Con la l.r. 6 settembre 2023, n. 23 (“Disposizioni in materia di associazionismo intercomunale, fusioni di Comuni e intese programmatiche di area (IPA)”), approvata nella seduta Consiglio Regionale del 29 agosto u.s., la Regione Veneto ha introdotto una serie di modifiche alle leggi che disciplinano le associazioni e le fusioni tra Comuni nonché i livelli di governance territoriale.
Si tratta di un intervento normativo a contenuto plurimo volto, da un lato, ad agevolare le procedure referendarie previste per la fine di ottobre dello stesso anno e, dall’altro, ad accompagnare e rendere effettive le previsioni indicate nel nuovo Piano di Riordino Territoriale[1] approvato dalla Giunta Regionale ex art. 8 della l.r. n. 18/2012[2].
Il testo in esame interviene, dunque, in maniera contestuale, sugli ambiti normativi disciplinati da alcune leggi regionali vigenti, dedicando uno specifico capo alle modifiche relative a ciascuna di esse (ad eccezione del Capo V, riservato alle disposizioni finali), come di seguito indicati:
- Capo I, artt. 1-4: modifiche alla l.r. 27 aprile 2012, n. 18 “Disciplina dell’esercizio associato di funzioni e servizi comunali”;
- Capo II, artt. 5-7: modifiche alla l.r. 28 settembre 2012, n. 40 “Norme in materia di unioni montane”;
- Capo III, artt. 8-12: modifiche alla l.r. 24 dicembre 1992, n. 25 “Norme in materia di variazioni provinciali e comunali”;
- Capo IV, art. 13: modifiche alla l.r. 29 novembre 2001, n. 35 “Nuove norme sulla programmazione”.
In questa sede, si procederà quindi con l’esame della nuova legge regionale attraverso la messa in luce delle principali novità modificative apportate da quest’ultima con riguardo a ciascuna delle fonti normative elencate, seguendo l’ordine sopra prospettato e rinviando alle precedenti schede della presente Rubrica per una più ampia ricostruzione del quadro costituzionale concernente la potestà prevista dall’art. 133, co. 2, Cost. – che consente alle Regioni di istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificarne le relative circoscrizioni e denominazioni[3].
Orbene, tra le modifiche più rilevanti compendiate nella prima parte dell’articolato normativo (Capo I della legge de qua), che interessano quindi la l.r. n. 18/2012, si segnalano quelle relative alle modalità con cui la Regione favorisce ed incentiva l’adesione volontaria dei Comuni all’esercizio associato di funzioni fondamentali (art. 2 della l.r. n. 18/2012, come modificato dall’art. 1 della l.r. n. 23/2023), nonché le modifiche di alcuni criteri concernenti il procedimento di individuazione della dimensione territoriale ottimale per le proposte di esercizio associato delle funzioni dei servizi da parte dei Comuni: segnatamente, viene ridotto da “almeno 8.000” ad “almeno 6.000 abitanti” il criterio relativo al numero della popolazione dell’area del basso Veneto[4], rilevante ai fini delle dimensioni associative; e viene aggiunto il criterio del “rispetto della dimensione territoriale dell’Ambito Territoriale Sociale (ATS)” (art. 8 della l.r. n. 18/2012, come modificato dall’art. 2 l.r. n. 23/2023). Per espressa previsione legislativa, tale ultimo criterio “non si applica alle forme associative esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge” (art. 2, co. 5, della l.r. n. 23/2023).
Viene altresì modificato il termine per l’aggiornamento del Piano di Riordino Territoriale, che dovrà essere svolto dalla Giunta regionale con cadenza almeno quinquennale e non più triennale; e viene sostituito l’allegato A della l.r. n. 18/2012 relativo all’individuazione cartografica delle aree geografiche omogenee ai fini dell’esercizio associato delle funzioni comunali nelle materie di cui all’art. 117, co. 3 e 4, Cost.
Rientra nella più ampia logica promozionale delle sinergie fra più Comuni attuata dalla Regione Veneto, l’introduzione del comma 3 ter all’art. 10 della l.r. n. 18/2012, in virtù del quale: “La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, definisce […] criteri, parametri e standard minimi per la redazione di studi di fattibilità redatti da parte di enti od istituti pubblici e privati con riferimento ad un determinato territorio regionale e messi a disposizione di comuni, insistenti sul medesimo territorio, interessati al processo di fusione” (art. 3 l.r. n. 23/2023).
