La Corte di Giustizia precisa ulteriormente le condizioni per il riconoscimento a favore di un cittadino di paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione “statico”, del diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE
Sentenza della Corte di giustizia (Quarta Sezione) del 5 maggio 2022, Subdelegación del Gobierno en Toledo, Cause riunite C‑451/19 e C‑532/19, ECLI:EU:C:2022:354
La Corte ha statuito che l’art. 20 TFUE osta al diniego di una domanda di ricongiungimento familiare presentata a favore di un cittadino di paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che non abbia mai esercitato la libertà di circolazione (c.d. statico), per la sola ragione che quest’ultimo non abbia per sé e il suddetto familiare risorse sufficienti per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro, senza che sia in alcun modo considerata l’esistenza, tra tali soggetti, di un rapporto di dipendenza tale per cui il mancato riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato a favore del cittadino di paese terzo costringerebbe il cittadino dell’Unione a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme, privandolo così del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti connessi al suo status di cittadino dell’Unione.
La Corte ha, successivamente, precisato che il menzionato rapporto di dipendenza non può dirsi esistente tra un cittadino dell’Unione “statico” e il coniuge, cittadino di paese terzo, per il solo fatto che la legislazione dello Stato membro in cui risiedono e sulla base del quale è stato contratto il matrimonio, impone loro un obbligo di convivenza. Ad avviso della Corte, invece, tale rapporto di dipendenza può ritenersi sussistere qualora la coppia abbia un figlio, minore d’età, che sia cittadino dell’Unione. Da ultimo, la Corte ha specificato che esiste un rapporto di dipendenza tale da giustificare la concessione di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’articolo 20 TFUE a favore di un minorenne, cittadino di un paese terzo, figlio di un cittadino di paese terzo che ha sposato un cittadino dell’Unione qualora da tale matrimonio sia nato un altro figlio, cittadino dell’Unione, che non ha mai esercitato la sua libertà di circolazione e che sarebbe costretto a lasciare il territorio dell’Unione a fronte dell’abbandono forzato di tale territorio da parte del fratello unilaterale.
Nella sentenza Subdelegación del Gobierno en Toledo del 5 maggio 2022, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi in relazione a due rinvii pregiudiziali (XU, C-451/19 e QP, 532/19) sollevati da un tribunale spagnolo (la Corte superiore di giustizia di Castiglia-La Mancia) nell’ambito di due procedimenti concernenti il rigetto della domanda di rilascio di un titolo di soggiorno a favore del familiare - rispettivamente il figlio del coniuge e il marito - di un cittadino dell’Unione che non ha mai esercitato la libertà di circolazione (c.d. “statico”). In entrambi i casi, la domanda era stata respinta poiché l’autorità amministrativa aveva ritenuto che il cittadino dell’Unione non disponesse di risorse economiche sufficienti per se stesso e per il proprio familiare conformemente a quanto previsto dalla normativa nazionale di trasposizione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari[1]. Inoltre, nel caso QP, il respingimento della domanda era stato altresì motivato dal fatto che il cittadino di paese terzo per il quale si chiedeva il ricongiungimento, era stato oggetto di tre condanne penali.
Come evidenziato dal giudice del rinvio, qualora il rifiuto di riconoscere il diritto di soggiorno al cittadino di paese terzo fosse stato determinato esclusivamente dall’assenza di risorse economiche sufficienti da parte del cittadino dell’UE, quest’ultimo – che peraltro in forza del diritto spagnolo è soggetto a un obbligo di convivenza con il coniuge – si sarebbe trovato costretto a lasciare il territorio dell’Unione, determinando in tal modo una violazione dell’art. 20 TFUE[2]. Inoltre, nel caso XU, il mancato riconoscimento del menzionato diritto di soggiorno a favore del minore, cittadino di paese terzo, obbligando di fatto sua madre ad accompagnarlo e a lasciare il territorio dell’Unione, avrebbe compromesso anche i diritti connessi allo status di cittadino europeo del fratello unilaterale che, in quanto minore d’età, sarebbe stato a sua volta costretto a seguire la madre. Infine, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di valutare se un’ulteriore violazione dell’art. 20 TFUE derivasse dalla prassi spagnola consistente nel negare automaticamente la domanda di ricongiungimento familiare di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino spagnolo “statico”, esclusivamente in ragione del fatto che questi non dispone di risorse sufficienti, a prescindere da una valutazione circa l’esistenza, tra tali soggetti, di un rapporto di dipendenza tale per cui il mancato riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato a favore del cittadino di paese terzo costringerebbe di fatto il cittadino dell’Unione a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme.
