Ordinanze nn. 255 e 256 del 2021
1. Ordinanza n. 255/2021 – giudizio sull’ammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
Deposito del 23/12/2021 – Pubblicazione in G. U. 29/12/2021
Motivo della segnalazione
La decisione ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal senatore Gianluigi Paragone nei confronti del Senato e del Governo, in relazione all’adozione, da parte del Collegio dei Questori, della delibera n. 406/XVIII del 13 ottobre 2021, con la quale è stato previsto che i senatori, per poter accedere ai fini di accedere alle sedi del Senato, debbano possedere ed esibire la certificazione verde di cui all’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (recante «Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19»), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, e modificato dal successivo decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (recante «Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening»), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165
Nel ricorso si sosteneva che la previsione, introdotta dalla delibera e «di fatto applicata» senza che fosse stato modificato il regolamento del Senato, avrebbe avuto per effetto di menomare le prerogative costituzionali attribuite a ciascun senatore dagli artt. 1, 54, 64 e 67 della Costituzione. Inoltre, vi si rilevava che la menomazione delle attribuzioni costituzionali del ricorrente si sarebbe prodotta a seguito della decisione di introdurre la certificazione verde per i senatori in forza di una mera delibera del Collegio dei questori, anziché per il tramite di una modifica del regolamento del Senato, assunta a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
La Corte, dopo aver ricordato di aver riconosciuto, fin dall’ordinanza n. 17 del 2019, l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare (le quali possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, a condizione che vi sia una violazione manifesta della prerogativa,rilevabile nella sua evidenza già in sede di sommaria delibazione) e dopo aver altresì ricordato che, in ogni caso, tale violazione non può riguardare esclusivamente la scorretta applicazione dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera (come già precisato nelle ordinanze n. 193, n. 188, n. 186 del 2021 e n. 86 del 2020), illustra le ragioni per cui ritiene che il ricorso presentato nel caso di specie sia inammissibile.
In primo luogo, il ricorso è inammissibile nella parte in cui sostiene che dalla disposizione dell’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, secondo cui gli organi costituzionali adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni concernenti la certificazione verde, dovrebbe trarsi il divieto, per il Senato, di richiedere l’esibizione della certificazione verde ai suoi componenti. La Corte osserva che la «spiccata autonomia» di cui godono gli organi costituzionali (sentenza n. 129 del 1981) impone di escludere che la decretazione d’urgenza possa formulare condizioni atte ad interferire con (fino potenzialmente ad impedire) lo svolgimento dell’attività propria dell’organo e precisa che, pertanto, la menzionata disposizione contenuta nel decreto-legge n. 52 del 2021 deve essere interpretata «nel senso che esso preservi integralmente la libera valutazione di opportunità dell’organo, e delle Camere nel caso di specie, in ordine all’an, al quando e al quomodo del processo di adeguamento». Ne consegue che nessun argomento può essere tratto dalla disciplina normativa prescritta per i lavoratori pubblici dal citato art. 9-quinquies, per desumere da quest’ultima la menomazione delle prerogative costituzionali dei senatori.
In secondo luogo, si osserva che il ricorrente ha trascurato che l’introduzione della certificazione verde è stata inizialmente decisa dal Consiglio di Presidenza del Senato con delibera del 5 ottobre 2021, che non è stata resa oggetto di conflitto, e solo successivamente quest’ultima è stata recepita dal Collegio dei questori. Con tale delibera il Consiglio di Presidenza si è basato sull’interpretazione secondo cui il mancato possesso della certificazione verde da parte del senatore, in occasione dell’accesso alle sedi del Senato, fosse sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 67, comma 4, regol. Senato (norma secondo la quale «[p]er fatti di particolare gravità che si svolgano nel recinto del palazzo del Senato, ma fuori dell’Aula, il Presidente può ugualmente investire del caso il Consiglio di Presidenza il quale, sentiti i Senatori interessati, può deliberare le sanzioni di cui ai commi precedenti», ovverosia l’interdizione dai lavori parlamentari per un periodo non superiore a dieci giorni di seduta). Pertanto, l’atto oggetto del conflitto si limita ad adottare una specifica interpretazione dell’art. 67 regol. Senato sicché è del tutto improprio sostenere la necessità che il regolamento stesso sia modificato, quando la fattispecie in esame è già disciplinata nelle forme emerse all’esito di detta interpretazione (sulla quale il ricorrente non ha preso alcuna posizione).
In terzo luogo, laddove nel ricorso si afferma che il modus procedendi osservato dagli organi del Senato avrebbe infranto la riserva di regolamento che l’art. 64 Cost. pone «a garanzia della autodichia delle Camere», emerge un ulteriore profilo di inammissibilità, atteso che il ricorrente non rivendica la lesione di una sua propria prerogativa, ma di una competenza che la Costituzione attribuisce semmai all’intero Senato (viene richiamata l’ordinanza n. 67 del 2021); né, con riguardo all’impedimento ad esercitare le proprie prerogative costituzionali, il ricorso motiva in ordine ad ulteriori profili che renderebbero l’introduzione della certificazione verde lesiva di tali attribuzioni.
In definitiva, il ricorso ha omesso di dimostrare adeguatamente se la certificazione verde e i presupposti che la consentono siano tali da costituire un effettivo impedimento all’esercizio delle attribuzioni proprie del senatore.
