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ARERA (1/2024)

Il Consiglio di Stato, nel pronunciarsi sulla regolazione tariffaria degli impianti di trattamento di rifiuti, ritorna criticamente sulle tematiche concernenti l’applicazione alla potestà regolamentare delle authorities del principio di legalità “in senso sostanziale” e “in senso formale”, e della teoria dei “poteri impliciti”

1. Con una serie di sentenze (le nn. 10548 e n. 10550 del 2023, a cui sono seguite le nn. 10734, 10775 del 2023 e le nn. 1466 e 2255 del 2024), la seconda sezione del Consiglio di Stato ha definito nel merito i giudizi instaurati da alcuni gestori di impianti di trattamento di rifiuti in cui veniva contestata la deliberazione ARERA 363/2021/R/rif del 3 agosto 2021, recante “Approvazione del metodo tariffario rifiuti (MTR-2) per il secondo periodo regolatorio 2022-2025”, nella parte in cui sono state dettate disposizioni per l’individuazione degli impianti di chiusura del ciclo “minimi”. Gli operatori avevano altresì impugnato gli atti regionali applicativi e proposto motivi aggiunti, in quasi tutti i giudizi, avverso il Programma nazionale di gestione dei rifiuti, approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Transizione Ecologica (ora Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), con d.m. n. 257 del 2022.

2. È doveroso premettere che l’articolo 1, comma 527, l. n. 205 del 2017 (Legge di Bilancio 2018) “Al fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, per garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull'intero territorio nazionale nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonché di garantire l'adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea, superando così le procedure di infrazione già avviate con conseguenti benefici economici a favore degli enti locali interessati da dette procedure”, ha affidato all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico – ridenominata Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) dal successivo comma 528 – una serie di funzioni nel settore della gestione dei rifiuti, con l’importante precisazione che tale attribuzione avveniva “con i medesimi poteri e nel quadro dei princìpi, delle finalità e delle attribuzioni, anche di natura sanzionatoria, stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481”.

 

In questa sede, rilevano le funzioni di cui alle lettere f), g) ed h), del comma 527, cit., ovverosia rispettivamente: “predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio «chi inquina paga»; “fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento”; “approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento”.

3. Con la deliberazione 363/2021/R/rif e l’allegato metodo tariffario MTR-2, l’Autorità è intervenuta a disciplinare le tariffe di accesso agli impianti di trattamento (c.d. tariffe al cancello). Laddove appunto, nel precedente metodo MTR, approvato con deliberazione 443/2019/R/rif, era previsto che, nel caso in cui il gestore non svolgesse direttamente l’attività di trattamento e smaltimento e l’attività di trattamento e recupero, le rispettive componenti di costo sarebbero state determinate sulla base delle tariffe amministrate (se presenti, come previsto in alcune realtà regionali), ovvero determinate sulla base di procedure negoziali. E ciò, nelle more della “determinazione, con successivo provvedimento, dei criteri di cui all’articolo 1, comma 527, lettera g), della legge n. 205/17” (artt. 7.7 e 7.8, MTR).

Ai fini della fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, gli strumenti di regolazione sono modulati, anzitutto, in ragione del grado di integrazione del soggetto incaricato della gestione dei rifiuti, attraverso la distinzione tra “gestore integrato” e “gestore non integrato”.

Per “gestore integrato”, si intende “l’operatore incaricato del servizio integrato di gestione dei rifiuti. L’operatore integrato è identificato come il gestore di uno o più dei servizi a monte che compongono il ciclo dei rifiuti e che (gestendo anche uno o più dei servizi a valle) sia tenuto a stratificare i propri impianti di trattamento di chiusura del ciclo secondo la regolazione pro tempore vigente” (art. 1.1., MTR-2).

In caso di gestione integrata, è prevista una regolazione tariffaria tout court, con incentivazione (tramite perequazione) in funzione delle caratteristiche dell’impianto, alla luce della gerarchia dei rifiuti (per i dettagli si vedano l’art. 22 MTR-2 e l’art. 3, delib. 363/2021/R/rif).

In caso di gestione non integrata, viene in gioco la “valutazione del livello di efficacia dell’eventuale esistenza di pressione competitiva”, e il Metodo distingue tra impianti di chiusura del ciclo “minimi” e impianti di chiusura del ciclo “aggiuntivi”.

In particolare, tale valutazione concerne “la presenza di flussi garantiti in ingresso - sulla base di quanto previsto in atti di programmazione o di affidamento - e la possibilità di incidere significativamente sulla formazione dei prezzi, tenuto conto delle caratteristiche dell’operatore che gestisce l’impianto di trattamento e delle limitazioni strutturali alla capacità di trattamento dell’impianto medesimo” (art. 21.1, MTR-2).

L’articolo 21.1, testè ricordato, prevedeva che gli impianti di chiusura del ciclo “minimi”, in tutto o in parte, fossero individuati, “anche alla luce delle caratteristiche dell’operatore che li gestisce” e fossero “identificati con gli impianti di trattamento presenti sul territorio considerato che:

  • offrano una capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori;
  • in aggiunta a quanto previsto al precedente alinea, soddisfino le seguenti condizioni alternative:

- avere una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi;

- essere già stati individuati in sede di programmazione, sulla base di decisioni di soggetti competenti alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti”.