Infine, viene abrogata la previsione – invero, mai attuata – di cui all’art. 12 della l.r. n. 18/2012, che prevedeva l’istituzione di un registro regionale delle forme di gestione associata.
Procedendo con l’esame del testo della legge regionale n. 23/2023, gli articoli dal 5 al 7 (Capo II) apportano delle innovazioni modificative alla l.r. n. 40/2012 in materia di Unioni Montane.
Viene qui nuovamente in rilievo la definizione e l’individuazione – operata dal Piano di Riordino – dell’Ambito Territoriale Sociale (ATS) quale ambito adeguato all’interno del quale dovranno costituirsi le forme associative e aggregative, siano esse di programmazione o di gestione. Conseguentemente, l’art. 5 della legge regionale interviene sull’art. 3 l.r. n. 40/2012, inserendo i commi 3 bis e 3 ter. Il primo prevede che “su motivata richiesta dei comuni interessati, formulata attraverso conformi deliberazioni dei consigli comunali approvate a maggioranza assoluta e previa accettazione dell’ingresso, deliberata a maggioranza assoluta dal consiglio dell’unione montana di successiva aggregazione, gli ambiti territoriali delle unioni montane possono essere rideterminati, nella sola forma dello scorporo e della successiva aggregazione ad altri ambiti territoriali, salva, in ogni caso, l’appartenenza dei comuni interessati alla medesima provincia ed al medesimo Ambito Territoriale Sociale (ATS)”. Si prevede che tale criterio possa essere derogato dalla Provincia di Belluno che, su richiesta dei Comuni interessati, sentita la Conferenza degli enti locali bellunesi di cui all’art. 15 della l.r. n. 25/2014[5] può motivatamente richiedere di prescindervi, ai sensi dell’art. 1, co. 86, lett. a), della l. n. 56/2014. In ogni caso, la richiesta dei Comuni viene valutata dalla Giunta regionale che, in caso di accoglimento, sentito il Consiglio delle autonomie montane, provvede a modificare o a integrare il PRT.
Salvo quanto previsto dal co. 3 bis, ai sensi del co. 3 ter, “in considerazione della specialità delle funzioni esercitate dall’unione montana” non è consentito il recesso di un Comune montano dall’appartenenza a quest’ultima.
Infine, tra le modifiche più rilevanti apportate alla l.r. n. 40/2012 si segnala quanto previsto con riferimento all’art. 6 quater in materia di ripartizione del Fondo regionale per la montagna fra le Unioni Montane, ove il rapporto “alle condizioni economico sociali determinate dal grado di spopolamento registrato” viene ora riferito all’ultimo quinquennio (anziché decennio), “risultante dai dati degli ultimi due censimenti permanenti” – e non già temporanei – della popolazione (art. 7 della l.r. n. 23/2023).
Il Capo III della legge approvata dal Consiglio Regionale del Veneto, interessa invece la l.r. n. 25/1992, in materia di variazioni provinciali e comunali. Con riguardo alle modifiche apportate a quest’ultima normativa regionale, si registra la specificazione relativa ai termini di presentazione delle iniziative legislative e delle richieste afferenti alle variazioni di circoscrizioni comunali, che devono essere presentate alla Regione entro e non oltre il termine del 30 aprile dell’anno precedente a quello di rinnovo per scadenza del mandato amministrativo “anche di uno solo” dei Comuni interessati, ma soprattutto si segnala la riformulazione del co. 5 bis dell’ art. 6 della l.r. n. 25/1992, che definisce i quorum per i referendum consultivi sulle variazioni per fusione.
Tale comma, introdotto dall’art. 1 della l.r. n. 22/2013, prevedeva in origine l’approvazione della proposta referendaria al raggiungimento della maggioranza dei voti validamente espressi “indipendentemente dal numero degli elettori” partecipanti al voto.
