroagire l’efficacia della legge a un momento precedente a quello, ordinariamente subordinato alla promulgazione del Presidente della Regione e alla pubblicazione.
I parametri invocati sono l’articolo 10 delle Disposizioni sulla legge in generale, nonché gli articoli 3, 97 secondo comma, 73 secondo comma e 121 quarto comma della Costituzione, sebbene gli argomenti posti a fondamento dell’impugnazione siano piuttosto generici, limitandosi il Governo a rilevare che «nel caso non venisse proposta impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale la permanenza nell’ordinamento di una siffatta previsione potrebbe generare un notevole contenzioso con grave nocumento della correttezza dell’azione amministrativa».
4.4. Ulteriore disposizione oggetto di impugnazione è l’articolo 13 (rubricato “Altre disposizioni varie”) che al comma 6 estende al personale regionale collocato in quiescenza, anche per il tramite di Irfis FinSicilia S.p.A., una società partecipata al 100% dalla Regione Sicilia, la possibilità per i dipendenti pubblici che cessano o sono cessati dal servizio per collocamento a riposo, di richiedere l’anticipo di una quota di TFS/TFR entro i 45.000 euro, come previsto all’articolo 23 del decreto legge n. 4 del 2019.
In attuazione del suddetto articolo 23 sono stati emanati il DPCM 22 aprile 2020, n. 51, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della pubblica amministrazione, e il successivo decreto 19 agosto 2020, del Dipartimento della funzione pubblica, di approvazione dell’Accordo Quadro tra Governo e ABI che regola le condizioni economiche per l’anticipo del TFS ai dipendenti pubblici, definendo i termini e le modalità di adesione da parte delle banche all’iniziativa, le modalità di adeguamento del contratto in relazione all’adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita, le specifiche tecniche e di sicurezza dei flussi informativi nonché le modalità di determinazione del tasso di interesse da corrispondere sull’anticipo TFS/TFR.
La disposizione impugnata consentirebbe dunque alla Irfis-Finsicilia s.p.a. di accreditarsi come soggetto finanziatore dell’anticipo del TFS senza però alcun richiamo alla normativa statale, violando così l’art. 117, secondo comma, lett. l) ordinamento civile, «materia di esclusiva competenza statale nella quale rientra l’accordo tra Governo e ABI, approvato con decreto 19 agosto 2020, nel quale si regolano le condizioni economiche per il trattamento di fine rapporto».
4.5. È ancora impugnato l’articolo 13, comma 14, il quale prevede che “Per l'esercizio finanziario 2022 è autorizzata la spesa di 160 migliaia di euro in favore del Comune di Sciacca, destinata al pagamento delle imposte comunali ICI/IMU relative al procedimento di liquidazione della fondazione ‘Pardo’ al fine di permettere l'immediato utilizzo delle risorse, già stanziate, destinate alla realizzazione del museo interdisciplinare di cui all'articolo 2 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 17 e successive modificazioni, nel complesso monumentale di Santa Margherita a Sciacca.”.
Essa inciderebbe sulla competenza del legislatore statale nella materia di potestà legislativa concorrente del coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo117, terzo comma, della Costituzione e contrasterebbe con il principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della stessa.
Secondo il Governo la Regione siciliana, con la norma impugnata avrebbe disposto che dell’obbligazione sorta in capo alla fondazione “Pardo”, risponda il socio Comune di Sciacca, sovvertendo, di fatto, il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta recato dall’articolo 12 del Codice civile a norma del quale “Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del presidente della Repubblica”.
Essa lederebbe inoltre, il principio della sana gestione finanziaria espresso dall’articolo 14, comma 51, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (TUSP), nonché quello che la giurisprudenza contabile individua come “divieto del soccorso finanziario” da parte di un soggetto pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati «fondato su esigenze di tutela dell’economicità gestionale e della concorrenza» - confliggendo così con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica, nonché con il principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione.
4.6. Il Governo ha altresì’ deciso di impugnare il comma 15 dell’art. 13 della legge regionale in esame.
Tale comma detta norme in materia di esercizio di attività nei beni demaniali marittimi ed interviene modificando la disciplina regionale previgente (articolo 1 della legge regionale 29 novembre 2005, n. 15 e successive modificazioni) e si porrebbe in contrasto con l'articolo 9 della Costituzione, con l'articolo 117, comma primo, in relazione alla Convenzione europea sul paesaggio, e secondo lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e con l'articolo 117, comma secondo, lettera m), Cost., invadendo la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni valevoli sull'intero territorio nazionale.
