Fonti dell'Unione europea

La Corte di Giustizia circoscrive l'obbligo di dare esecuzione al MAE in caso di grave rischio per la salute della persona ricercata (2/2023)

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 18 aprile 2023, E.D.L., Causa C‑699/21, ECLI: ECLI:EU:C:2023:295

La Grande Sezione della Corte di Giustizia, statuendo in seguito a rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte costituzionale italiana, si è nuovamente pronunciata sul rapporto tra fiducia reciproca e tutela dei diritti fondamentali e, in particolare, sulla situazione in cui la protezione di tali diritti impone di non eseguire un mandato di arresto europeo per una ragione non prevista dalla decisione quadro in materia. La pronuncia riguarda, nello specifico, l’ipotesi in cui il ricercato sia affetto da una grave patologia cronica e di durata indeterminata e la consegna possa esporlo al rischio di subire una riduzione significativa della sua aspettativa di vita o un deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del suo stato di salute, tali da configurare un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Grande Sezione ha, innanzitutto, precisato che un’interpretazione della decisione quadro alla luce di tale disposizione, impone di ritenere che, nell’ipotesi richiamata, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a sospendere temporaneamente la consegna e richiedere all’autorità emittente garanzie volte a evitare il materializzarsi del suddetto rischio. Qualora, alla luce delle informazioni ricevute, tale rischio non possa escludersi entro un termine ragionevole, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà rifiutare di dare esecuzione al mandato.

Con la sentenza in commento, la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha aggiunto un ulteriore – e particolarmente significativo – tassello all’ormai rilevante filone giurisprudenziale relativo ai motivi di rifiuto di esecuzione di un mandato di arresto europeo (MAE) per una ragione che, pur non essendo espressamente prevista nella decisione quadro 2002/584/GAI[1] in materia di MAE, si fonda sulla necessità di assicurare tutela ai diritti fondamentali. Come noto, nella sentenza Aranyosi e Căldăraru[2] la Corte ha, per la prima volta, riconosciuto un limite all’obbligo di consegna della persona ricercata qualora ciò possa esporla al rischio di subire una violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, sancito dall’art. 4 della Carta. In questa occasione, la Corte ha subordinato la mancata esecuzione del mandato al soddisfacimento di un c.d. test bifasico volto ad accertare, in primo luogo, l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione dello Stato membro emittente tali da integrare un trattamento disumano e degradante e, in secondo luogo, la circostanza che, nel caso specifico della persona ricercata, sussista il rischio concreto che essa subisca il suddetto trattamento. Successivamente, a partire dalla sentenza L.M.[3], la Corte ha esteso la giurisprudenza Aranyosi e Căldăraru all’ipotesi in cui la sistemica e generalizzata assenza di indipendenza del sistema giudiziario dello Stato emittente esponga, nel caso concreto, la persona al rischio di subire un processo non conforme alle garanzie del giusto processo di cui all’art. 47 della Carta.

Questo consolidato corpus giurisprudenziale è destinato ad arricchirsi grazie anche al dialogo alimentato, tramite il meccanismo del rinvio pregiudiziale, dalla Corte costituzionale[4] e dalla Corte di Cassazione italiane. La prima ha sollevato i rinvii che hanno dato origine alla pronuncia qui commentata e alla di poco successiva sentenza O.G.[5], in cui la Corte di Giustizia si è pronunciata in relazione alla non esecuzione di un MAE esecutivo emesso nei confronti di un cittadino di paese terzo fortemente integrato nello Stato membro di esecuzione. La Corte di Cassazione ha, invece, sollevato un rinvio – attualmente pendente davanti ai giudici di Lussemburgo – chiedendo a questi ultimi di pronunciarsi in relazione alla possibilità di non dare esecuzione al MAE emesso nei confronti di una donna madre di figli minorenni, qualora ciò risulti in contrasto con il superiore interesse dei minori[6].

Il caso E.D.L. trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Milano, quale autorità giudiziaria competente a dare esecuzione al MAE emesso nei confronti di E.D.L. dal Tribunale municipale di Zara davanti al quale egli era imputato per il reato di detenzione, a fini di spaccio e cessione, di stupefacenti. In seguito alla perizia disposta nei confronti del ricercato, la Corte d’appello constatava che l’esecuzione del MAE avrebbe determinato l’interruzione della terapia farmacologica e psicoterapeutica cui egli era sottoposto e comportato un forte rischio suicidario, esponendolo pertanto a un probabile aggravamento significativo del suo stato di salute. D’altra parte, come evidenziato dalla Corte d’appello, la legge 69/2005[7] di attuazione della decisione quadro MAE, non prevede tra i motivi di rifiuto della consegna i casi in cui essa determini un grave pericolo per la salute del soggetto in ragione di una patologia cronica e di durata indeterminata da cui egli sia affetto. La Corte d’appello, pertanto, sollevava questione di legittimità costituzionale ravvisando un contrasto tra la normativa nazionale di attuazione della decisione quadro MAE e alcuni principi costituzionali, tra cui, il diritto alla salute.

