Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 18 gennaio 2022, JY (Révocation d'une assurance de naturalisation), causa 118/20[1], ECLI:EU:C:2022:34
Nella sentenza JY, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, ha innanzitutto chiarito che una situazione nella quale un cittadino dell’Unione rinunci alla sua cittadinanza di origine e perda, di conseguenza, lo status di cittadino dell’Unione in ragione della garanzia di naturalizzazione ricevuta dallo Stato membro ospitante, rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, qualora tale garanzia sia successivamente revocata con l’effetto di impedire alla persona interessata di recuperare lo status di cittadino dell’Unione. In tal caso, spetta alle autorità nazionali dello Stato membro ospitante valutare se la decisione di revocare la garanzia di concessione della cittadinanza di tale Stato membro sia compatibile con il principio di proporzionalità in considerazione delle conseguenze che essa comporta per la situazione personale e familiare di tale persona.
Nella sentenza JY del 18 gennaio 2022, la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 20 TFUE e, in particolare, sulle conseguenze della perdita della cittadinanza di uno Stato membro sullo status fondamentale di cittadino dell’Unione. Sebbene, in via di principio, i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza nazionale rientrino nella competenza esclusiva di ciascuno Stato membro, già nelle sentenze Rottmann[2] e Tjebbes[3] la Corte di giustizia aveva ritenuto che la situazione di un cittadino dell’Unione che, a causa della revoca della cittadinanza di uno Stato membro, si ritrovi senza lo status conferito dall’art. 20 TUE “ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione” (sentenza Tjebbes, par. 32; sentenza Rottman, par. 42).
Tuttavia, a differenza delle sentenze Rottmann e Tjebbes, ove la perdita dello status di cittadino dell’Unione era conseguenza diretta della revoca della cittadinanza dello Stato membro adottata dalle autorità nazionali, il caso oggetto della presente nota riguardava una cittadina europea che era divenuta apolide a seguito di rinuncia della cittadinanza del proprio Stato membro di origine (Repubblica di Estonia) al fine di ottenere la cittadinanza dello Stato membro ove risiedeva (Repubblica di Austria). In particolare, la rinuncia alla cittadinanza estone, e la conseguente perdita dello status di cittadino dell’Unione, erano intervenute a fronte della garanzia, fornita dalle autorità austriache, che la cittadina, divenuta apolide, avrebbe poi acquisito per naturalizzazione la cittadinanza di tale Stato membro. Tuttavia, a causa della commissione di alcuni illeciti amministrativi considerati gravi ai sensi del diritto austriaco da parte della persona interessata, la garanzia fornita dalle autorità nazionali era stata revocata.
La presente pronuncia rappresenta innanzitutto l’occasione per la Corte di chiarire che la situazione sottoposta alla sua attenzione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. La Corte inizia il proprio ragionamento facendo riferimento a quanto disposto dalla normativa austriaca in materia di cittadinanza, la quale prevede che, nell’ambito della procedura di naturalizzazione, la concessione della cittadinanza austriaca, a seguito di garanzia, impone come condizione preliminare la perdita della precedente cittadinanza dello Stato membro di origine. La Corte pertanto ritiene che “sebbene la perdita dello status di cittadino dell’Unione derivi dal fatto che lo Stato membro d’origine di tale persona, su richiesta della stessa, ha sciolto il vincolo di cittadinanza con quest’ultima” (par. 35), tale domanda è stata nondimeno formulata “nell’ambito di una procedura di naturalizzazione volta a ottenere la cittadinanza austriaca” (ibid.). Tale domanda pertanto costituisce la conseguenza del fatto che detta persona, in considerazione della garanzia ricevuta, si è conformata ai requisiti previsti sia nella legge austriaca sulla cittadinanza sia nella decisione relativa a tale garanzia adottata dalle competenti autorità nazionali.
Pertanto, secondo la Corte, non si può ritenere che la persona in questione abbia volontariamente rinunciato allo status di cittadino dell’Unione, ma piuttosto che la domanda di scioglimento del vincolo di cittadinanza con il proprio Stato di origine aveva invece lo scopo proprio di “consentirle di soddisfare una condizione per l’acquisizione [della] cittadinanza [dello Stato membro ospitante] e, una volta questa ottenuta, di continuare a beneficiare dello status di cittadino dell’Unione e dei diritti ad esso connessi” (par. 36).
