È dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 18-bis, comma 1, lett. c), della legge n. 69 del 2005, nella parte in cui non prevede che la Corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata (3/2023)

Titolo completo "È dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 18-bis, comma 1, lett. c), della legge n. 69 del 2005, nella parte in cui non prevede che la Corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata, cittadina di uno Stato terzo che legittimamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia"

Sent. n. 178/2023 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 28 luglio 2023 – Pubblicazione in G.U. del 02/08/2023, n. 31

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 178 del 2023 la Corte costituzionale torna a confrontarsi con la legittimità di alcune disposizioni di attuazione della disciplina del mandato di arresto europeo, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia (sentenza 6 giugno 2023, C-700/21, O. G.), resa in risposta del rinvio pregiudiziale che essa stessa aveva promosso per mezzo dell’ordinanza n. 217 del 2021.
Il Giudici della Consulta sono investiti dalla Corte d’appello di Bologna della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, «nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell’Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro dell’Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno». La disposizione, identificabile specificamente nel comma 1, lett. c, dell’articolo citato sarebbe lesiva tanto degli «artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, all’art. 7 CDFUE, all’art. 8 CEDU e all’art. 17, paragrafo 1, PIDCP, quanto degli artt. 2, 3, e 27, terzo comma, Cost.».

Dal punto di vista letterale, infatti, la disposizione contenuta nella decisione quadro e quella con cui il legislatore italiano vi ha dato esecuzione si distinguerebbero per un significativo dettaglio. Mentre la prima prevede che il giudice possa rifiutare la consegna del cittadino o dello straniero che risieda legittimamente nello Stato in cui egli esercita la propria funzione, la seconda consente alla Corte d’appello di rifiutare la consegna se il mandato d’arresto è diretto nei confronti di un cittadino dello Stato o di un altro Stato membro che risieda legittimamente in territorio italiano; in questo modo, la disciplina italiana escluderebbe dal beneficio i cittadini degli Stati terzi.
Secondo il giudice rimettente la soluzione fatta propria dal legislatore italiano restringerebbe indebitamente l’ambito applicativo della decisione quadro, in violazione degli artt. 11 e 117, comma primo, Cost. Ed il medesimo dubbio è condiviso dalla Corte costituzionale, la quale, con ordinanza n. 217 del 2021, aveva promosso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per una verifica sulla compatibilità della normativa italiana con il tenore della decisione quadro, anche in considerazione dell’impatto che la normativa impugnata poteva avere sull’effettivo reinserimento sociale del condannato nel territorio con cui aveva significativi legami, a prescindere dallo Stato di provenienza (se dell’Unione o terzo).
Con la medesima ordinanza i Giudici della Consulta chiedevano a quelli di Lussemburgo di definire i criteri in base ai quali l’autorità giudiziaria poteva ritenere i legami del cittadino dello Stato terzo con il territorio tanto significativi da giustificare il rifiuto della consegna.
Nel rispondere ai quesiti posti, la Corte di giustizia rilevava che il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati nel dare attuazione alla decisione quadro incontra il limite della tutela dei diritti fondamentali della persona ricercata, come espressamente sancito dall’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro. Tra questi sicuramente il principio di eguaglianza, rilevante tanto per l’ordinamento costituzionale quanto per quello eurounitario, il quale sarebbe leso da una disposizione che precludesse in modo assoluto e automatico ai cittadini di Stati terzi il beneficio del motivo di non esecuzione del mandato di arresto facoltativo previsto dall’art. 4, punto 6, della decisione quadro.
Inoltre, ai fini della valutazione del legame significativo con il territorio, la Corte di giustizia rimanda agli elementi indicati dal considerando n. 9 della decisione quadro 2008/909/GAI sul reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, vale a dire quei «legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato italiano, nonché della natura, della durata e delle condizioni del suo soggiorno in Italia».
L’asserita contrarietà della «esclusione assoluta e automatica del cittadino di uno Stato terzo dal beneficio del rifiuto della consegna per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza subordinata all’impegno a eseguire detta pena o misura in Italia» al principio di uguaglianza comporta consequenzialmente la violazione degli art. 11 e 117, comma primo, Cost.; nonché una insanabile incompatibilità con il fine rieducativo della pena, in quanto «l’esecuzione all’estero della pena o di una misura di sicurezza inflitta o disposta a carico di una persona che abbia saldamente stabilito in Italia le proprie relazioni familiari, affettive e sociali finisce, infatti, per ostacolare gravemente, una volta terminata l’esecuzione della pena e della misura, il reinserimento sociale della persona».
La sostituzione della disposizione impugnata, operata con art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 10 del 2021, con altra di tenore analogo (art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005), comporta la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale anche di quest’ultima. Tuttavia, la nuova disposizione prevede, quale ulteriore condizione per il rifiuto della consegna di un cittadino di un Paese dell’Unione, quello della sua residenza o dimora in Italia da almeno cinque anni, condizione conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia. Per tale ragione, la dichiarazione di incostituzionalità deve essere riferita esclusivamente agli stranieri, cittadini di Paesi terzi, che risiedano o dimorino da almeno cinque anni nel territorio italiano, al fine di non riconoscere loro un regime più favorevole di quello già riconosciuto ai cittadini stranieri di Paesi dell’Unione.

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Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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