La Corte costituzionale, tuttavia, rilevava che le questioni su cui era stata chiamata a pronunciarsi non riguardano solo la compatibilità della normativa italiana con la Costituzione, bensì «coinvolgono preliminarmente l’interpretazione del diritto dell’Unione europea, del quale la legge nazionale censurata costituisce specifica attuazione» (punto 5 dell’ordinanza di rinvio[8]), in ragione del fatto che neppure la decisione quadro MAE annovera espressamente la situazione richiamata tra i motivi di rifiuto della consegna. La Corte costituzionale constatava, d’altra parte, che la situazione richiamata differisce dalla pregressa giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa ai limiti all’esecuzione del MAE poiché tali limiti sono stati ravvisati in relazione a carenze sistemiche e generalizzate.

In tale quadro, la Corte costituzionale ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare se l’art. 1, par. 3, della decisione quadro MAE[9], in forza del quale tale decisione non può modificare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali, letto alla luce degli artt. 3 (diritto all’integrità della persona), 4 (divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti) e 35 (protezione della salute) della Carta, deve essere interpretato nel senso di ritenere che, qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione attesti che l’esecuzione del MAE, emesso nei confronti di una persona affetta da gravi patologie croniche e irreversibili, possa esporla al rischio di subire un grave pregiudizio per la sua salute, essa sia tenuta a richiedere al giudice emittente le assicurazioni necessarie a  escludere il materializzarsi di tale rischio e se, in assenza delle suddette assicurazioni entro un termine ragionevole, essa deve rifiutare la consegna. 

Al fine di rispondere alla questione pregiudiziale, la Grande Sezione ha innanzitutto richiamato che la decisione quadro MAE si basa sul principio del mutuo riconoscimento il quale, a sua volta, trova fondamento nel principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell’UE. In forza di tale principio, che svolge un ruolo fondamentale nel diritto dell’Unione e in particolare nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, gli Stati membri sono tenuti a presumere che, tranne in circostante eccezionali, gli altri Stati membri assicurino i diritti fondamentali riconosciuti dal diritto UE e devono, dunque, astenersi dal verificarne l’effettivo rispetto nel caso concreto[10]. Ne consegue che, in linea di principio, l’obbligo di dare esecuzione a un MAE trovi eccezione esclusivamente qualora si configuri uno dei motivi di rifiuto, obbligatori o facoltativi, previsti dalla decisione quadro.

In ragione del fatto che la presunzione di fiducia reciproca riguarda anche la conformità ai diritti fondamentali dei trattamenti garantiti dallo Stato membro di emissione alla persona consegnata che sia affetta da particolari patologie, l’ipotesi in cui essa soffra di gravi patologie non è prevista dalla decisione quadro MAE tra i motivi di rifiuto di esecuzione. Tuttavia, l’art. 23, par. 4, della decisione quadro prevede che, in circostanze eccezionali e, in particolare, qualora sussistano valide ragioni per ritenere che la consegna possa mettere in pericolo la vita o la salute del soggetto ricercato, sia possibile differire temporaneamente la consegna e darvi esecuzione non appena vengano meno i richiamati motivi.

Nella sentenza qui commentata, la Grande Sezione ha precisato che, nell’ipotesi in cui vi siano valide ragioni di ritenere che la consegna della persona ricercata rischi di mettere in pericolo la sua salute, il potere discrezionale previsto dall’art. 23, par. 4, deve essere esercitato in modo conforme al divieto assoluto di trattamenti disumani e degradanti, di cui all’art. 4 della Carta. Sulla base di tale premessa, la Corte ha individuato delle ipotesi eccezionali in cui la facoltà di cui all’art. 23, par. 4, della decisione quadro, interpretata alla luce dell’art. 4 della Carta, dà origine a un vero e proprio un obbligo di sospensione della consegna. Si tratta, in particolare, delle situazioni in cui l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione disponga di elementi oggettivi da cui risultino motivi seri e comprovati di ritenere che la consegna del ricercato lo esporrebbe, a causa della grave patologia di cui è affetto, a un rischio reale di vedere ridotta la propria aspettativa di vita o di subire un deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del proprio stato di salute; in tal caso, l’autorità giudiziaria di esecuzione «è tenuta, in conformità all’articolo 4 della Carta, ad esercitare la facoltà prevista dall’articolo 23, par. 4, della decisione quadro 2002/584, decidendo la sospensione della consegna» (par. 42). Tale conclusione si fonda sulla considerazione, già svolta dalla Corte in relazione ai c.d. trasferimenti Dublino nella sentenza C.K.[11], secondo cui non si può escludere che la consegna di una persona gravemente malata possa esporla al rischio di un trattamento disumano e degradante e ciò anche a prescindere dal livello di cure disponibili nello Stato emittente.

