Contro l’“astensionismo tecnico”, il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, con delega alle Riforme istituzionali, istituisce una Commissione di studio e consulenza (1/2022)

Le Commissioni di studio, in genere composte da tecnici interni alle amministrazioni e da esperti di estrazione accademica o professionale, assumono tradizionalmente uno speciale rilievo come strumenti utili alla definizione dell’indirizzo politico dei dicasteri, alla progettazione di misure attuative del programma di Governo e al coordinamento interistituzionale. Per la pluralità di attribuzioni e la competenza di direzione politica generale della Presidenza del Consiglio, sono innumerevoli gli organismi di tal genere che risiedono presso quest’ultima, spesso costituiti su iniziativa dei Ministri senza portafoglio.

Ad esempio, l’attuale Ministro per i Rapporti con il Parlamento, on. Federico D’Incà, nel vedersi delegare «funzioni di indirizzo, di coordinamento, di vigilanza, di verifica, di promozione e attuazione di iniziative, anche normative», «elative alle riforme istituzionali, anche costituzionali» e alla «materia elettorale», nonché, in tali ambiti, l’attività di «studio e confronto» su questioni di ordine «sostanziale e procedimentale», si è visto conferire la facoltà di costituire «organi di studio, commissioni e gruppi di lavoro» (artt. 3 e 4 del d.P.C.M. 15 marzo 2021).  In virtù di tale attribuzione, il 22 dicembre 2021, il Ministro ha, con proprio decreto, dato vita a una Commissione «con compiti di studio e consulenza, di analisi ed elaborazione di proposte, anche di carattere normativo, e iniziative idonee a favorire la partecipazione dei cittadini al voto»; la durata della Commissione è stata allineata alla «durata del mandato governativo» (art. 1).

I componenti della Commissione, che prestano la loro attività a titolo gratuito, fatto salvo il rimborso delle spese di viaggio (ex art. 4), sono stati previsti inizialmente in numero di quindici. Membri ex officio sono il Capo di Gabinetto e il Capo del Settore legislativo del Ministro, nonché il Capo del Dipartimento per le riforme istituzionali[1]; a essi si aggiungono, a titolo individuale, un prefetto[2] e il presidente dell’Istat[3]; inoltre, cinque professori universitari di materie giuspubblicistiche e politologiche[4], una consigliera parlamentare[5], una ricercatrice dell’Istat[6] e un dirigente regionale[7], tutti a vario titolo esperti in materia istituzionale o elettorale; infine, due consiglieri della Presidenza del Consiglio, uno competente per gli aspetti informatici e l’altra con funzioni di segretaria[8]. Il Coordinatore della Commissione, nominato in forza dello stesso decreto istitutivo, è il prof. Franco Bassanini. Con successivo atto ministeriale del 2 marzo 2022 la composizione è stata integrata dal nome del Capo del Dipartimento per le riforme uscente, che prosegue la collaborazione a titolo personale. Il medesimo art. 4 del decreto precisa che ai lavori della Commissione possono partecipare sia componenti degli uffici di diretta collaborazione del Ministro, sia esperti esterni (co. 3), e che il supporto tecnico è garantito dal personale di diretta collaborazione e da quello del Dipartimento per le riforme (co. 4).

La prima riunione della Commissione si è svolta a Palazzo Chigi lo stesso 22 dicembre 2021, alla presenza del Ministro; le attività sono poi procedute nei mesi successivi, con la possibilità, per i componenti, di partecipare ai lavori anche da remoto. L’obiettivo iniziale è quello di produrre, entro il 31 marzo, una relazione di sintesi delle prime acquisizioni e proposte (art. 2, co. 2): tale documento, che è stato consegnato all’on. D’Incà, sarà reso noto nel mese di aprile. In attesa di conoscere i primi risultati dei lavori, è comunque possibile esprimere alcune considerazioni di ordine generale.