Di conseguenza, una procedura come quella prevista dalla normativa austriaca, considerata nel suo insieme, “anche se comporta una decisione amministrativa di uno Stato membro diverso da quello di cui viene chiesta la cittadinanza, incide sullo status conferito dall’articolo 20 TFUE ai cittadini degli Stati membri” (par. 40), giacché può portare, come nel caso di specie, a privare una persona della totalità dei diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione, “nonostante che, nel momento in cui la procedura di naturalizzazione è iniziata, tale persona possedesse la cittadinanza di uno Stato membro e avesse quindi lo status di cittadino dell’Unione” (ibid.).
La Corte richiama poi anche l’art. 21 TFUE il quale sancisce il diritto per ogni cittadino di uno Stato membro di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Infatti, secondo la Corte, i diritti conferiti da tale disposizione sono volti, in particolare, “a favorire la progressiva integrazione del cittadino dell’Unione interessato nella società dello Stato membro ospitante” (par. 42). Pertanto, una situazione come quella del caso di specie, in cui un cittadino dell’Unione, dopo aver esercitato il proprio diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione, è esposto alla perdita “non soltanto del beneficio di tali diritti ma anche dello status stesso di cittadino dell’Unione, pur avendo cercato, attraverso la naturalizzazione nello Stato membro ospitante, di inserirsi maggiormente nella società di quest’ultimo” (par. 43), rientra nell’ambito di applicazione delle disposizioni del trattato relative alla cittadinanza dell’Unione.
La Corte prende successivamente in esame la questione relativa alla verifica che le autorità nazionali competenti, in particolare i giudici nazionali, sono tenute ad effettuare sul rispetto della proporzionalità della decisione di revocare la garanzia di concessione della cittadinanza dello Stato membro ospitante, che rende definitiva la perdita dello status di cittadino dell’Unione per la persona interessata, in relazione alle conseguenze che essa comporta per la situazione di tale persona.
La Corte innanzitutto ricorda che, in linea di principio, lo Stato membro nel quale sia stata avviata la procedura di naturalizzazione deve assicurare l’effetto utile dei diritti che il cittadino dell’Unione trae dall’art. 20 TFUE, che impone che quest’ultimo “non sia, in alcun momento esposto alla perdita del suo status fondamentale di cittadino dell’Unione per via della mera attuazione di tale procedura” (par. 47). L’obbligo di esercitare la competenza in materia di cittadinanza nel rispetto del diritto dell’Unione non si impone però solo allo Stato membro ospitante, ma anche allo Stato membro di cittadinanza.
Ne consegue, in primo luogo, un obbligo per lo Stato membro di origine “di non adottare una decisione definitiva di revoca di cittadinanza, senza assicurarsi che tale decisione entri in vigore solo una volta che la nuova cittadinanza sia stata effettivamente acquisita” (par. 50).
Tuttavia, ove una simile decisione sia già stata adottata, l’obbligo di garantire l’effetto utile dell’articolo 20 TFUE grava anzitutto sullo Stato membro ospitante. Tale obbligo si impone, in particolare, qualora detto Stato membro decida di revocare la garanzia, precedentemente prestata a tale persona, relativa alla concessione della cittadinanza, dal momento che tale decisione può avere l’effetto di rendere definitiva la perdita dello status di cittadino dell’Unione. Secondo la Corte, “[u]na simile decisione può quindi essere adottata solo per motivi legittimi e nel rispetto del principio di proporzionalità” (par. 51).
La Corte ricorda innanzitutto che è legittimo che uno Stato membro voglia, attraverso la propria legge sulla cittadinanza, preservare il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini, evitando “gli effetti indesiderabili del possesso di più cittadinanze” (par. 54). Ciò risulta in linea anche con alcuni strumenti di diritto interazionale richiamati dalla Corte nel suo ragionamento, in particolare, con la Convenzione europea sulla cittadinanza, che non limita il diritto di ciascuno Stato parte di determinare nel proprio diritto interno se l’acquisizione o il mantenimento della sua cittadinanza sono subordinati alla rinuncia o alla perdita di un’altra cittadinanza, e con la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia, secondo la quale un cittadino di uno Stato contraente che chieda la naturalizzazione in un paese straniero non perderà la sua cittadinanza, a meno che non acquisisca o gli sia stata accordata la garanzia di acquisire la cittadinanza di tale paese straniero.