Le modifiche previste introdurrebbero una «deroga al divieto di edificare nel limite di 150 metri dalla battigia, al di là dei limiti imposti dalle previsioni dei vigenti PUDM (Piano di utilizzo delle aree demaniali marittime, n.d.r.), (che) comporta una grave lesione della tutela paesaggistica, in quanto la deroga potrebbe indirettamente paralizzare l'applicazione del piano paesaggistico, di cui il PUDM è strumento subordinato di specificazione e attuazione. Tale lesione potrebbe essere ancora più grave nei territori privi di pianificazione paesaggistica, per i quali il PUDM costituisce l’unico strumento di pianificazione regionale vocato alla tutela paesaggistica».
Osserva il Governo come anche nella Regione Siciliana – seppur dotata di potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio ai sensi dell'articolo 14, lett.n), dello Statuto di autonomia - «il piano paesaggistico assume carattere necessariamente sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione territoriale, in applicazione degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, aventi carattere di norme di grande riforma economico-sociale, ed espressioni del principio della necessaria pianificazione dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico (articoli 135 e 143) e del principio della necessaria prevalenza del piano paesaggistico rispetto ad ogni altro strumento di pianificazione e della sua inderogabilità da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico».
4.7. L’articolo 13, comma 21 (Assunzioni assistenti sociali) prevede che, «per le finalità previste dai commi 797 e 798 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178, nonché dai commi 734 e 735 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234, i comuni sono autorizzati ad avviare procedure di reclutamento per l’assunzione a tempo indeterminato degli assistenti sociali, coerentemente ai piani di fabbisogno, prevedendo la valorizzazione dell'esperienza professionale maturata con contratto a tempo determinato o con altre forme di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione».
Secondo il Governo, dunque, «la diposizione in esame interviene, in via generale, in materia di enti locali i quali sono soggetti alla disciplina normativa statale di cui al decreto legislativo n. 267/2000 (Testo unico degli enti locali), nonché in materia di personale non regionale prevedendo la stabilizzazione ed assunzioni a tempo indeterminato nell’ambito degli organici degli enti locali, la cui competenza rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato ed è regolamentata, rispettivamente, dal decreto legislativo n. 165/2001, dal decreto legislativo n. 75/2017 (articolo 20), e dal decreto legge n. 34/2019 (articolo 33, comma 2), con ciò ponendosi in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, (copertura finanziaria) e con l'art. 117, secondo comma, lett. l), in materia di ordinamento civile, della Costituzione».
Quanto all’ultimo profilo, quello della presunta assenza di copertura finanziaria, il Governo richiama la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, secondo cui [...] la mancata considerazione degli oneri vale a rendere la legge costituzionalmente illegittima per mancanza di copertura non soltanto per spese obbligatorie, ma anche se si tratta di oneri solo "ipotetici", in quanto l'art. 81 Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 155 del 2022, n.163 del 2020 e n. 307 del 2013); cosicché, sempre seguendo le indicazioni della Corte devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime quelle leggi in cui «l'individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria, è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all'art. 81 Cost.» (ex multis, sentenze n. 155 del 2022 e n. 227 del 2019).
4.8. L’articolo 13, comma 22 è impugnato dal Governo per la presunta violazione dell’articolo 81, terzo comma (copertura finanziaria), dell’articolo 97, primo comma (principio dell'equilibrio di bilancio delle pubbliche amministrazioni), dell’articolo 117, terzo comma (coordinamento della finanza pubblica) dell’articolo 119, primo comma (principi di coordinamento della finanza pubblica connessi all’equilibrio dei bilanci ed ai vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea) della Costituzione e dell’articolo 14, comma 1, dello Statuto della Regione Siciliana.
Tale disposizione modifica il comma 4 dell'articolo 36 della legge regionale 15 aprile 2021, n. 9 (Norme in materia di stabilizzazione e fuoriuscita di personale ASU) prevedendo che per i soggetti che possono richiedere di essere riammessi nell’elenco di cui all'articolo 30, comma 1, della legge regionale n. 5/2014, pur avendo optato per la fuoriuscita, quest’ultima può essere considerata tale “ancorché senza formale atto di dimissioni”.