In primo luogo, si può osservare che il mandato della Commissione sia esteso a qualsiasi genere di consultazione: non soltanto quelle nazionali ed europee, ma anche le elezioni regionali e amministrative. In tal senso, appare decisamente appropriata la presenza, in seno al collegio, di un funzionario regionale, sia pure in forza della sua personale caratura di esperto. La natura di tavolo puramente tecnico e consultivo del Ministro spiega forse l’assenza di una rappresentanza istituzionale della Conferenza delle Regioni e delle organizzazioni intercomunali, che pure non sarebbe parsa incongrua; nondimeno, un’interlocuzione con i vari livelli di governo potrà essere perseguita tramite l’acquisizione di «contributi e proposte» da parte di «organi centrali dello Stato, autorità indipendenti, Regioni, autonomie locali, nonché esperti della materia», assunti anche mediante audizioni (art. 2, co. 4). Anche il referendum può essere oggetto di attenzione, ancorché, come subito si vedrà, sono estranei alle prospettive della Commissione problemi di ordine politico-costituzionale, come la prescrizione di un elevato numero di elettori per la validità di questo tipo consultazione, che ha favorito forme di “astensionismo attivo” volte al boicottaggio delle iniziative abrogative[9].

In effetti, bisogna rilevare come, nell’istituzione del gruppo di lavoro, si dimostri consapevolezza del fatto che le cause dell’astensionismo sono di ordine vario, e alle valutazioni della Commissione sono affidate soltanto alcune di esse. Infatti, classificando i soggetti che non esercitano l’elettorato attivo, si possono distinguere almeno quattro categorie: coloro che sono impediti per ragioni fisiologiche, quali l’età avanzata, una malattia invalidante o altri gravi motivi di ordine strettamente personale; chi, per disaffezione o disincanto, è personalmente indifferente all’esito della tornata elettorale e, in generale, alla vita politica; quanti, pur coltivando un interesse per la cosa pubblica, rifiutano di partecipare al voto non riconoscendosi in alcuna proposta partitica, o, comunque, intendono esprimere un segnale di protesta (a essi si possono assimilare anche quanti si adoperano per impedire il raggiungimento del quorum referendario); infine, i soggetti che sono dissuasi dalla partecipazione per ostacoli di ordine tecnico, legati alla scarsa comprensibilità o alla farraginosità del sistema elettorale[10].

L’attività in commento si rivolge specialmente alla condizione di questi ultimi, come traspare dalle parole pronunciate in apertura dei lavori dal Ministro D’Incà: «alla base dell’astensionismo ci sono molteplici ragioni, oltre a quelle di carattere politico e culturale, come quelle legate a difficoltà materiali, ovvero a ostacoli burocratici, che saranno oggetto dell’attività di analisi della commissione»[11]. Sono infatti stati evidenziati alcuni aspetti meritevoli di una speciale considerazione da parte del gruppo di lavoro: l’abolizione della tessera elettorale[12]; l’accorpamento delle consultazioni in un’unica data annuale[13]; la possibilità di partecipare alle consultazioni per chi si trovi stabilmente lontano dalla residenza, senza il bisogno di recarvisi fisicamente[14]; la facilitazione delle operazioni di voto per le persone anziane o affette da patologie. Tutte queste problematiche, ovviamente, richiedono proattività da parte dei pubblici poteri: correttamente, dall’orizzonte della Commissione sembra estraneo ogni approccio punitivo nei confronti dell’astensione, che, pur in assenza di vere e proprie sanzioni amministrative, ha caratterizzato passate stagioni della legislazione elettorale[15].

È vero che la Costituzione italiana qualifica l’esercizio del voto come un «dovere civico» (art. 48), ed è pur vero che tale diritto è strumentale alla partecipazione a una funzione pubblica fondamentale, espressiva della sovranità[16]. Ma, proprio per questi motivi, ferma restando la garanzia dei requisiti fissati dalla stessa Carta (personalità, eguaglianza, libertà e segretezza)[17], sembra necessario che esso possa esplicarsi nella maniera più agevole e aperta a tutti. Rispetto alla partecipazione elettorale, possono frapporsi ostacoli di ordine politico, la cui soluzione non può che essere di carattere sociale e culturale: ma le norme e l’amministrazione non devono aggiungere difficoltà a difficoltà, occorre anzi che siano orientati nel senso di scongiurarle il più possibile. Si tratta di un compito precipuo delle istituzioni democratiche e, se si vuole, di una diretta attuazione del principio costituzionale per cui alla Repubblica spetta «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono […] l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2).

 

[1] Cons. Marco Caputo, cons. Lorella Di Giambattista, prof. Lorenzo Spadacini.

[2] Pref. Fabrizio Orano.

[3] Prof. Gian Carlo Blangiardo.

[4] Proff. Adriana Apostoli, Franco Bassanini, Elisabetta Lamarque (Diritto costituzionale), Paolo Feltrin e Leonardo Morlino (Scienza politica).

[5] Cons. Cristina De Cesare.

