Titolo completo "Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, nella parte in cui non prevedono, quale motivo di rifiuto della consegna, nell’ambito delle procedure di mandato d’arresto europeo, ragioni di salute che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta"
Sent. n. 177/2023 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 28 luglio 2023 – Pubblicazione in G.U. del 02/08/2023, n. 31
Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 177 del 2023 la Corte costituzionale torna a confrontarsi con la legittimità di alcune disposizioni di attuazione della disciplina del mandato di arresto europeo, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia (sentenza 18 aprile 2023, C-699/21, E. D.L.), resa a seguito di rinvio pregiudiziale, che essa stessa aveva sollevato mediante l’ordinanza n. 216 del 2021.
In particolare, i Giudici della Consulta sono investiti dalla Corte d’appello di Milano della questione di legittimità degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, in riferimento tanto all’art. 3, quanto agli artt. 2, 32 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono quale motivo di rifiuto della consegna, nell’ambito delle procedure di mandato d’arresto europeo, «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta».
In relazione alla questione incentrata sull’art. 3 Cost. e sulla violazione del principio di eguaglianza, la Corte si pronuncia nel senso della infondatezza, in ragione di un’erronea individuazione del tertium comparationis. Infatti, il giudice rimettente faceva derivare l’incongruenza della disposizione in materia di mandato di arresto europeo dalla circostanza che, in situazioni analoghe («se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta»), ma relativamente all’istituto dell’estradizione, il giudice avesse la possibilità di pronunciarsi in senso contrario. Tuttavia, ad opinione del Giudice delle leggi, estradizione e mandato d’arresto europeo si fonderebbero su presupposti giustificativi diversi, dato che «la decisione quadro 2002/584/GAI ha inteso sostituire alle tradizionali procedure di estradizione un sistema semplificato di consegna imperniato sul rapporto diretto tra le autorità giudiziarie degli Stati membri». Il cardine di questo sistema sarebbe costituito da un «un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri», concernente il livello di protezione dei diritti fondamentali in ciascuno di essi, e «una presunzione secondo cui le cure e i trattamenti offerti negli Stati membri per la presa in carico […] di tali patologie sono adeguati».
La seconda questione, invece, rilevava una possibile violazione degli artt. 2, 32 e 111 Cost. nella mancata previsione, quale motivo di non esecuzione del mandato di arresto europeo, di una causa legata a «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile» del soggetto richiesto, rilevando altresì l’insufficienza dell’applicazione della disciplina che prevede una semplice possibilità di sospensione dell’esecuzione del mandato.
Ad opinione della Corte sarebbe impossibile rifiutare la consegna sulla base della semplice applicazione della clausola che impone il rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato, quando ciò si traduca in una interpretazione che ha come fine esclusivo quello di precludere la consegna al di fuori dei casi espressamente previsti dal diritto dell’Unione. Tuttavia, è la stessa decisione quadro 2002/584/GAI a non tollerare che «l’esecuzione del mandato di arresto europeo determini una violazione dei diritti fondamentali dell’interessato riconosciuti dalla Carta e dall’art. 6, paragrafo 3, TUE». Ed è proprio questo lo specifico profilo di cui la Corte costituzionale ha investito la Corte di giustizia nel rinvio promosso con ordinanza n. 216 del 2021.
Dopo aver ribadito che il rifiuto di esecuzione del mandato è possibile soltanto nei casi previsti dalla decisione quadro, la quale si regge su una presunzione di adeguata e uniforme capacità di garantire trattamenti adeguati per le patologie della persona richiesta, la Corte di Lussemburgo ha definito la procedura, articolata in tre passaggi, da seguire in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona. La Corte d’appello dovrà, ai sensi dell’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro, sospendere la decisione e avviare una interlocuzione con le autorità giudiziarie dello Stato richiedente affinché trasmettano informazioni sulle condizioni nelle quali la persona sarà detenuta, in modo da evitare un grave rischio per la salute della persona richiesta. Nel caso in cui le interlocuzioni non consentano di individuare entro un termine ragionevole una soluzione adeguata allo scopo l’esecuzione del mandato d’arresto potrà essere rifiutata.
Il passaggio argomentativo più significativo, che consente alla Corte di dichiarare l’infondatezza della questione, anche sotto tale profilo, risiede nel significato da attribuire alla tutela dei diritti fondamentali nell’interazione tra ordinamento nazionale e ordinamento eurounitario, richiamando quanto già in larga misura affermato nella nota sentenza della Corte di giustizia, 26 febbraio 2013, C-399/11, Melloni (pronunciata nei confronti della Spagna). In particolare, le clausole generali sulla tutela dei diritti fondamentali, contenute nella stessa decisione quadro, non autorizzerebbero l’Italia a rifiutare la consegna delle persone richieste sulla base di uno “standard” puramente nazionale di tutela dei diritti, in quanto ciò sarebbe in grado di pregiudicare l’effettività e l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione. Infatti, osserva la Corte, «i diritti fondamentali […] sono, piuttosto, quelli riconosciuti dal diritto dell’Unione europea, e conseguentemente da tutti gli Stati membri allorché attuano il diritto dell’Unione: diritti fondamentali alla cui definizione, peraltro, concorrono in maniera eminente le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6, paragrafo 3, TUE e 52, paragrafo 4, CDFUE)».