Giunta a questa prima rilevante statuizione, la Grande Sezione ha significativamente precisato l’importanza che l’obbligo di leale cooperazione (art. 4, par. 3, co. 1, TUE) - in forza del quale gli Stati membri devono, tra l’altro, assistersi reciprocamente nell’adempimento degli obblighi derivanti dal diritto UE - assume al fine di assicurare l’efficacia della cooperazione giudiziaria penale e, in particolare, del meccanismo istituito dal MAE. Come già riconosciuto dalla Corte[12], l’obbligo di leale cooperazione impone alle autorità giudiziarie emittenti e di esecuzione di utilizzare tutti gli strumenti di dialogo previsti dalla decisione quadro al fine di realizzare una piena cooperazione e promuovere la fiducia reciproca che ne è alla base.

In tale prospettiva, la Grande Sezione ha statuito che, nella sopra richiamata ipotesi in cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a sospendere la consegna, essa deve altresì chiedere alle autorità emittenti di trasmetterle qualsiasi informazione necessaria al fine di assicurarsi che le condizioni di detenzione della persona ricercata o le modalità di esercizio dell’azione penale siano tali da escludere il concretizzarsi del rischio di un trattamento disumano e degradante e, qualora, tali assicurazioni siano fornite dall’autorità emittente, la consegna dovrà essere eseguita.

Al tempo stesso, la Corte ha riconosciuto che, in alcune ipotesi eccezionali, dalle informazioni fornite dall’autorità giudiziaria emittente e da quelle in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione potrebbe risultare impossibile escludere il concretizzarsi del rischio richiamato entro un termine ragionevole; in tal caso, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve rifiutare di dare esecuzione al MAE. Tale conclusione si impone, in primo luogo, in considerazione del fatto che, in questa situazione, un differimento della consegna per un periodo di tempo considerevole, se non addirittura indefinito, sarebbe inconciliabile sia con la formulazione letterale dell’art. 23, par. 4, della decisione quadro - che menziona una sospensione «temporanea» della consegna -, sia con l’economia generale dell’ipotesi oggetto di tale disposizione. In secondo luogo, il dovere di non dare esecuzione al MAE si impone in ragione di un’interpretazione dell’art. 1, par. 3, della decisione quadro alla luce dell’art. 4 della Carta.

In conclusione, è necessario segnalare che, discostandosi significativamente dalla giurisprudenza precedente in ragione della natura strettamente individuale del rischio oggetto della sentenza E.D.L., in tale occasione la Grande Sezione non ha applicato – e, invero, neppure menzionato – il test bifasico. 

 

[1] Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri - Dichiarazioni di alcuni Stati membri sull'adozione della decisione quadro.

[2] Corte di Giustizia, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, Cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU, ECLI: EU:C:2016:198.

[3] Corte di Giustizia, sentenza del 25 luglio 2018, L.M., Causa C-216/18 PPU, ECLI: EU:C:2018:586.

[4] Su tale rinvio, e quello contestuale che ha dato origine alla sentenza nella causa C-700/21, O.G.., del 18 aprile 2023 (segnalata in questa Rubrica), operati tramite le ordinanze - rispettivamente - n. 217 e n. 216 del 2021, si v. il comunicato della Corte costituzionale del 18 novembre 2021.

[5] Corte di Giustizia, sentenza del 6 giugno 2023, O.G., Causa C-700/21, ECLI:EU:C:2023:444.

[6] Causa C261/22, G.N.; al riguardo si vedano le Conclusioni dell’Avvocato generale Tamara Ćapeta, presentate il 13 luglio 2023, ECLI:EU:C:2023:582.

[7] Legge 22 aprile 2005, n. 69 recante «Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri».

[8] Corte costituzionale, ordinanza n° 216 del 2021.

[9] Decisione quadro 2002/584/GAI, cit., art. 1, par. 3: «L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro».

[10] Su questo, si v. tra gli altri, Corte di Giustizia, parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), 18 dicembre 2014, ECLI:EU:C:2014:2454, punto 192.

[11] Corte di Giustizia, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K., Causa C-578/16 PPU, ECLI:EU:C:2017:127.

[12] Si richiama, in particolare, Corte di Giustizia, sentenza del 22 febbraio 2022, Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission), Cause riunite C-562/21 PPU e C-563/21 PPU, ECLI:EU:C:2022:100.

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