L’articolo 21.3, poi, stabiliva che l’individuazione degli impianti minimi venisse effettuata “di norma, nell’ambito delle attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente, e comunque in tempo utile per la determinazione di entrate tariffarie, corrispettivi e tariffe d’accesso secondo quanto previsto dal presente provvedimento” (vedi anche l’art. 6.1, delib. 363/2021/R/rif).

La categoria degli impianti di chiusura del ciclo “aggiuntivi”, d’altro canto, è residuale: tali impianti sono quelli “diversi da quelli individuati come “minimi” e non gestiti dall’operatore integrato”.

Sotto il profilo procedurale, in forza dell’art. 7.2, delib. 363/2021/R/rif,  “ai fini della definizione delle tariffe di accesso agli impianti di chiusura del ciclo ‘minimi’, ovvero agli impianti ‘intermedi’ da cui provengano flussi indicati come in ingresso a impianti di chiusura del ciclo “minimi, secondo quanto previsto al precedente articolo 5, il gestore di tali attività predispone il piano economico finanziario per il periodo 2022-2025, secondo quanto previsto dal MTR-2, e lo trasmette al soggetto competente, rappresentato dalla Regione o da un altro Ente dalla medesima individuato”.

  Il soggetto competente testé menzionato, a sua volta, provvede alla validazione delle informazioni fornite dal gestore, integrandole o modificandole “secondo criteri funzionali al riconoscimento dei costi efficienti di investimento e di esercizio”. Laddove “la procedura di validazione consiste nella verifica della completezza, della coerenza e della congruità dei dati e delle informazioni necessari alla elaborazione del piano economico finanziario” (art. 7.4, delib. 363/2021/R/rif).

  Le successive disposizioni dell’articolo 7 in questione stabiliscono che “gli organismi competenti di cui ai commi 7.1 e 7.2 assumono le pertinenti determinazioni e provvedono a trasmettere all’Autorità: a) la predisposizione del piano economico finanziario per il periodo 2022-2025; b) con riferimento all’anno 2022, i corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti, ovvero le tariffe di accesso agli impianti di chiusura del ciclo “minimi”, o agli impianti “intermedi” da cui provengano flussi indicati come in ingresso a impianti di chiusura del ciclo “minimi”” (comma 6), e che l’Autorità “salva la necessità di richiedere ulteriori informazioni, verifica la coerenza regolatoria degli atti, dei dati e della documentazione trasmessa ai sensi del presente articolo e, in caso di esito positivo, conseguentemente approva” (comma 7).

L’Autorità, in sintesi, attraverso un intervento asimmetrico, ha scelto di sottoporre a regolazione tariffaria (dettando i criteri delle c.d. tariffe al cancello) non tutti gli impianti di trattamento, ma solo quelli presenti in realtà di mercato con rigidità strutturali, in cui vi fosse il rischio che il corrispettivo stabilito dal gestore si attestasse ad un livello alto a causa del potere di mercato detenuto dai pochi operatori presenti.

4. Il Tar Lombardia aveva annullato le contestate previsioni sugli impianti minimi ritenendo che la disciplina dettata dall’Autorità non rientrasse nell’alveo del potere regolatorio definito dall’art. 1, c. 527, della l. n. 205/2017: per il giudice amministrativo di primo grado, la funzione regolatoria di ARERA riguarda soltanto l’ambito tariffario, mentre l’istituto degli impianti minimi, per come delineato dalla disciplina del MTR-2, aveva assunto valenza essenzialmente programmatoria, con conseguente invasione delle competenze attribuite dal d.lgs. n. 152/2006 allo Stato.

ARERA ha proposto appello cercando di far valere la natura eminentemente tariffaria dell’istituto degli impianti minimi, avente una finalità pro-concorrenziale.

Nel gravame si dava altresì evidenza del fatto che l’Autorità non avesse inteso eterointegrare il contenuto delle funzioni programmatorie affidate dalla legge alle Regioni, bensì agire nell’alveo e nel rispetto del quadro normativo vigente (sia a livello costituzionale che di normativa primaria), atteso che gli elementi che caratterizzano l’impianto minimo devono essere ricavabili dalla pianificazione e da altri atti amministrativi regionali già vigenti (compresi gli atti di affidamento, espressamente richiamati dal MTR-2).

5. Una prospettazione come quella testé ricordata, peraltro, non è stata condivisa dal Consiglio di Stato, che ha confermato l’illegittimità della disciplina degli impianti minimi in quanto adottata dall’Autorità in carenza di potere, e con invasione delle sfere di competenza, di natura normativa e programmatoria, affidate dalla legislazione statale (in particolare dal d.lgs. n. 152 del 2006) allo Stato e alle Regioni.

