Sentenza n. 166/2022 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 01/07/2022 - Pubblicazione in G. U. 06/07/2022 n. 27.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude che la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte si era già espressa in merito alla particolare situazione oggetto di giudizio, in cui la riduzione imposta in ragione dell’ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato operi su un onorario la cui base tariffaria non sia stata aggiornata alle variazioni del potere di acquisto della moneta.
La sentenza n. 192 del 2015, alle cui argomentazioni si è allineata la successiva pronuncia n. 178 del 2017, ha, anzitutto, rilevato che il legislatore, nel prevedere – attraverso l’introduzione dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 – che, come nei procedimenti civili, anche in quelli penali con ammissione della parte al patrocinio per i non abbienti debba farsi luogo alla riduzione, sia pure nella diversa misura di un terzo, degli onorari spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato, «non poteva ignorare come si trattasse di compensi che, a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, avrebbero dovuto essere periodicamente rivalutati».
L’adeguamento previsto dall’art. 54 del citato testo unico – evidenziava nell’occasione la Corte – non è mai intervenuto dall’emanazione del decreto ministeriale del 30 maggio 2002, così che, dopo oltre un decennio di inerzia amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi risultava già allora seriamente sproporzionata per difetto, pur considerando il contemperamento imposto dalla natura pubblicistica della prestazione.
Sulla scorta di tali premesse, è stato ritenuto affetto da irragionevolezza l’intervento di riduzione della spesa erariale in materia di giustizia adottato dal legislatore senza verificare che la decurtazione operasse su importi effettivamente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R. n. 115 del 2002, «dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure per difetto, tenendo conto del connotato pubblicistico) a quelle libero-professionali (che per parte loro, nell’ambito di una riforma complessiva dei criteri di liquidazione, sono state aggiornate) e, dall’altro, preservate nella loro elementare consistenza in rapporto alle variazioni del costo della vita» (sentenza n. 192 del 2015).
È stata quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi – rispettivamente spettanti all’ausiliario del magistrato (sentenza n. 192 del 2015) e al consulente tecnico di parte (sentenza n. 178 del 2017) nel processo penale – sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte ha inteso così conservare la norma censurata, sia pure condizionandone l’applicazione all’adeguamento tabellare alle scadenze indicate dalla legge, di modo che il giudice comune possa praticare la riduzione dei compensi solo quando la tariffa posta a fondamento del provvedimento di liquidazione sia conforme alla prescrizione di aggiornamento periodico.
Tale soluzione riposa sull’assunto per il quale l’adeguamento imposto dall’art. 54 del citato d.P.R. 115 del 2002 svolge una fondamentale funzione di riequilibrio e di stabilizzazione del sistema, in quanto assicura la ragionevolezza della liquidazione, pur a fronte di una riduzione delle tariffe (sentenza n. 89 del 2020).
Il dispositivo delle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 sottende un’enunciazione di portata generale che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, trascende la ragione contingente che ha dato occasione allo scrutinio di irragionevolezza dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, identificabile nella obsolescenza degli importi tabellari nel momento in cui la novella legislativa del 2013 ha esteso la riduzione dei compensi anche al processo penale. L’irragionevolezza della norma censurata risiede dunque nella possibilità, derivante dalla sua combinazione con il sistema di determinazione dei compensi delineato dagli artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, che il dimezzamento imposto dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato operi su una base tariffaria già di per sé sproporzionata per difetto. Un meccanismo normativo siffatto, invero, produce effetti incongrui rispetto al fine perseguito, ove la prevista riduzione si associ all’omesso adeguamento ministeriale dell’importo base.
È ben vero che il patrocinio a spese dello Stato è espressione di un bilanciamento rimesso alla discrezionalità del legislatore, il quale può conseguire il risultato della garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale conformando gli istituti nel modo che reputa più opportuno, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (sentenze n. 80 e 47 del 2020, n. 97 del 2019; ordinanza n. 3 del 2020). Nondimeno, una norma che, come quella in scrutinio, decurti significativamente la remunerazione di un’attività professionale svolta nell’interesse della giustizia, può ritenersi ragionevole solo se la misura del sacrificio inflitto al professionista sia correttamente calibrata rispetto al fine di riduzione della spesa erariale. Affinché tale canone di adeguatezza possa ritenersi soddisfatto, la decurtazione deve essere operata su tariffe preservate nella loro elementare consistenza in relazione alle variazioni del costo della vita (sentenza n. 192 del 2015).