Pronunciandosi innanzitutto su quest’ultima questione pregiudiziale, la Corte ha in primo luogo precisato che il diritto dell’Unione non può, in linea di principio, applicarsi a una domanda di ricongiungimento familiare di un cittadino di paese terzo con un familiare che sia cittadino dell’Unione c.d. statico. Tuttavia, richiamando la celebre giurisprudenza Zambrano[3], la Corte ha ribadito che sussistono situazioni eccezionali in cui, nonostante il cittadino dell’Unione non abbia usufruito della libertà di circolazione e non sia applicabile il diritto derivato relativo al diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi, un diritto di soggiorno deve ugualmente essere riconosciuto al cittadino di paese terzo al fine di non pregiudicare «l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione» (par. 45). Tale situazione si verifica, in particolare, qualora al cittadino di paese terzo non possa riconoscersi un titolo di soggiorno in forza del diritto derivato dell’Unione e del diritto nazionale e, tra questo cittadino e il cittadino dell’Unione, suo familiare, sussista un rapporto di dipendenza tale per cui l’allontanamento forzato del primo costringerebbe il secondo a seguirlo e, dunque, ad abbandonare il territorio dell’Unione complessivamente considerato.
Nel solco di quanto in precedenza già affermato, la Corte ha statuito che, benché il diritto di soggiorno derivato risultante dall’art. 20 TFUE non sia assoluto, tale disposizione osta a una prassi nazionale che, pur in presenza del richiamato rapporto di dipendenza, introduca un’eccezione al suddetto diritto basata esclusivamente sulla circostanza che il cittadino dell’Unione non abbia risorse sufficienti; ciò infatti andrebbe a ledere il «godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti che derivano dallo status di cittadino dell’Unione» (par. 49) in modo sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito di preservare le finanze pubbliche dello Stato membro in questione[4]. Del pari, la Corte, pur confermando che il diritto di soggiorno derivato risultante dall’art. 20 TFUE non preclude la possibilità per gli Stati membri di introdurre un’eccezione ad esso, finalizzata al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza pubblica, ha statuito che il mancato riconoscimento del diritto di soggiorno in questione non può dipendere esclusivamente dai precedenti penali del cittadino di paese terzo. Il suddetto diniego deve essere il risultato di «una valutazione in concreto di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie, alla luce del principio di proporzionalità, dei diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto e, se del caso, dall’interesse superiore del figlio del cittadino di un paese terzo interessato» (par. 53)[5].
Per quanto concerne, invece, le prime questioni pregiudiziali sollevate dal giudice a quo e riformulate dalla Corte, con riferimento al caso QP, essa si è in particolare pronunciata circa la possibilità di ritenere sussistente un rapporto di dipendenza, tale da giustificare la concessione di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE, esclusivamente in ragione dell’obbligo di convivenza cui il cittadino di uno Stato membro “statico” e il coniuge, cittadino di un paese terzo, sono tenuti, in ragione degli obblighi derivanti dal matrimonio seconda la legislazione dello Stato membro in cui risiedono e sulla base del quale il vincolo è stato contratto. Invece, nel caso XU, la questione è stata affrontata dalla Corte con specifico riferimento all’ipotesi in cui la domanda di concessione del diritto di soggiorno derivato riguardi un minorenne, cittadino di paese terzo al pari del genitore il quale abbia sposato, invece, un cittadino dell’Unione.
