La Corte si pronuncia (con una sentenza di inammissibilità) sul meccanismo di designazione del sindaco metropolitano e rivolge un monito al legislatore (1/2022)

Sentenza n. 240/2021 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 7 dicembre 2021 – Pubblicazione in G.U. del 9/12/2021, n. 9

Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 240 del 2021 la Corte costituzionale ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto il meccanismo di designazione del sindaco delle Città metropolitane previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. legge Delrio). Nello specifico, la Corte d’appello di Catania ha censurato gli articoli 13, comma 1, e 14 della legge della Regione Siciliana n. 15 del 2015 e l’art. 1, comma 19, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli 1, 2, 3, 5, 48, 97 e 114 della Costituzione. Le disposizioni impugnate disciplinano – rispettivamente a livello regionale e nazionale – il sistema di designazione degli organi rappresentativi della Città metropolitana, stabilendo un meccanismo di identificazione ratione officii tra il sindaco del Comune capoluogo e il sindaco della Città metropolitana.

 

Ad avviso del giudice rimettente, tale automatismo, risultante dal combinato disposto delle disposizioni censurate, si porrebbe in contrasto con il principio democratico (art. 1 Cost.), per come esso informa anche le autonomie locali (art. 5 Cost.), e determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini del Comune capoluogo della Città metropolitana – che, con il loro voto, eleggono sia il sindaco del Comune sia il sindaco metropolitano – e i cittadini di un Comune non capoluogo, ai quali sarebbe invece preclusa la possibilità di esprimere il proprio voto in relazione agli organi rappresentativi della Città metropolitana (artt. 3 e 48 Cost.). Inoltre, una irragionevole disparità di trattamento sussisterebbe, altresì, tra i cittadini di un Comune non capoluogo della Città metropolitana e i cittadini dei Comuni non capoluogo compresi in un ente di area vasta provinciale, atteso che essi partecipano, sia pure indirettamente, all’elezione del presidente della Provincia attraverso l’elezione dei sindaci e dei consiglieri comunali.

La pronuncia presenta elementi di interesse sotto un duplice profilo.

In primo luogo, viene in rilievo un aspetto di carattere processuale. L’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza e difesa congiunta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Regione Siciliana, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla Corte d’appello di Catania per difetto di rilevanza, non ritenendo sussistente il requisito dell’incidentalità nei termini fissati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2015. Con tale pronuncia, la Corte ha, infatti, escluso l’ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale riguardanti norme elettorali nell’ambito di azioni di accertamento aventi ad oggetto le condizioni di esercizio del diritto di voto.

Tuttavia, la Corte, ripercorrendo la giurisprudenza costituzionale sulle questioni sollevate nell’ambito di giudizi concernenti azioni di accertamento in materia elettorale, ricorda che l’ammissibilità delle questioni è stata fatta dipendere dalla sussistenza di quattro presupposti (1. motivazione sufficiente e non implausibile sulla sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti nel giudizio principale; 2. oggetto delle questioni sia il diritto di voto e questo si caratterizzi per una situazione di incertezza sulla sua effettiva portata; 3. necessità di garantire il controllo di costituzionalità di leggi che non potrebbero essere sottoposte per le vie ordinarie al sindacato di costituzionalità; 4. presenza di indici rivelatori di un effettivo rapporto di pregiudizialità tra il giudizio a quo e quello costituzionale), presupposti che – contrariamente a quanto eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato – i giudici costituzionali ritengono sussistere nel caso di specie. Le disposizioni impugnate, ancorché non stabiliscano regole elettorali propriamente intese, «nel senso che esse non individuano né il presupposto o i termini di svolgimento di un procedimento elettivo, né tanto meno una determinata formula elettorale», sono da considerarsi inerenti all’esercizio del diritto di voto, del quale, nel caso di specie, a fronte della mancata previsione della natura elettiva del sindaco metropolitano, è in discussione l’esistenza stessa.

Ciò premesso, la Corte osserva come il giudice rimettente abbia offerto una motivazione ampia e articolata sulla sussistenza dell’interesse ad agire del ricorrente e sulla preclusione, per il ricorrente, di «chances effettive di ottenere tutela al di fuori dell’azione di accertamento» intentata, rendendo così evidente il rischio, in caso di inammissibilità delle questioni, di negare al ricorrente un sindacato su atti immediatamente lesivi del diritto a partecipare alle elezioni. Infine, i due giudizi risultano senz’altro distinti, poiché «nel giudizio principale il petitum consiste nella richiesta di accertare la menomazione del diritto di voto subita in relazione alla condizione dal ricorrente, laddove nel giudizio costituzionale si chiede di dichiarare che il diritto di voto è pregiudicato dalla disciplina legislativa vigente».

La Corte, tuttavia, evidenzia come le questioni vadano comunque dichiarate inammissibili, per un differente ordine di ragioni e, qui, risiede il secondo motivo di interesse della pronuncia in commento.

Il giudice a quo muove dall’erroneo presupposto che i cittadini residenti nel Comune capoluogo eleggano, contestualmente al sindaco del proprio Comune, anche il sindaco della Città metropolitana. In realtà – chiarisce la Corte – l’individuazione del sindaco metropolitano consegue «come effetto disposto direttamente e automaticamente dalla legge, al compiersi di un diverso procedimento elettorale, quello per l’elezione del sindaco del Comune capoluogo, in sé conchiuso e che è l’unico rispetto al quale si assiste alla espressione del voto della collettività locale. Anche i cittadini residenti nel Comune capoluogo, infatti, non esprimono altra volontà che quella preordinata all’elezione degli organi del Comune, con la conseguenza che solo in ragione dell’esteriore consequenzialità tra i due atti si può impropriamente ritenere che il sindaco metropolitano sia eletto solo da una parte dei cittadini residenti nella Città metropolitana».

Tale presupposto interpretativo errato determina l’inammissibilità delle questioni, perché con esse si chiede impropriamente alla Corte di estendere ai cittadini residenti in Comuni non capoluogo una disciplina idonea a consentire l’elezione diretta del sindaco metropolitano. Si richiede, dunque, l’introduzione ex novo di una normativa elettorale che coinvolga tutti i cittadini residenti nel territorio della Città metropolitana, attraverso un intervento manipolativo precluso alla Corte e rimesso «soltanto al legislatore nella sua discrezionale valutazione con specifico riferimento agli aspetti anche di natura politica che connotano la materia elettorale».

La Corte rivolge, quindi, un monito al legislatore, sollecitando un intervento legislativo che, a fronte dell’esistenza di una pluralità di soluzioni astrattamente possibili, operi il dovuto bilanciamento tra i principi costituzionali in materia di elettorato attivo e la necessaria responsabilità politica degli organi rappresentativi delle Città metropolitane.

  

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