L’articolo 36 della legge regionale n. 9 del 2021 era stato oggetto di impugnativa con atto iscritto nel registro dei ricorsi pendenti davanti alla Corte Costituzionale (n. 33 del 2021), «sia per le disposizioni volte alla stabilizzazione del personale ASU sia per quelle relative alla quantificazione e alle modalità di copertura delle relative spese a carico della finanza pubblica» dato che «- ampliando l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo delle procedure di stabilizzazione del personale ASU, previste dalla normativa nazionale - esula dalle competenze legislative attribuite alla Regione siciliana dall’articolo 14, lettera q), dello statuto di autonomia, concernente lo stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della regione, e si pone in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'«ordinamento civile», comportando peraltro una evidente violazione del principio di uguaglianza previsto dall'articolo 3 della Costituzione, norma direttamente applicabile anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto rientrante fra i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale».
L’articolo 36 della legge regionale n 9 del 2021 era stato altresì impugnato «anche in relazione all’inidoneità della copertura finanziaria in violazione del principio dell'equilibrio di bilancio delle pubbliche amministrazioni (art. 97, primo comma, della Costituzione) e del principio di copertura delle leggi di spesa (art. 81, terzo comma), della Costituzione».
Analoghe doglianze sono oggi riproposte nei riguardi dell’art. 13, comma 22 della legge in oggetto dacché «la disposizione in esame, nell’apportare una modifica al comma 4 dell'articolo 36 della legge regionale 15 aprile 2021, n. 9, consistente in una ulteriore tipizzazione dei soggetti di cui all’elenco di cui all'articolo 30, comma 1, della legge regionale n. 5/2014, si pone in contrasto con le norme di rango costituzionale già richiamate nelle precedenti impugnative, nonché in relazione alla mancata considerazione degli oneri».
4.9. L'articolo 13, comma 32 della legge in esame abroga la lettera b) dell’articolo 2, comma 1, della legge regionale 18 marzo 2022, n. 2 recante "Disposizioni in materia di edilizia".
Tale intervento violerebbe gli artt. 9 e 117, comma primo in relazione alla Convenzione europea sul paesaggio, e il secondo comma lettera s) dello stesso art. 117 Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; l'articolo 117, comma secondo, lettera m) e comma terzo, della Costituzione, nonché l'articolo 3 della Costituzione, atteso che ammette, ex post, interventi di recupero che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, con conseguente pregiudizio della certezza del diritto e dell'affidamento di potenziali controinteressati.
Le modifiche apportate dalla legge n. 18 del 2022 intervenivano su disposizioni introdotte dalla legge regionale n. 23 del 2022 che era già stata oggetto di impugnativa da parte del Governo innanzi alla Corte costituzionale, «in quanto volta a consentire il recupero abitativo di qualsivoglia pertinenza, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati senza alcun limite temporale e in deroga alla pianificazione urbanistica in qualunque tempo emanata, anche se realizzati, a rigore, addirittura dopo l'entrata in vigore della norma de qua, attribuendo premialità volumetriche ulteriori e distinte rispetto a quelle consentite dalla disciplina urbanistico-edilizia».
La legge regionale n. 18 del 2022 era intervenuta sulla legge n. 23 del 2021, limitando la portata degli interventi di recupero abitativo realizzati in deroga alle prescrizioni vigenti soltanto a quelli già esistenti alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Di contro, osserva il Governo, «le modifiche introdotte con la legge n. 13 del 2022 riprendono, in sostanza, la formulazione dell’articolo 5, comma 1, lettera d), n. 4, della legge regionale n. 16 del 2016 introdotta con la legge regionale n. 23 del 2021.
Così facendo essa violerebbe «i principi fondamentali in materia di governo del territorio, che si impongono anche alla potestà legislativa primaria spettante alle Regioni ad autonomia speciale, quelli posti dall’articolo articolo 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942. n. 1150; articolo aggiunto dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, tra i quali il necessario rispetto degli standard urbanistici».
Violerebbe anche «il principio di cui all'articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ove si prevede che la realizzazione di interventi in deroga alla pianificazione urbanistica può essere assentita solo previa valutazione fatta caso per caso da parte del Consiglio comunale, sulla base di una ponderazione di interessi riferita alla fattispecie concreta.
Infine essa confliggerebbe con le norme dettate dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e quelle in tema di pianificazione che costituirebbero "norme di grande riforma economico-sociale condivisa al cui rispetto la Regione Siciliana sarebbe tenuta per quanto abbia competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lett. n), dello Statuto di autonomia, nonché di urbanistica, ai sensi della lett. f), del medesimo art. 14.