Con riferimento alla prima situazione (caso QP), la Corte ha innanzitutto richiamato, conformemente alla propria precedente giurisprudenza in materia, che un rapporto di dipendenza tra due adulti, tale da determinare l’esistenza di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE, è possibile solo in circostanze eccezionali[6]. Al riguardo, occorre precisare che la mera esistenza di un legame familiare, biologico o giuridico, tra il cittadino dell’Unione e il cittadino di paese terzo, così come la circostanza che sia auspicabile mantenere l’unità familiare tra di essi non costituiscono di per sé ragioni sufficienti al riconoscimento del menzionato diritto di soggiorno derivato. Peraltro, in ragione del diritto di soggiorno incondizionato di cui ogni cittadino dell’UE gode nel proprio Stato membro, conformemente a un principio di diritto internazionale sancito dall’art. 3 del Protocollo 4 della CEDU[7] che il diritto UE è tenuto a rispettare, uno Stato membro non può imporre a un suo cittadino di abbandonare il proprio territorio al fine, come nel caso di specie, di rispettare gli obblighi derivanti dal matrimonio. Alla luce di tali considerazioni, la Corte è giunta alla conclusione che l’obbligo di convivenza previsto in capo ai coniugi dalla legislazione nazionale di uno Stato membro non può determinare l’obbligo per il cittadino di tale Stato di lasciarne il territorio qualora al coniuge, cittadino di paese terzo, non sia riconosciuto un titolo di soggiorno in tale territorio. Ne consegue che il suddetto obbligo di convivenza non è di per sé solo sufficiente a dimostrare l’esistenza di un rapporto di dipendenza tale da giustificare la concessione di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE.
D’altra parte la Corte, mossa dalla necessità di fornire al giudice a quo una soluzione utile a risolvere la controversia davanti ad esso pendente, ha proceduto a valutare se l’articolo 20 TFUE debba essere interpretato nel senso che il suddetto rapporto di dipendenza possa invece ritenersi sussistente qualora il cittadino dell’UE, che non ha mai esercitato la sua libertà di circolazione e il coniuge, cittadino di uno stato terzo, siano genitori di un minore, anche egli cittadino dell’UE che non abbia mai esercitato la propria libertà di circolazione. A questo riguardo, la Corte ha ricordato che, conformemente alla propria giurisprudenza[8], al fine di valutare se il rifiuto di riconoscere un diritto di soggiorno derivato al genitore, cittadino di un paese terzo, di un minore cittadino dell’Unione, costringa, di fatto, quest’ultimo ad accompagnare il genitore e quindi a lasciare il territorio dell’Unione privandolo del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferiti dal suo status di cittadino dell’Unione, occorre in particolare considerare se il genitore, cittadino di paese terzo, abbia l’affidamento del figlio e sia titolare dell’onere giuridico, finanziario o affettivo ad esso correlato. Più in particolare, una tale valutazione deve essere svolta tenendo conto del diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che «deve essere letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, con il quale si combina il diritto per tale minore di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, quale sancito all’articolo 24, paragrafo 3, della Carta» (par. 66). La Corte ha quindi ribadito che la circostanza che il genitore, cittadino dell’Unione, sia realmente capace e disposto ad assumersi integralmente l’onere del figlio minorenne costituisce un elemento pertinente nell’ambito della valutazione de qua, ma non rappresenta un elemento di per sé solo sufficiente a constatare l’inesistenza del menzionato rapporto di dipendenza tra il genitore cittadino di un paese terzo e il minore. Tali principi, già enucleati dalla Corte in una ormai consolidata giurisprudenza[9], sono stati ulteriormente precisati nella sentenza in commento, specificando che proprio in ragione dei menzionati criteri, qualora il cittadino dell’Unione minorenne coabiti stabilmente con i due genitori e, pertanto, il suo affidamento e l’onere giuridico, affettivo e finanziario di quest’ultimo siano da essi condivisi quotidianamente, deve ritenersi esistente, sulla base di una presunzione relativa, un rapporto di dipendenza tra tale cittadino dell’Unione minorenne e il genitore, cittadino di un paese terzo.
Per quanto riguarda invece l’esistenza di un rapporto di dipendenza tale da determinare il riconoscimento di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFEU nel caso XU, la Corte ha innanzitutto ribadito che tale diritto ha portata «sussidiaria» (par. 73) e, pertanto, spetta al giudice del rinvio valutare se il cittadino di paese terzo, minore d’età, possa beneficiare nel territorio dello Stato membro di un titolo di soggiorno sulla base di una norma di diritto derivato dell’Unione e, segnatamente, in forza della direttiva 2003/86/CE[10] in materia di diritto al ricongiungimento familiare[11]. A tale riguardo, la Corte ha precisato che, nonostante tale direttiva non si applichi ai cittadini dell’UE, l’obiettivo da essa perseguito di favorire il ricongiungimento familiare, in particolare dei minori, implica che la sua applicazione a favore di un minore cittadino di un paese terzo non possa escludersi per la sola ragione che il genitore, cittadino di un paese terzo, abbia anche un altro figlio, cittadino dell’Unione, nato da una successiva unione con un cittadino dell’Unione.