[6] Dott.ssa Alessandra Ferrara.

[7] Dott. Antonio Floridia.

[8] Conss. Paolo Donzelli e Silvia Paparo.

[9] Praticato, come noto, sin dagli anni Novanta, secondo gli inviti avanzati dalle forze politiche favorevoli al mantenimento della normativa oggetto del quesito: l’obiettivo è evitare che venga superata la soglia di partecipazione al voto della metà più uno degli aventi diritto, ex art. 75 Cost., assommando i contrari a coloro che non avrebbero comunque partecipato per indifferenza o ragioni personali. Il fenomeno, già problematizzato da A. Chimenti, Storia dei referendum dal divorzio alla riforma elettorale: 1974-1999, Roma-Bari, Laterza, 1999, 102 ss. e da A. Barbera, A. Morrone, La repubblica dei referendum, Bologna, Il Mulino, 2003, 244 ss., ha, in seguito, avuto speciale rilevanza in occasione delle consultazioni del 2005 e del 2016.

[10] Si legga, ad esempio, V. Cuturi, R. Sampugnaro, V. Tomaselli, L’elettore instabile: voto/non voto, Milano, Franco Angeli, 2000, 50 ss.

[11] Come si legge nel comunicato stampa del Dipartimento per le Riforme istituzionali emesso il 22 dicembre 2021.

[12] Istituita dall’art. 13 della l. 30 aprile 1999, n. 120, in sostituzione del vecchio certificato elettorale, è un documento cartaceo rilasciato dai Comuni a ciascun elettore, al fine di «certificare l'avvenuta partecipazione al voto nelle singole consultazioni elettorali». Da oltre due decenni, ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 9 agosto 2000, n. 299, è prevista l’ipotesi di sperimentare l’introduzione una tessera elettronica integrata nei documenti d’identità di nuovo formato, che però non ha ancora trovato particolare attuazione pratica (cfr. V. Mercurio, S. Scolaro, Manuale del servizio elettorale, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2015, 141 ss.)..

[13] Un primo segnale in tal senso si può già cogliere nella decisione adottata dal Consiglio dei Ministri n. 70 del 31 marzo 2022, che prevede l’accorpamento al primo turno delle elezioni amministrative il voto su cinque quesiti abrogativi di norme in materia di giustizia, il 12 giugno 2022.

[14] È, questo, un tema che ha suscitato negli ultimi anni qualche interesse in dottrina e da parte degli attori politici. In specie, si possono alcune proposte di legge (cfr. atti Camera nn. 543, 19 aprile 2019, on. Nesci ed altri; 1714, 28 marzo 2019, on. Madia e altri; 3007, 9 aprile 2021, on. Brescia ed altri), e gli appelli di R. Bin sul portale www.lacostituzione.info (Il voto è un diritto, anche a distanza, 31 marzo 2021; Votazioni a distanza: chi deve andarsene?, 29 maggio 2021; sulle stesse pagine, l’autore ha espresso apprezzamento per il proposito di occuparsi del tema in seno alla Commissione, Il voto dei fuorisede: una vergogna italiana a cui non si intende rimediare, 1 aprile 2022).

[15] Il riferimento, in particolare, è a norme come quella espressa dall’art. 115 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati (d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361), abrogato dal d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 534, ai sensi del quale «l’elettore, che non abbia esercitato il diritto di voto, doveva darne giustificazione al Sindaco». L’elenco degli astenuti senza comprovato motivo era esposto per un mese all’albo comunale e, per cinque anni, il certificato di buona condotta di costoro avrebbe recato la menzione “non ha votato”. 

[16] A questo proposito, tra le molte, è illuminante la riflessione di L. Basso, Il principe senza scettro, Milano, Feltrinelli, 1998, 187 ss. Cfr. anche il recente M. Rubechi, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 128 ss.

[17] Il che, per esempio, fa sì che il voto elettronico, ancorché espresso mediante Blockchain, non sia pienamente compatibile con il disposto costituzionale (cfr. E. Caterina, M. Giannelli, Il voto ai tempi del Blockchain: per una rinnovata valutazione costituzionale del voto elettronico, in Rivista Aic, 4, 2021); e consente di nutrire perplessità anche sul voto per posta, che pure è impiegato per la Circoscrizione Estero (corroborate, ultimamente, dalla vicenda che ha coinvolto l’elezione di un senatore in America meridionale, annullata il 2 dicembre 2021 in ragione dell’accertata contraffazione di un gran numero di schede).

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