4.10. L’articolo 13, comma 53 (Elenchi regionali idonei alle cariche di direttore amministrativo) sostituisce il comma 1-bis dell'articolo 122 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, e successive modificazioni, in materia di nomine nelle aziende sanitarie, prevedendo che gli elenchi regionali degli idonei alle cariche di direttore amministrativo siano aggiornati almeno ogni due anni e che alla relativa selezione siano ammessi i candidati che non abbiano compiuto sessantacinque anni di età e che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) diploma di laurea di cui all'ordinamento previgente al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509 oppure laurea specialistica o magistrale; b) comprovata esperienza nella qualifica di dirigente, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e/o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato.
Tale disposizione, secondo il Governo, violerebbe l’articolo 97 Cost. (imparzialità e buon andamento delle pubbliche amministrazioni) e l’articolo 117, secondo comma, lett. l), e terzo comma, Cost., nonché l’articolo 17 dello Statuto della Regione Siciliana, poiché esorbita dai “limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”.
In particolare, la nuova disciplina regionale confliggerebbe con il quadro normativo statale in materia di conferimento dell’incarico di direttore amministrativo e di direttore sanitario.
Specificamente essa violerebbe l’articolo 3 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n 171, recante “Disposizioni per il conferimento dell'incarico di direttore sanitario, direttore amministrativo e, ove previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio-sanitari delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale” laddove richiama i requisiti previsti dall'articolo 3, comma 7, e dall’articolo 3-bis, comma 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
L’articolo 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, dispone, infatti, che “Il direttore sanitario è un medico ... che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione ... Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche ... che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione...”.
Per tale ragione, secondo il Governo, «la norma in esame si pone in contrasto con il principio fondamentale dettato dal legislatore statale, in quanto modifica la tipologia del requisito culturale e dell’esperienza richiesta ai soggetti che aspirano ad accedere alla direzione amministrativa nonché amplia l’area in cui la citata esperienza può essere acquisita, estendendola a settori del tutto estranei all'ambito sanitario».
Da ciò deriverebbe la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), della Cost. che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi),., «[...] in quanto la disciplina statale sarebbe, evidentemente, ispirata dall’intento di circoscrivere la scelta dei dirigenti, rimessa alle Regioni, ai «candidati in possesso di comprovati titoli e capacità professionali, iscritti in appositi elenchi, allo scopo di affrancare la dirigenza sanitaria da condizionamenti di carattere politico e di privilegiare criteri di selezione che assicurino effettive capacità gestionali e un'elevata qualità manageriale» (Corte Costituzionale - Sentenza n. 155 del 2022).»; nonché dell’articolo 117, terzo comma, Cost. dato che le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992 sarebbero espressione di un principio fondamentale della legislazione in materia di tutela della salute.
Infine «la norma de qua, prevedendo requisiti di qualificazione meno rigorosi e selettivi rispetto a quelli prescritti dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, si porrebbe in contrasto anche con l’articolo 97 Cost.».
4.11. Ulteriori doglianze di illegittimità costituzionale riguardano l'articolo 13, comma 55, a norma del quale «Le strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio possono raggiungere gli standard organizzativi e di personale richiesti dall’articolo 29, comma 1, del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni con legge 23 luglio 2021, n. 1061, anche attraverso la costituzione di reti di impresa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5 convertito con modificazioni con legge 9 aprile 2009, n. 33. Per l'anno 2022 i trasferimenti extrabudget in favore dei soggetti privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale sono calcolati sul consolidato dell'anno 2019"».
Esso presenterebbe due diversi possibili profili di incostituzionalità.
In primo luogo, la previsione della legge regionale secondo la quale "Per l'anno 2022 i trasferimenti extrabudget in favore dei soggetti privati convenzionati con il Servizio sanitario regionale sono calcolati sul consolidato dell'anno 2019", confliggerebbe con l'articolo 117, comma 3, Costituzione, che attribuisce al legislatore statale la definizione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Il Governo richiama in particolare la sentenza del Consiglio di Stato, sezione III, 7 dicembre 2021, n. 8161, secondo cui «l’articolo 8-quinquies, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, in materia di accordi e contratti con le strutture sanitarie e socio-sanitarie accreditate, non consente la remunerazione delle prestazioni che eccedono il tetto di spesa, in quanto la funzionalità del sistema di programmazione della spesa sanitaria presuppone il rispetto dei limiti di spesa stabiliti»; sentenza che si richiama, a propria volta, anche «all’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale tanto la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario (per singola istituzione o per gruppi di istituzioni), quanto la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, risultano rimesse "ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale", dal momento che "tale attività di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l'adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate»(Cass. civ., sez. III, n. 27997 del 2019)».