In subordine, qualora si accerti che il minore cittadino di paese terzo non dispone di un titolo di soggiorno in forza di tale direttiva o di un'altra disposizione di diritto nazionale, occorre valutare se egli possa beneficiare di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE. A questo riguardo, la Corte ha statuito che la concessione di tale diritto sia giustificata qualora si accerti l’esistenza di un rapporto di dipendenza non solo tra il minore, cittadino di paese terzo, e il genitore anch’egli cittadino di paese terzo, ma altresì tra quest’ultimo e un altro figlio, minore, nato dal matrimonio con un cittadino dell’Unione e anch’egli cittadino dell’Unione, che non abbia mai esercitato la sua libertà di circolazione. Qualora si accerti l’esistenza di tali rapporti di dipendenza, l’allontanamento forzoso del minore cittadino di paese terzo costringerebbe di fatto anche il genitore, cittadino di paese terzo, a lasciare il territorio dell’Unione e ciò, a sua volta, avrebbe l’effetto di obbligare anche il secondo figlio, cittadino dell’Unione, ad abbandonare il territorio dell’Unione per accompagnare il genitore e il fratello unilaterale e ciò, pertanto, giustifica la concessione di un diritto di soggiorno derivato ai sensi dell’art. 20 TFUE al minore cittadino di paese terzo. Come precisato dalla Corte, l’esistenza di tali rapporti di dipendenza deve avvenire sulla base dei criteri sopra menzionati. Tali criteri si applicano anche mutatis mutandis al fine di accertare l’esistenza tra il minore e il genitore, entrambi cittadini di paesi terzi e, in analogia con quanto affermato in relazione al caso QP, la circostanza che l’altro genitore del minore possa effettivamente prendersene carico, da un punto di vista giuridico, finanziario e affettivo, anche nel suo paese d’origine, costituisce «un elemento pertinente, pur non essendo, in quanto tale, sufficiente per concludere che il genitore residente nel territorio di [uno] Stato membro non sarebbe costretto, di fatto, a lasciare il territorio dell’Unione» (par. 83).
[1] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Testo rilevante ai fini del SEE).
[2] Art. 20 TFUE: «1. È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.
- I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro: a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; c) il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua.
Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi».
[3] Corte di Giustizia, sentenza dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C-34/09, ECLI:EU:C:2011:124.
[4] In questo senso, Corte di Giustizia, sentenza del 27 febbraio 2020, Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real (Coniuge di un cittadino dell’Unione), C‑836/18, EU:C:2020:119, punti 44 e da 46 a 48.
[5] In questo senso, si v. già Corte di Giustizia, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, par. 86. In particolare, nell’ambito di tale valutazione, l’autorità nazionale può prendere in considerazione la gravità dei reati commessi, il grado di severità delle condanne e il periodo intercorso tra la data della loro pronuncia e la data in cui detta autorità statuisce; inoltre, qualora il rapporto di dipendenza tra il cittadino di paese terzo e il cittadino dell’Unione minorenne sussista in ragione del fatto che il primo è genitore del secondo, è necessario altresì considerare l’età e lo stato di salute del minore, nonché la sua situazione familiare ed economica.
[6] Corte di Giustizia, sentenze del 8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, par. 65, e del 27 febbraio 2020, Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real (Coniuge di un cittadino dell’Unione), C‑836/18, EU:C:2020:119, par. 56.
[7] CEDU, Protocollo n. 4, art. 3: «1. Nessuno può essere espulso, a seguito di una misura individuale o collettiva, dal territorio dello Stato di cui è cittadino. 2. Nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino».
[8] Corte di Giustizia, sentenze dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), cit., par. 70 e del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., C‑133/15, EU:C:2017:354, par. 68.
[9] Corte di Giustizia, sentenze del 1° luglio 2010, Povse, C‑211/10 PPU, EU:C:2010:400, par. 64, dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), cit., parr. 71-72 e del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a., cit., par. 71.
[10] Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, OJ L 251, 3.10.2003, p. 12-18.
[11] La Corte ha, in particolare, richiamato l’art. 4, par. 1, lett. c), in forza del quale gli Stati membri autorizzano l'ingresso e il soggiorno «i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest'ultimo sia titolare dell'affidamento e responsabile del loro mantenimento».