Cittadini di paesi terzi e mandato di arresto europeo: uno Stato membro non può limitare il beneficio di un motivo facoltativo di non esecuzione ai soli cittadini nazionali e di altri Stati membri (2/2023)

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 giugno 2023, O.G., Causa C‑700/21, ECLI:EU:C:2023:444

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, pronunciandosi a seguito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, ha affermato che il principio di uguaglianza dinanzi alla legge di cui all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osta alla normativa di uno Stato membro che limita il beneficio di un motivo facoltativo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo ai cittadini nazionali e di altri Stati membri, escludendo invece in modo automatico qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro. La Corte di giustizia ha altresì precisato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, al contrario, poter procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione del cittadino di paese terzo destinatario del mandato (legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici, natura, durata e condizioni del soggiorno). Questa valutazione deve condurre a stabilire l’esistenza di un sufficiente grado di integrazione del cittadino di paese terzo nello Stato ospitante, cosicché l’esecuzione in detto Stato membro della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue successive possibilità di reinserimento sociale.

In aggiunta a un elenco tassativo di motivi obbligatori di rifiuto di eseguire un mandato d’arresto europeo (MAE), la decisione quadro 2002/584/GAI[1] prevede altresì alcuni motivi facoltativi di non esecuzione. L’art. 4, punto 6, prevede, in particolare, la possibilità di non eseguire un MAE cd. Di esecuzione (ovvero, rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà) «qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». A tal riguardo, il legislatore italiano ha previsto - all’articolo 18-bis, della legge del 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI - che la Corte di appello può rifiutare la consegna richiesta dall’autorità straniera «se il [MAE] è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

In un caso relativo a un MAE spiccato nei confronti di un cittadino moldavo, condannato in Romania a cinque anni di reclusione per alcuni delitti commessi nella qualità di amministratore di una società a responsabilità limitata, la Corte di appello di Bologna ha ravvisato un contrasto tra la limitazione soggettiva dell’ambito applicativo del suddetto motivo facoltativo di non esecuzione operata dal legislatore italiano e, appunto, la formulazione dello stesso nella decisione quadro. Per questa ragione, ha promosso un giudizio di legittimità costituzionale per contrarietà agli articoli 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 4, punto 6, della decisione quadro, all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’art. 8 CEDU, e all’art. 17, par. 1, del Patto internazionale per i diritti civili e politici. Il giudice remittente evocava altresì il contrasto con gli articoli 2, 3 e 27, comma 3, Cost. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha ritenuto necessario verificare - tramite l’intervento della Corte di giustizia - la conformità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione, in particolare con l’art. 4, punto 6, della decisione quadro interpretato alla luce dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali -, prima di procedere all’esame della costituzionalità della medesima normativa in base ai parametri interni.[2]

Nella sentenza oggetto della segnalazione la Corte di giustizia ha precisato i limiti che discendono dal diritto primario dell’Unione europea, e in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali, all’esercizio da parte del legislatore nazionale del margine di discrezionalità che sussiste in relazione ai motivi facoltativi di non esecuzione di un MAE. Gli Stati membri sono infatti liberi di trasporre o meno tali motivi nel loro diritto interno, ma laddove decidano di farlo devono rispettare il principio di uguaglianza davanti alla legge garantito dall’art. 20 della Carta. Diversamente dal divieto di discriminazione in base alla nazionalità di cui all’art. 18 TFUE (replicato dall’art. 21, par. 2, della Carta), il cui ambito di applicazione soggettivo - secondo un’interpretazione ormai consolidata della Corte di giustizia - è circoscritto ai soli cittadini degli Stati membri, l’art. 20 della Carta si applica a tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, e quindi rileva anche rispetto a disparità di trattamento tra cittadini di Stati membri, da un lato, e cittadini di Stati terzi, dall’altro. Tali differenze di trattamento sono consentite solo ove sussista una ragionevole giustificazione oggettiva. Nel caso di specie, da un lato, la formulazione del motivo di non esecuzione di cui all’art. 4, punto 6, della decisione quadro non ha una portata limitata ai soli cittadini degli Stati membri. Dall’altro, l’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, escludendo in modo assoluto e automatico i cittadini di paesi terzi dal beneficio del motivo di non esecuzione del MAE in questione, preclude all’autorità giudiziaria dell’esecuzione ogni possibilità di verificare se i legami del cittadino di paese terzo destinatario del MAE siano sufficienti affinché l’obiettivo del reinserimento sociale perseguito dall’art. 4, punto 6, possa essere meglio raggiunto ove detta persona sconti la sua pena nello Stato membro nel quale risiede o dimora. Da ultimo, con riguardo alla valutazione che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è chiamata a svolgere a tal fine, la Corte di giustizia ha chiarito che occorre tenere conto dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché della natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro.

Facendo seguito all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, nella sentenza n. 178 del 2023 (qui il comunicato) la Consulta  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005 nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

 

[1] Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri - Dichiarazioni di alcuni Stati membri sull'adozione della decisione quadro.

[2] Su tale rinvio, e quello contestuale che ha dato origine alla sentenza nella causa C-699/21, E.D.L.., del 18 aprile 2023 (segnalata in questa Rubrica), operati tramite le ordinanze - rispettivamente - n. 217 e n. 216 del 2021, si v. il comunicato della Corte costituzionale del 18 novembre 2021.

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