Con l’art. 4 della l.r. n. 3/2020 era stato aggiunto il quorum costitutivo del 50% degli aventi diritto al voto per ciascun Comune coinvolto nel procedimento di fusione, da riparametrarsi – in maniera variabile – a seconda del numero di elettori iscritti all’AIRE, e veniva altresì aggiunta la previsione secondo cui se “per almeno uno dei comuni il referendum è validamente svolto […] ed è stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, gli esiti del referendum sono comunque sottoposti alla valutazione del legislatore con riferimento anche ai comuni per i quali ha partecipato al referendum una percentuale di aventi diritto al voto inferiore di non più di cinque punti percentuali rispetto a quella prevista dal presente comma ed è stata conseguita la maggioranza dei voti validamente espressi”.
L’art. 10 della l.r. n. 23/2023 interviene, dunque, sia sull’individuazione del quorum costitutivo riducendolo dal 50% al 30%[6] (mentre resta invariato il quorum deliberativo della maggioranza dei voti espressi in ciascun Comune), sia sulla casistica prevista con riferimento agli elettori iscritti all’AIRE, prevedendo una rideterminazione del quorum nella misura del 25%, nel caso in cui questi ultimi risultino superiori al 20% degli aventi diritto al voto. Resta immutata, invece, la possibilità di sottoporre alla valutazione del legislatore regionale gli esiti positivi del referendum nel complesso caso di raggiungimento del quorum in almeno uno dei Comuni coinvolti nel procedimento di fusione e di mancato raggiungimento negli altri, entro il margine del 5%.
Come noto, la natura meramente consultiva dei referendum per le variazioni delle circoscrizioni comunali è stata ribadita a più riprese dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, Corte Cost., sent. n. 171 del 2014, n. 2 del 2018 e n. 214 del 2019), che ha avuto altresì modo di precisare come tale referendum non costituisca “oggetto e contenuto della legge di variazione circoscrizionale, ma suo presupposto procedimentale” (Corte Cost., sent. n. 214 del 2019). In tali ipotesi, infatti, si è “al cospetto di una scelta politica del Consiglio regionale, il quale deve tenere conto della volontà espressa dalle popolazioni interessate, «componendo nella propria conclusiva valutazione discrezionale gli interessi, sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi nella consultazione» (sentenza n. 94 del 2000)” (Corte Cost., sent. n. 2 del 2018). Pertanto, sia la scelta di ridurre il quorum sia la possibilità di sottoporre alla valutazione del legislatore regionale i risultati che abbiano raggiunto il quorum deliberativo ma non quello costitutivo in tutti i Comuni coinvolti, appaiono apprezzabili benché non sufficienti a superare i dubbi, avanzati in dottrina, in merito a simili forme di autolimitazione della discrezionalità legislativa regionale (MENEGUS e BIN, 2020)[7].
Proseguendo nel dare evidenza dalla ratio agevolativa dei procedimenti concernenti le variazioni territoriali che informa l’intero intervento legislativo in parola, essa si rivela nitidamente nell’art. 10, co. 2, ove si prevede che le disposizioni di cui all’art. 6, co. 5 bis, della l.r. n. 26/1992 trovino applicazione “anche a valere per le iniziative legislative, presentate ed in esame, ivi comprese quelle già oggetto di indizione del referendum, alla data di entrata in vigore della presente legge”; ad analoga logica di favor risponde, del resto, l’introduzione dell’art. 8 ter relativo alla previsione di misure premiali, nell’ambito dei bandi regionali, per i Comuni istituiti a seguito di fusione.
La l.r. n. 23/2023 interviene, infine, al Capo IV, sulla disciplina delle Intese Programmatiche d’Area (IPA), attraverso alcune modifiche specifiche alla l.r. n. 35/2001, che risulta così – anch’essa – maggiormente allineata alle previsioni del PRT.
In conclusione, pare opportuno segnalare che, successivamente alle modifiche normative introdotte con la legge in esame, nel Veneto si sono celebrati – il 29 e 30 ottobre u.s. – i quattro referendum che avevano ispirato, insieme al PRT, l’intervento normativo de quo.
Due di essi hanno raggiunto il quorum previsto dalla legislazione, con la positiva affermazione del quesito referendario: si tratta dei Comuni di Quero Vas e Alano di Piave, in provincia di Belluno, che formeranno il Comune di Setteville; nonché Carceri e Vighizzolo d’Este, in provincia di Padova, dove nascerà il nuovo Comune di Santa Caterina d’Este; mentre il referendum per la fusione fra i Comuni di Polesella e Guarda Veneta – in provincia di Rovigo – ha dato esito negativo.