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata sarebbe individuabile laddove essa prevede che "le strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio possono raggiungere gli standard organizzativi e di personale richiesti dall'articolo 29, comma 1, del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni con legge 23 luglio 2021, n. 106, anche attraverso la costituzione di reti di impresa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5 convertito con modificazioni con legge 9 aprile 2009, n. 33".
La disposizione, infatti, secondo il Governo, «non sembra assicurare, in modo chiaro, la coerenza con le indicazioni di riferimento al livello nazionale, di cui ai "Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio" approvati con Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (Rep. Atti 61/CSR del 21 marzo 2011); criteri «che impegnano le regioni alla attivazione di "meccanismi di reale aggregazione fra strutture di laboratorio, volte non tanto alla sopravvivenza delle stesse, ma ad un reale progetto di miglioramento della qualità complessiva».
4.12. Il Governo ha inoltre deliberato l’impugnazione dell’articolo 13, comma 68 che, modificando l’articolo 12 della legge regionale n. 9/2021, prevede l’assunzione di 300 unità di personale di livello dirigenziale a tempo determinato in luogo delle altrettante 300 unità di personale non dirigenziale indicate nella disposizione oggetto di modifica.
La disposizione impugnata, inoltre elimina il limite del 20% per l’assegnazione da parte della Regione del personale contrattualizzato, di cui al medesimo articolo 12, in distacco, previa convenzione, presso i comuni e gli altri enti locali e senza oneri a loro carico, in relazione al fabbisogno di personale, ai progetti da realizzare e agli obiettivi da raggiungere, al fine di assicurare un incremento della capacità di gestione tecnico-amministrativa dei progetti finanziati dalle risorse della politica unitaria di coesione per gli enti territoriali .
Essa violerebbe l’articolo 81, terzo comma (copertura finanziaria), l’articolo 97, secondo comma (buon andamento e imparzialità dell’amministrazione), l’articolo 117, secondo comma, lett. l) e terzo comma (ordinamento civile e determinazione dei princìpi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato), e l’articolo 119, primo comma (principi di coordinamento della finanza pubblica) della Costituzione.
Osserva il Governo come, con riguardo alla disciplina oggetto della modifica da parte della disposizione impugnata, la Regione avesse «assicurato che le assunzioni in esame erano destinate unicamente al reclutamento di personale, per la durata massima di 36 mesi, da inquadrare nella categoria D – Posizione economica D1, con un onere medio pro-capite annuo pari ad euro 45.000, ed un costo complessivo annuo di 13,5 milioni di euro, inferiore, in ogni caso, al limite massimo di spesa previsto per le finalità complessive dell’articolo, evidenziando altresì che le risorse eccedenti il costo del personale erano invece destinate alle finalità di espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione delle suddette 300 unità di personale a tempo determinato».
Inoltre la Regione stessa aveva precisato che «al fine di reperire le risorse extra regionali necessarie per l’attuazione del citato articolo 12, nella scheda progettuale redatta per l’Agenzia per la Coesione territoriale era stato stimato un onere complessivo nel triennio pari a euro 43 milioni, di cui euro 2,5 milioni nel primo anno da destinare alle procedure di reclutamento ed euro 13,5 milioni per ciascuno dei 3 anni di riferimento quali oneri di personale».
L’intervento normativo oggetto di impugnazione si porrebbe, dunque, «in antitesi con quanto precedentemente affermato e con la scheda progettuale redatta per l’Agenzia per la Coesione territoriale in quanto, nel finalizzare le predette 300 assunzioni al reclutamento di personale di livello dirigenziale anziché di personale del comparto, contraddice integralmente quanto affermato precedentemente dalla Regione e determina il raddoppio degli oneri, con ciò sottraendo in misura significativa risorse di derivazione U.E. destinate in via prioritaria alla realizzazione dei predetti programmi comunitari».
