Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 22 dicembre 2022, Ministre de la Transition écologique e Premier ministre (Responsabilité de l’État pour la pollution de l’air), causa 61/21[1], ECLI:EU:C:2022:1015
Nella sentenza Ministre de la Transition écologique, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, si è pronunciata in via pregiudiziale, per la prima volta, circa le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro può essere ritenuto responsabile per i danni alla salute dei suoi cittadini, causati dalla violazione di obblighi discendenti dal diritto dell’Unione in materia ambientale. La Corte di giustizia ha, in particolare, valutato se la normativa dell’Unione in questione fosse preordinata ad attribuire diritti ai singoli. Essa tuttavia ha ritenuto che sebbene le misure considerate ponessero obblighi abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri dovevano assicurare, esse perseguivano un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso e pertanto non contenevano alcuna attribuzione esplicita o implicita di diritti la cui violazione potesse far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per i danni causati ai singoli.
Nella sentenza Ministre de la Transition écologique, del 22 dicembre 2023, la Corte di giustizia si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte di appello amministrativa di Versailles e relativo all’interpretazione di una disposizione della direttiva 2008/50[2] sulla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.
La controversia che aveva dato origine al rinvio riguardava, in particolare, la richiesta di risarcimento – pari a 21 milioni di euro - avanzata da un cittadino francese residente nell’agglomerato di Parigi nei confronti del Ministro francese della Transizione ecologica e del Primo ministro francese, per i danni alla salute che lo stesso riteneva di aver subito a partire dal 2003 a causa del deterioramento della qualità dell’aria, derivante dalla violazione da parte dello Stato membro di alcuni degli obblighi imposti dalla direttiva 2008/50. Tali obblighi riguardavano il superamento dei valori limite di concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria e la mancata predisposizione da parte delle autorità nazionali di piani per la qualità dell’aria ambiente in caso di loro superamento. La domanda era stata inizialmente respinta in primo grado e, avverso tale sentenza, il cittadino francese aveva proposto appello davanti al giudice del rinvio, il quale aveva deciso di sospendere il procedimento e sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La presente pronuncia rappresenta quindi il primo caso in cui la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sia sull’esistenza del diritto, sia sulle condizioni in presenza delle quali i singoli possano chiedere il risarcimento dei danni alla propria salute causati dalla violazione da parte degli Stati membri degli obblighi discendenti dal diritto dell’Unione in materia ambientale. Sin dalla sentenza Francovich,[3] la Corte di giustizia ha infatti riconosciuto che “il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto [dell’Unione] ad esso imputabili è inerente al sistema dei trattat[i]” (sentenza Francovich, par. 35). Inoltre, la Corte di giustizia ha precisato, nella sua giurisprudenza successiva, che tale principio si applica a qualsiasi caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro, indipendentemente dall’autorità pubblica responsabile di tale violazione. Tuttavia, perché i soggetti lesi abbiano diritto al risarcimento è necessario che siano integrate tre condizioni cumulative, segnatamente che la norma giuridica sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione e il danno subito da tali soggetti.
Nella sentenza, la Corte di giustizia richiama innanzitutto la possibilità, al fine di fornire al giudice del rinvio una risposta utile per dirimere la controversia, di prendere in considerazione norme di diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione (par. 34). Nel caso di specie, infatti, il cittadino francese chiedeva il risarcimento dei danni causati dal superamento dei valori limite fissati nella direttiva 2008/50 che avevano recato pregiudizio al suo stato di salute a partire dal 2003. Tuttavia, tale direttiva era entrata in vigore solo l’11 giugno 2008 e aveva imposto agli Stati membri di darvi attuazione entro l’11 giugno 2011. Tenuto conto del periodo rispetto al quale il giudice del rinvio aveva fatto riferimento nelle sue indicazioni, la Corte di giustizia ha ritenuto quindi di dover prendere in considerazione non solo le disposizioni rilevanti della direttiva 2008/50, ma anche la disciplina previgente contenuta nelle direttive 96/62, 1999/30, 80/779 e 85/203[4] (par. 42).
Dopo aver ricordato i presupposti per il sorgere della responsabilità dello Stato membro per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili, la Corte di giustizia si è soffermata sulla prima delle tre condizioni, ovvero che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli. La Corte di giustizia ha quindi ribadito che tali diritti possono sorgere “non solo nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione espressamente li attribuiscono, ma anche in relazione agli obblighi positivi o negativi che le medesime impongono in maniera ben definita sia ai singoli, sia agli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione” (par. 46). Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, la violazione di tali obblighi, positivi o negativi, da parte di uno Stato membro deve andare ad alterare la situazione giuridica che le disposizioni di diritto dell’Unione sono destinare a creare per i singoli, e ciò indipendentemente dalla questione se tali disposizioni abbiano un effetto diretto (ibid.).