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2. Ordinanza n. 256/2021 – giudizio sull’ammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
Deposito del 23/12/2021 – Pubblicazione in G. U. 29/12/2021
Motivo della segnalazione
La decisione ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso da alcuni deputati appartenenti alla componente di opposizione del gruppo misto della Camera dei deputati, denominata “L’Alternativa C’è”, nei confronti del Governo, della Camera dei deputati, dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori della stessa Camera, in riferimento a diversi atti. Più precisamente, erano stati impugnati: 1) la delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera del 22 settembre 2021, recante «Misure per l’adeguamento dell’ordinamento della Camera dei deputati alle disposizioni in materia di certificazioni verdi recate dal decreto-legge del 21 settembre 2021, n. 127»; 2) la delibera del Collegio dei questori della Camera del 12 ottobre 2021, che, a sua volta, richiede ai deputati di possedere la certificazione verde, ai fini dell’accesso alle sedi della Camera; 3) la nota 13 ottobre 2021, prot. n. 2021/0021473/GEN/CPA, con la quale i deputati questori hanno dato comunicazione ai presidenti dei gruppi parlamentari della citata decisione del 12 ottobre 2021. Questi atti, secondo deputati ricorrenti, avrebbero prodotto una menomazione delle loro prerogative fondate su diverse disposizioni della Costituzione.
La Corte, dopo aver ricordato di aver riconosciuto, fin dall’ordinanza n. 17 del 2019, l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare (le quali possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, a condizione che vi sia una violazione manifesta della prerogativa,rilevabile nella sua evidenza già in sede di sommaria delibazione) e altresì specificato, in ripetute occasioni, che, in ogni caso, tale violazione non può riguardare esclusivamente la scorretta applicazione dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera, illustra le ragioni per cui ritiene che l’intero ricorso presentato nel caso di specie sia inammissibile.
Poiché la «spiccata autonomia» di cui godono gli organi costituzionali (sentenza n. 129 del 1981) impone di escludere che la decretazione d’urgenza possa formulare condizioni atte ad interferire con (fino potenzialmente ad impedire) lo svolgimento dell’attività propria dell’organo, deve anzitutto concludersi che l’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 127 del 2021, secondo cui tali organi adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni concernenti la certificazione verde, «può e deve essere interpretato nel senso che esso preservi integralmente la libera valutazione di opportunità dell’organo, e delle Camere nel caso di specie, in ordine all’an, al quando e al quomodo del processo di adeguamento». Viene pertanto chiarito, preliminarmente, che il d.l. n. 127 del 2021 non «può essere individuato quale fonte della lamentata menomazione delle prerogative costituzionali dei deputati ricorrenti, posto che, alla Camera, l’introduzione della certificazione verde consegue alla delibera dell’Ufficio di Presidenza del 22 settembre 2021, ed eventualmente agli atti parlamentari che ne sono derivati».
In generale, il ricorso ha omesso di dimostrare adeguatamente se la richiesta certificazione e i presupposti che la consentono siano tali da costruire un effettivo impedimento all’esercizio delle attribuzioni proprie dei deputati.
La Corte esclude in ogni caso che le misure contestate producano «alcuna manifesta violazione delle prerogative riconosciute dagli artt. 1, 67, 71 e 72 Cost.»: infatti, deve escludersi che le delibere dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori impugnate, siano afflitte da «una contraddizione logica, prima ancora che giuridica» (come sostenuto dai ricorrenti), perché – spiega la stessa Corte – «l’attribuzione costituzionale del parlamentare gli consente non già di sottrarsi alle regole che siano state legittimamente introdotte anche a suo carico dalle fonti a ciò deputate, ma semmai di attivarsi perché tali regole vengano abrogate o modificate, fermo restando però il dovere di rispettarle, finché in vigore».
Inoltre, se per i ricorrenti la lamentata menomazione delle attribuzioni parlamentari, con lesione degli artt. 64 e 66 Cost., si sarebbe prodotta a seguito della decisione di introdurre la certificazione verde per i deputati in forza di mere delibere dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori, anziché per il tramite di una modifica del regolamento della Camera, assunta a maggioranza assoluta dei suoi componenti, viceversa la Corte giudica «del tutto improprio sostenere la necessità che il regolamento sia modificato, quando la fattispecie in esame è già disciplinata nelle forme emerse all’esito di un processo interpretativo».
Infatti, «gli atti oggetto del conflitto assunti dagli organi della Camera si limitano ad adottare una specifica interpretazione dell’art. 60 regol. Camera». Più in particolare, il presupposto sul quale si è fondata la delibera dell’Ufficio di Presidenza del 22 settembre 2021 è che l’omesso possesso della certificazione verde da parte del deputato, in occasione dell’accesso alla sede parlamentare, fosse disciplinabile ai sensi dell’art. 60, comma 4, regol. Camera, norma, secondo la quale «per fatti di eccezionale gravità che si svolgano nella sede della Camera, ma fuori dell’Aula, il Presidente della Camera può proporre all’Ufficio di Presidenza le sanzioni previste nel comma 3», ovverosia l’interdizione dai lavori parlamentari da due a quindici giorni di seduta. Le considerazioni dei ricorrenti in ordine alla erroneità di questa lettura dell’art. 60, comma 4, regol. Camera da parte dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori non sono nemmeno esaminate dalla Corte, «posto che attengono in questo caso ad una eventuale cattiva applicazione del regolamento della Camera, ovvero a materia non deducibile a mezzo del conflitto» (come è stato già precisato in ripetute occasioni e anche nell’ordinanza n. 17 del 2019).