Esso inoltre violerebbe quanto stabilito al punto 2, lett. e), dell’Accordo Stato-Regione Siciliana del 14 gennaio 2021 per il ripiano decennale del disavanzo, che ha previsto, lo snellimento della struttura ammnistrativa della Regione, al fine di ottenere una riduzione significativa degli uffici di livello dirigenziale e, in misura proporzionale, delle dotazioni organiche del personale dirigenziale, nonché la sospensione del reclutamento dei profili dirigenziali per il triennio 2021-2023, al quale aveva fatto effettivamente seguito una riduzione del numero delle strutture dirigenziali e della dotazione organica della dirigenza per l’anno 2022.
Il Governo evidenzia altresì una distonia tra l’intervento normativo previsto e quanto stabilito dal punto 2, lettera j) del richiamato Accordo Stato-Regione Siciliana del 14 gennaio 2021, in materia di recepimento dei principi di dirigenza pubblica già applicati in via ordinaria dalle comparabili amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001.
La Regione Siciliana presenterebbe infatti una «anomala situazione della dirigenza regionale, attualmente articolata su tre livelli dirigenziali, di cui i primi due livelli quasi senza dirigenti in servizio ed il terzo livello – ad esaurimento – con la presenza della quasi totalità dei dirigenti in servizio»; cosicché «la norma regionale assume natura asistematica e micro settoriale se confrontata con la corrispondente normativa statale in materia di reclutamento di personale finalizzato al rafforzamento della capacità ammnistrativa delle pubbliche amministrazioni per l’attuazione dei progetti del PNRR e al tempestivo utilizzo delle corrispondenti risorse di derivazione comunitaria».
Normativa statale che, all’articolo 1 del decreto legge n. 80 del 2021, «prevede la possibilità di effettuare assunzioni a tempo determinato solamente di personale non dirigenziale ovvero di conferire incarichi di collaborazione, nei limiti degli importi previsti dalle corrispondenti voci di costo del quadro economico dei progetti».
4.13. L'articolo 13, al comma 90 stabilisce che: "All'articolo 54, comma 6, della legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante "Norme per il governo del territorio e successive modificazioni, le parole "non oltre cinque anni" sono sostituite dalle parole "non oltre tre anni".
Per effetto della modifica l’art. 5° comma 6 della legge citata prevede che: "Le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati dai comuni, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del PTR e comunque non oltre tre anni dalla loro entrata in vigore".
Tale modifica si porrebbe in contrasto con gli articoli 9 e 117, comma primo in relazione alla Convenzione europea sul paesaggio, e secondo lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, con l'articolo 12, comma 3 del Testo Unico per l'edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e con l'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.
In particolare, la disciplina regionale presenterebbe «significativi profili di difformità rispetto a quella contenuta nel Testo Unico per l'edilizia approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, il cui articolo 12, comma 3 prevede: “In caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione".
Il legislatore statale individua dunque un duplice termine: 3 anni dalla data della delibera di adozione del piano, protratto sino a 5 anni per quei Comuni che abbiano presentato il piano alla Regione per l'approvazione.
Rileva il Governo come tali termini abbiano «un carattere perentorio, atteso che l’esigenza sottesa a tali misure è la salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere. In altri termini, esse hanno finalità di carattere conservativo, che devono essere rinvenute nella necessità di scongiurare il rischio che le richieste dei privati, fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata, finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l'attuazione del piano urbanistico in itinere (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257)».
Attraverso la disciplina statale dell’istituto in questione si perseguono due interessi, potenzialmente contrapposti: quello dei privati all'edificazione, secondo gli strumenti urbanistici vigenti; e quello statale che mira a garantire «l'effettività delle previsioni urbanistiche fin dal momento della loro adozione».
La disposizione in commento, dal momento che è volta a ridurre, del tutto arbitrariamente, da tre a cinque anni il termine di durata delle misure di salvaguardia, peraltro svincolandole dall'adozione dei relativi piani territoriali, introduce nell'ordinamento regionale una disposizione derogatoria alle norme statali in tema di pianificazione urbanistica comunale e paesaggistica, agevolando la trasformazione edificatoria del territorio con il conseguente grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio.
