CASS. CIVILE, sez. I, 19 settembre 2023, n. 26801
La pronuncia richiama la pronuncia Cass., SS.UU, n. 12868 del 2005, ai sensi della quale, nell'attuale quadro costituzionale, lo statuto comunale “si configura, come la dottrina è generalmente orientata a ritenere, come atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente come atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare (...). Ne risulta così accentuata l'immanenza della potestà statutaria al principio di autonomia sancito dall'art. 5 Cost. e la configurazione dello statuto come espressione della esistenza stessa e della identità dell'ordinamento giuridico locale". Il rapporto tra fonte legislativa e statutaria, dunque, è ricomposto tramite il ricorso al criterio della gerarchia, limitatamente ai principi, ed a quello della competenza in rapporto a tutte le altre disposizioni di legge. Quella stessa pronuncia, peraltro, stabilì che "La conoscenza dello statuto del Comune, atto a contenuto normativo di rango paraprimario o subprimario, appartiene, in considerazione anche della forma di pubblicità cui tale fonte è soggetta, alla scienza ufficiale del giudice, il quale è pertanto tenuto - in applicazione del principio iura novit curia, discendente dall'art. 113 c.p.c. - a disporne l'acquisizione, anche d'ufficio, ed a farne applicazione ai fatti sottoposti al suo esame, pur prescindendo dalle prospettazioni delle parti".
La Corte rimarca che il vigente Statuto comunale della Città di Bari, nel dettare, al Titolo I, i Principi generali, definisce, all'art. 1, Bari come "comunità aperta", prevedendo, tra l'altro, che "1. La città di Bari, capoluogo della Regione Puglia, è una comunità aperta a uomini e donne, anche di diversa cittadinanza e apolidi. 2. Bari, luogo tradizionale di incontri e di scambi ha la vocazione di legare civiltà, religioni e culture diverse, in particolare quelle del Levante e quelle Europee". Il successivo art. 3, inoltre, elenca i Principi fondamentali, tra i quali è utile ricordare quelli di cui ai punti 2 (il Comune "Sostiene e promuove l'affermazione dei diritti umani, la cultura della pace, della cooperazione internazionale e dell'integrazione etnico-culturale, ispirandosi ai principi dell'unità e dell'integrazione dell'Unione Europea") e 8 (il Comune "Tutela e valorizza le diverse realtà etniche, linguistiche, culturali, religiose e politiche presenti nella città, rifacendosi ai valori della solidarietà e dell'accoglienza, in conformità alle tradizioni storiche della città e alla sua vocazione di città aperta").
È innegabile, peraltro, che queste affermazioni di valori "non possono avere una portata solo retorica o di richiamo a trascorsi storici più o meno illustri e risalenti. (...) In generale, i richiami storici e teleologici contenuti in un testo normativo sono privi di immediato valore precettivo ma, se specifici, costituiscono un criterio sia di interpretazione di atti e condotte che di individuazione dell'identità di un ente".
Tanto premesso, ed in chiave generale di sistemazione teorica, la lesione di tali valori può determinare un danno non patrimoniale, frutto dell'emergere della coscienza partecipativa del singolo alle vicende della comunità in cui vive e deve considerarsi come un portato irreversibile del progresso giuridico e civile. Esso viene essenzialmente ad identificarsi con il nocumento subito da una comunità sostanziale (ravvisabile nell'endiadi popolazione-territorio) in conseguenza di fatti illeciti particolarmente gravi e di grande impatto sociale allorquando gli stessi (oltre che intaccare, eventualmente, gli elementi - funzione, buon nome, patrimonio - della personalità giuridica dell'ente) incidano direttamente sulla posizione della comunità stessa, in ragione del pregiudizio arrecato a tutti quei valori cui, storicamente e tradizionalmente, essa si ispira.
L'emersione del diritto all'identità cittadina, dunque, si rivela essere conseguenza diretta dell'evoluzione generale dell'ordinamento e dell'affermarsi del sempre più diffuso solidarismo, dove il sistema dei media nella comunicazione crea realtà e valori nuovi, suscettibili di essere profondamente incisi da fatti che, in un diverso contesto economico e sociale, avrebbero potuto essere certamente meno dannosi per la comunità.
Il riconoscere l'esistenza di diritti "propri" degli enti pubblici e, conseguentemente, l'ammettere forme di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati, impone, tuttavia, di tenere necessariamente conto della peculiarità del soggetto tutelato e della conseguente diversità dell'oggetto di tutela, così da rendere non manifestamente irragionevole ipotizzare differenziazioni di tutele, sotto il profilo di un maggior rigore della dimostrazione della fattispecie risarcitoria di volta in volta considerata, rispetto a quelle assicurate alla persona fisica. Tanto anche al fine di scongiurare il potenziale proliferare di analoghi contenziosi risarcitori vertenti su pretese violazione di ulteriori valori rinvenibili nelle diversità caratterizzanti ciascuno statuto di ogni comune o di altro ente collettivo - che la sola lesione di valori coincidenti con quelli enunciati in siffatti statuti non può essere, sic et simpliciter, sufficiente a giustificare pretesi risarcimenti, occorrendo, a tal fine, anche altro: vale a dire la dimostrazione - da intendersi disciplinata dalle regole di cui all'art. 2697 c.c. - di come una simile violazione, se (come nella specie) effettivamente e definitivamente accertata, abbia realmente inciso, poi, sull'intera comunità cittadina. In altri termini, quali concrete ripercussioni essa abbia prodotto effettivamente sul sentimento e sull'agire di quest'ultima ispirati a tutti quei valori, umanitari e solidaristici, oltre che costituzionalmente protetti, costituenti, appunto, patrimonio della comunità stessa, riconducibili alla sua identità storica, culturale, politica e sociale, come espressamente sanciti nel suo Statuto. Solo una volta raggiunta tale dimostrazione, dunque, la liquidazione di un siffatto danno in favore del Comune (appunto quale ente collettivo rappresentativo di quella comunità) così concretamente accertato nell'an, ben potrà essere anche equitativa, indicandosi le circostanze di fatto a tal fine considerate e l'iter logico che ha condotto a quel determinato risultato, in modo da pervenire ad una determinazione del quantum congruente rispetto al caso oggetto di cognizione, ossia non arbitraria.