Appare peculiare, invece, il risultato relativo alla fusione fra i Comuni di Gambugliano e Sovizzo, in provincia di Vicenza, ove il quorum – nel secondo Comune – non è stato raggiunto per appena 25 voti. Come anticipato supra, l’art. 6, co. 5 bis, della l.r. n. 25/1992 prevede che, nel caso in cui per almeno uno dei Comuni il referendum risulti validamente svolto e sia raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, “gli esiti del referendum sono comunque sottoposti alla valutazione del legislatore con riferimento anche ai comuni per i quali ha partecipato al referendum una percentuale di aventi diritto al voto inferiore di non più di cinque punti percentuali rispetto a quella prevista dal presente comma ed è stata conseguita la maggioranza dei voti validamente espressi”.
Conseguentemente, nella seduta del 15 novembre u.s., la Prima Commissione della Regione Veneto, in sede di esame dei risultati referendari, ha confermato – in virtù di tale previsione – l’inserimento del progetto di legge n. 207, istitutivo del nuovo comune di Sovizzo (VI), all’interno dell’ordine del giorno dei lavori consiliari, rimettendo così ogni valutazione al Consiglio Regionale, al quale spetterà l’ultima parola sulla fusione di Gambugliano e Sovizzo[8].
[1] La proposta di aggiornamento del Piano di Riordino Territoriale è stata approvata dalla Giunta Regionale con DGR/CR n. 39 del 7 aprile 2023.
[2] La norma in parola prevede che: “La Giunta regionale predispone un piano di riordino territoriale che definisce la dimensione ottimale con riferimento ad ambiti territoriali adeguati per l’esercizio associato delle funzioni e dei servizi da parte dei comuni, in relazione alle aree geografiche omogenee di cui all’articolo 7 [della l.r. n. 18/2012]”. Il nuovo PRT – che sostituisce il precedente, adottato con D.G.R. n. 1417 del 6 agosto 2013 – è stato approvato a seguito di un significativo processo partecipativo, sviluppatosi nell’arco di dodici mesi, che ha visto l’amministrazione regionale confrontarsi con i Sindaci dei Comuni veneti, della Città Metropolitana, con i Presidenti delle Unioni di Comuni e delle Unioni Montane e con i Presidenti delle Province.
[3] Sul punto si v.: B. Vimercati, Le recenti modifiche al referendum consultivo (?) nell’ambito delle variazioni territoriali ex art. 133 co. 2 Cost. nella L.R. 20 dicembre 2022, n. 26, Piemonte, in Osservatorio sulle fonti, Rubriche – Fonti delle Regioni ordinarie, 1/2023; G. Casilli, La Regione Calabria interviene sulla disciplina della fusione dei Comuni con la l.r. 26 maggio 2023, n. 24, in Osservatorio sulle fonti, Rubriche – Fonti delle Regioni ordinarie, 2/2023.
[4] Ai sensi dell’art. 8, co. 3, lett. d), della l.r. n. 18/2012, i valori demografici utili ai fini dimensionali associativi previsti per le altre aree regionali sono i seguenti: almeno 5.000 abitanti per l’area montana e parzialmente montana; almeno 20.000 abitanti per l’area ad elevata urbanizzazione; almeno 10.000 abitanti per l’area del Veneto centrale.
[5] Legge regionale 25 agosto 2014, n. 25 “Interventi a favore dei territori montani e conferimento di forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa, regolamentare e finanziaria alla provincia di Belluno in attuazione dell’articolo 15 dello Statuto del Veneto”.
[6] Analogo quorum costitutivo è previsto dalla Regione Liguria (art. 52 della l.r. n. 12/2020), mentre la Regione Lombardia lo prevede nella misura del 25%.
[7] Sul punto, v. anche B. Vimercati, Le recenti modifiche al referendum consultivo (?) nell’ambito delle variazioni territoriali ex art. 133 co. 2 Cost. nella L.R. 20 dicembre 2022, n. 26, Piemonte, op. cit.
[8] Cfr. Comunicato del Presidente della Prima Commissione del Consiglio Regionale del Veneto, del 15 novembre 2023.