4.14. È altresì impugnato il comma 91 dell’art. 13 (Stabilizzazione personale precario del ruolo sanitario, tecnico e ammnistrativo degli enti del SSN) a norma del quale, ai fini dell’attuazione dell’articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021 n. 234, gli enti del Servizio sanitario regionale procedono preliminarmente, entro il 31 dicembre 2022, ad una ricognizione dei fabbisogni di personale, anche nel periodo pandemico. Inoltre, è prevista l’applicazione dei CCNNLL dell'ambito sanitario aggiornando, anche in deroga, il piano triennale del fabbisogno di personale, nonché il rispetto delle previsioni di legge anche per il personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo, selezionato attraverso prove selettive che abbia maturato o che maturerà alla data del 31 dicembre 2022 i 18 mesi previsti dalla legge n. 234 del 2021.
Esso contrasterebbe con l’art. 117, comma 2, lett. l) della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordinamento civile.
L'art. 1, comma 268, lett. b) della legge n. 234 del 2021, al quale rinvia la disposizione impugnata, prevede – al fine di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l'emergenza sanitaria da COVID- 19 – un’apposita procedura di stabilizzazione.
Esso dispone che: "(...) gli enti del Servizio sanitario nazionale (.,) ferma restando l'applicazione dell'articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, dal 10 luglio 2022 e fino al 31 dicembre 2023 possono assumere a tempo indeterminato, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, il personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario, anche qualora non più in servizio, che siano stati reclutati a tempo determinato con procedure concorsuali, ivi incluse le selezioni di cui all’articolo 2-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e che abbiano maturato al 30 giugno 2022 alle dipendenze di un ente del Servizio sanitario nazionale almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2020 e il 30 giugno 2022, secondo criteri di priorità definiti da ciascuna regione. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto mediante procedure diverse da quelle sopra indicate si provvede previo espletamento di prove selettive".
Osserva il Governo «come il legislatore regionale, pur nel dichiarato intanto di dare attuazione all’art. 1, comma 268 della legge n. 234 del 2021, abbia invero elaborato criteri propri, come la possibilità di derogare al pieno triennale dei fabbisogni del personale, nonché di ampliare l’ambito soggettivo di applicazione anche al personale del ruolo tecnico e amministrativo, ovvero di estendere al 31 dicembre 2022 la finestra temporale utile ai fini della maturazione dei 18 mesi di servizio; ciò in palese difformità con quanto stabilito dal legislatore statale».
Segnatamente la norma regionale impugnata sarebbe «diretta ad introdurre una forma di stabilizzazione avulsa dal citato quadro normativo, in quanto prevede maggiori limiti temporali per la maturazione dei requisiti per partecipare alle procedure selettive rispetto a quelli stabiliti dal citato comma 268 lettera b), della legge 30 dicembre 2021 n. 234 ed include tra il personale destinatario anche il personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo in luogo del solo personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario. Viene introdotta, inoltre, una previsione che consente agli enti del SSR di stabilizzare il personale ivi previsto anche in deroga al piano triennale dei fabbisogni di personale e quindi anche in deroga al limite di spesa di personale cui soggiacciono gli enti del SSN (articolo 11, comma 1 del decreto-legge n. 35 del 2019)».
La disciplina in questione sarebbe dunque riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi ]dell'art. 117, comma 2, lett. l) della Costituzione, ma «la norma regionale incide sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare, sugli aspetti connessi alla sua durata) e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione).
Essa inoltre confliggerebbe anche con l'art. 117, comma terzo, Cost. che riserva allo Stato la competenza a porre principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale che in diverse occasioni «ha riconosciuto come principi di coordinamento della finanza pubblica le disposizioni statali che stabiliscono limiti e vincoli al reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche ovvero relative alla stabilizzazione del personale precario, in quanto incidono sul rilevante aggregato di finanza pubblica costituito dalla spesa per il personale" (sentenze nn. 277 e 18 del 2013, 148 e 139 del 2012; 251 del 2020)».
4.15. Anche la disposizione contenuta al comma 93 dell’articolo 13, è oggetto di impugnazione da parte del Governo, laddove stabilisce che "Al comma 2 dell’articolo 49 della legge regionale 11 agosto 2017, n. 16 e successive modificazioni la parola "2020" è sostituita dalla parola "2025"."
L'articolo 49, della legge regionale n. 16 del 2017, al comma 2 prevede che: "Per i permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16/2016, per i quali sono stati già comunicati l'inizio dei lavori, il termine di ultimazione degli stessi è prorogato fino al 31 dicembre 2025”.