Per quanto riguarda la valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte inizia il proprio ragionamento innanzitutto richiamando la normativa austriaca sulla cittadinanza. Quest’ultima prevede infatti che la revoca della garanzia di concessione della cittadinanza austriaca può intervenire qualora, in sostanza, l’interessato non abbia un atteggiamento positivo nei confronti dello Stato membro di cui intende acquisire la cittadinanza e che il suo comportamento possa minacciare l’ordine e la sicurezza pubblici di tale Stato membro.
Facendo riferimento a quanto già affermato nella sentenza Tjebbes, la Corte ricorda la portata dell’esame del principio di proporzionalità che spetta alle autorità nazionali e, in particolare, ai giudici nazionali, condurre. Tale esame richiede infatti “una valutazione della situazione individuale della persona interessata nonché, eventualmente, di quella della sua famiglia al fine di determinare se la decisione di revocare la garanzia di concessione della cittadinanza, qualora essa conduca alla perdita dello status di cittadino dell’Unione, comporti conseguenze che incideranno in modo sproporzionato, rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, sullo sviluppo normale della sua vita familiare e professionale, alla luce del diritto dell’Unione” (par. 59). Secondo la Corte, conseguenze di tal genere non possono peraltro essere ipotetiche o eventuali.
La Corte prende quindi in esame se la decisione di revoca della garanzia sia giustificata rispetto alla gravità dell’illecito commesso dalla persona interessata nonché alla possibilità per la medesima di recuperare la propria cittadinanza di origine. Quanto a quest’ultimo aspetto, la Corte rileva che, ai sensi del diritto estone, la persona che ha ottenuto lo scioglimento del rapporto statale con la Repubblica di Estonia, risieda per otto anni in tale Stato membro al fine di poter recuperare la cittadinanza di quest’ultimo.
Rispetto invece alla gravità dell’illecito commesso dalla persona interessata successivamente alla garanzia di concessione della cittadinanza austriaca, nel caso di specie si trattava di due illeciti amministrativi definiti ai sensi del diritto austriaco come gravi e relativi, il primo, alla mancata apposizione sul suo veicolo del contrassegno di controllo tecnico e, il secondo, alla guida di un veicolo a motore in stato di ebrezza. Dopo aver ricordato che la definizione di “ordine pubblico” e “pubblica sicurezza” ai sensi del diritto dell’Unione devono essere intese in senso restrittivo, la Corte ha ritenuto che l’interessata non rappresentasse “una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società o una minaccia alla pubblica sicurezza della Repubblica d’Austria” (apr. 70). Secondo la Corte infatti, “[i]nfrazioni al codice della strada, punibili con semplici sanzioni amministrative, non possono essere considerate idonee a dimostrare che la persona responsabile di tali illeciti costituisca una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblici tale da giustificare che sia resa definitiva la perdita del suo status di cittadino dell’Unione” (par. 71). Questo è tanto più vero in quanto, nel caso di specie, tali illeciti avevano dato luogo a sanzioni amministrative minori e non avevano privato l’interessata del diritto di continuare a guidare un veicolo a motore sulla pubblica via. Inoltre, illeciti di tal genere non possono, di per sé, neanche dar luogo a una revoca della naturalizzazione.
Pertanto, la Corte ritiene che, in considerazione delle rilevanti conseguenze per la situazione della persona interessata, in particolare, sul normale sviluppo della sua vita familiare e professionale, che comporta la decisione di revocare la garanzia di concessione della cittadinanza austriaca, la quale ha l’effetto di rendere definitiva la perdita dello status di cittadino dell’Unione, tale decisione non risulta proporzionata alla gravità degli illeciti commessi da tale persona.
[1] Qui il testo della sentenza