Nel caso di specie, la Corte di giustizia ha ritenuto che le direttive prese in considerazione ponevano per gli Stati membri, da un lato, un obbligo di garantire che i livelli delle sostanze inquinanti non superino i valori limite fissati da tali direttive e, dall’altro, qualora tali valori limite siano comunque superati, un obbligo di prevedere misure appropriate per rimediare a tali superamenti, in particolare nell’ambito di piani per la qualità dell’aria (par. 48). Secondo la Corte di giustizia, tali obblighi sono “abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri devono assicurare” (par. 54).
Tuttavia, la Corte di giustizia al contempo rileva che le direttive prese in considerazione perseguono “un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso” (par. 55). Pertanto le disposizioni contenute in tali misure “non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli” e che “gli obblighi previsti da tali disposizioni, nell’obiettivo generale summenzionato, non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli” (par. 56).
La Corte di giustizia ritiene quindi che la prima delle tre condizioni perché lo Stato membro possa essere tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli dalla violazione degli obblighi posti dal diritto dell’Unione non sia soddisfatta (par. 57).
Tuttavia, la Corte di giustizia ricorda al contempo che i singoli dispongono anche di altri strumenti derivanti dal diritto dell’Unione per ottenere tutela, segnatamente la possibilità di ottenere dalle autorità competenti, nel caso ricorrendo anche ai giudici nazionali, la predisposizione di un piano d’azione ogni volta che esista un rischio di superamento dei valori limite o di soglie di allarme, nonché la predisposizione di un piano per la qualità dell’aria in caso di superamento di tali limiti (paragrafi 59-60). Infatti, tale facoltà deriva, in particolare, “dal principio di effettività del diritto dell’Unione, effettività alla quale i singoli interessati sono legittimati a contribuire, avviando procedimenti amministrativi o giurisdizionali a motivo della situazione particolare che costituisce la loro” (par. 62). Inoltre, l’esclusione di una responsabilità risarcitoria dello Stato membro ai sensi del diritto dell’Unione, “non esclude che la responsabilità dello Stato possa sorgere a condizioni meno restrittive sulla base del diritto interno” (par. 63) e che, se del caso, possa essere tenuto conto della violazione degli obblighi derivanti dalle direttive dell’Unione, “quale elemento che può essere rilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità delle autorità pubbliche su un fondamento diverso dal diritto dell’Unione” (ibid.). In questo contesto, i giudici dello Stato membro interessato, eventualmente aditi, potrebbero pronunciare ingiunzioni accompagnate da penalità volte a garantire il rispetto degli obblighi derivanti dalle direttive, “come le ingiunzioni accompagnate da penalità pronunciate in diverse recenti sentenze del Consiglio di Stato” (par. 64).
In definitiva, quindi, la Corte di giustizia esclude che le disposizioni delle direttive in questione siano preordinate a conferire diritti individuali ai singoli che possano attribuire loro un diritto al risarcimento nei confronti dello Stato membro, a titolo del principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili (par. 65).
Va infine segnalato come l’Avvocato Generale Kokott, nelle sue conclusioni[5], fosse invece giunta a una conclusione opposta rispetto a quella fatta propria dalla Corte. In particolare, essa aveva rilevato che gli scopi perseguiti dalle direttive in questione, segnatamente il miglioramento della qualità dell’aria attraverso il rispetto di valori limite, contribuisse anche al perseguimento dell’obiettivo di tutela della salute umana. E che tale ultimo obiettivo non si riferisse unicamente alla tutela della collettività, ma che “l’interesse per la salute presenta natura personale e, quindi, individuale” (conclusioni, par. 77). Inoltre, secondo l’Avvocato Generale era possibile individuare una cerchia ristretta di soggetti beneficiari a cui l’Unione avesse inteso conferire un diritto a una determinata qualità dell’aria ambiente, la cui violazione potesse fondare un diritto di risarcimento. Infatti, “il superamento dei valori limite riguarda soprattutto determinate categorie che vivono o lavorano in zone particolarmente inquinate […], con status socio-economico basso, e particolarmente bisognose di tutela giurisdizionale” (conclusioni, par. 100). Pertanto, l’Avvocato Generale aveva escluso che le norme relative alla qualità dell’aria fossero da considerarsi come dirette esclusivamente a tutelare la collettività. Infatti, la qualità dell’aria deve certamente essere tutelata in generale, tuttavia “i problemi specifici sorgono in luoghi specifici e riguardano categorie specifiche e identificabili di persone” (conclusioni, par. 101).
[1] Qui il testo della sentenza
[2] Direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU L 152 dell' 11.6.2008).
[3] Il testo della sentenza è disponibile qui
[4] Direttiva 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente (GU L 296 del 21.11.1996); Direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo (GU L 163 del 29.6.1999); Direttiva 80/779/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1980, relativa ai valori limite e ai valori guida di qualità dell'aria per l'anidride solforosa e le particelle in sospensione (GU L 229 del 30.8.1980); Direttiva 85/203/CEE del Consiglio del 7 marzo 1985 concernente le norme di qualità atmosferica per il biossido di azoto (GU L 87 del 27.3.1985).