In particolare, il predetto termine di ultimazione dei lavori, originariamente fissato al 31 dicembre 2017, in conseguenza delle modifiche via via apportate al comma 2 dell'articolo 49 della L.R. n. 16 del 2017, era già stato prorogato al 31.12.2018, dall'articolo 33, comma 2, della L.R. n. 8 del 2018; al 31.12.2019 dall'articolo 2, comma 1, della L.R. n. 28 del 2018; e al 31.12.2020 dall'articolo 5, comma 1, della L.R. n. 25 del 2019.
La disposizione in commento (con applicabilità dal 1° gennaio 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 19, comma 2, della suddetta legge n. 13/2022), contiene, quindi, una proroga automatica fino al 31 dicembre 2025 del termine di ultimazione lavori per i permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16/2016, per i quali sia stato già comunicato l’inizio dei lavori stessi.
Mediante siffatto intervento, si introduce nell’ordinamento regionale una disciplina sostitutiva di quella statale sulla proroga dei titoli che si diversifica in maniera sostanziale dalla disciplina statale stessa, sia in relazione all’oggetto (permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16/2016 per i quali sono stati già comunicati l'inizio dei lavori), sia in relazione alla durata della proroga (termine di ultimazione dei lavori prorogato fino al 31 dicembre 2025).
Osserva il Governo come tale proroga «oltre a creare in maniera ingiustificata forti disparità di trattamento tra cittadini a livello nazionale - per i quali il termine a livello statale, rimane fermo, ad oggi, al 2020 - realizza altresì l'invasione da parte del legislatore regionale della sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato».
Segnatamente la disposizione di cui all'articolo 13, comma 93, della legge regionale in esame presenterebbe, «profili di contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. che stabilisce la competenza esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e si porrebbe anche in violazione dell'articolo 14, primo comma, lett. f) dello Statuto della Regione Siciliana che attribuisce alla stessa potestà legislativa esclusiva in materia di urbanistica ma pur sempre "nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano”. Tra quest’ultime sono comprese le norme statali in materia di governo del territorio recanti principi di grande riforma e «devono, invero, essere certamente annoverate le previsioni legislative statali sulla proroga dei titoli, dettate nell’ambito delle misure per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID- 19 e per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina», come rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 245 del 2021.
In quest’ultima pronuncia è ricostruito «diacronicamente il succedersi degli interventi statali, ispirati, sia pure nella diversa modulazione tra la prima e la seconda fase dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, dall’impellente esigenza di preservare, su tutto il territorio nazionale, la validità e l'efficacia dei titoli abilitativi altrimenti compromessa dal blocco delle attività».
La Corte affermato che «L'obiettivo perseguito dall'intervento statale, nello svolgersi di una inusitata emergenza epidemiologica come quella da COVID-19, è consistito nel prorogare i titoli abilitativi in termini omogenei su tutto il territorio nazionale» e che «con la disciplina richiamata a parametro interposto, lo Stato ha disposto la proroga generalizzata dei titoli abilitativi, seguendo lo sviluppo dell'emergenza epidemiologica e delle sue ricadute, nel bilanciamento di interessi potenzialmente confliggenti che connotano gli interventi sul territorio: l'interesse dei beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i diritti ivi conformati, da un lato, e l'interesse pubblico a non vincolare l'uso del territorio per un tempo eccessivo, dall’altro».
Aggiunge il Governo che «analoghe finalità sono alla base dell'ulteriore intervento legislativo che ha disposto un'ulteriore proroga quale misura indispensabile per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina».
Conclude affermando che la disposizione impugnata «si pone in chiaro contrasto con le disposizioni statali che, in quanto "norme di grande riforma economico-sociale", non possono non trovare applicazione sull'intero territorio nazionale, con conseguente illegittimità costituzionale della stessa» e perciò «esorbita, anche, dalle competenze di cui alla lett. f) dell’articolo 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione Siciliana», nonché con l’articolo 117, secondo comma, lettera m) e terzo comma Cost in materia rispettivamente di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e di governo del territorio.
dello Stato».
4.16. Infine, un ampio gruppo di disposizioni sono impugnate per la presunta violazione dell’art. 81, comma 3 Cost., e dunque per assenza di copertura finanziaria.
Si tratta, per la precisione, dell’articolo 12, commi 27, 46 e 58; dell’articolo13, commi 1, 50, 57 e 58; dell’articolo 14, commi 19, 20 e 21; dell’art. 15, comma 6, e dell’art. 18, comma 5.