Se le conclusioni a cui giunge il giudice amministrativo d’appello sono le medesime per tutte le sentenze emesse, le motivazioni della pronuncia più recente, la n. 2255 del 2024, si discostano (esplicitamente, vedi p. 5.2.) dalla trama argomentativa dei precedenti del 2023 (il riferimento è, in particolare, alla sent. n. 10550 del 2023, laddove la sentenza n. 1466 del 2024 si pone nel solco dei precedenti del 2023).

Per tale ragione si ritiene utile procedere per temi, segnalando, in relazione a ciascuno di essi, gli aspetti in cui le sentenze divergono e quelli, invece, di maggiore consonanza.

6. Il primo profilo di interesse delle sentenze in rassegna è costituto dalla definizione del quadro delle competenze, normative, amministrative e regolatorie, nel settore della gestione dei rifiuti, in cui non mancano alcune importanti precisazioni sulla possibilità dell’Autorità di dettare i criteri tariffari anche per impianti che trattano rifiuti speciali, derivanti dal trattamento di quelli urbani e anche in caso di gestione non integrata.

Il Consiglio di Stato, nel respingere gli appelli dell’Autorità, ha ritenuto “di immediata evidenza come l’intero sistema, per quanto apprezzabile negli obiettivi e virtuoso nella concezione, si spinga ben oltre l’ambito tariffario, indirizzando l’operatività delle Regioni verso una programmazione razionale che valorizzi le esigenze del territorio fornendo risposte ricavate dallo stesso, ovvero attingendole all’imprenditoria privata ivi esistente, senza che sia stata effettuata a monte un effettivo piano dei fabbisogni rispetto ad un obiettivo di autosufficienza predeterminato” (sentt. nn. 10548 e 10550 del 2023).

Il Collegio muove dalla riconduzione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, e da ciò fa discendere una lettura rigorosa degli ambiti competenziali definiti dal d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i.: “É da tale imprescindibile angolazione che vanno pertanto lette le disposizioni della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 relative alla individuazione delle competenze in materia di rifiuti, tipicamente ripartite sui vari livelli, centrale e territoriali. Esse non possono che costituire un limite all’espansione finalistica del potere di ARERA, arginandolo alla radice” (sempre le sentenze del 2023, sottolineato aggiunto).

In particolare, vengono richiamati non solo le competenze programmatorie statali di cui all’articolo 198-bis del d.lgs. n. 152/2006 e le previsioni dell’articolo 195, comma 1, lett. f), del medesimo decreto, già evocate dal giudice di primo grado, ma anche il successivo disposto dell’art. 195, comma 1, lett. m), per cui allo Stato viene attribuita la potestà regolamentare in ordine alla “determinazione di criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali di cui all'articolo 199 con particolare riferimento alla determinazione, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, delle linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, da costituirsi ai sensi dell'articolo 200, e per il coordinamento dei piani stessi”.

In sintesi, per il Consiglio di Stato, “laddove in passato era configurabile un solo livello di programmazione, cioè, seppure “guidata” dalle direttive statali, ora si configura la collocazione della stessa in una cornice, egualmente programmatoria, elaborata a livello centrale”. Affermandosi appunto, che “la regia resta unitaria e sovraordinata, in modo da garantire la visione d’insieme delle criticità, individuandone soluzioni non necessariamente circoscritte al territorio”, con la precisazione che “non è, dunque, soltanto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 a non rendere «[…] possibile far ricorso al principio dei poteri impliciti che, in quanto derogatorio del principio di legalità, va applicato in modo stringente per consentirne la compatibilità costituzionale», come affermato dal primo giudice”, laddove “esso caso mai conferma per altra via la preesistente necessità, ribadita peraltro in una norma sopravvenuta all’avvenuta attribuzione ad ARERA di poteri in materia di rifiuti, di un coordinamento statale nella individuazione delle scelte necessarie a chiudere in maniera efficiente il relativo ciclo, già esplicitata in particolare nell’art. 195, comma 1, lett. m), del quale la scelta di localizzazione degli impianti “strategici” (lett. f), pur ribadendo il rispetto delle prerogative regionali, costituisce mera esemplificazione” (sottolineato aggiunto).

Alla luce di siffatto mosaico delle competenze, il Consiglio di Stato ha confermato – pur con le precisazioni appena richiamate – le statuizioni del giudice di primo grado.

Sul punto, infatti, il Collegio precisa quanto segue: “è di tutta evidenza che l’attività demandata alla Regione nella deliberazione di ARERA è già rigorosamente indirizzata verso una soluzione alle criticità impiantistiche, delle quali pure si tracciano gli indici, consistente nell’individuazione, all’interno degli impianti di trattamento già presenti, di quelli che le occorrono per la chiusura del ciclo, non a caso indicando anche il quantitativo di rifiuti da conferire coattivamente e la relativa provenienza. Ciò non solo travalica il potere delle Regioni, ma prescinde anche dalle indicazioni che a monte lo Stato avrebbe dovuto fornire loro per risolvere ridette criticità”. Precisandosi poi, ulteriormente, che  l’Autorità, “nel fornire i criteri per individuare gli “minimi” quale fattore essenziale per la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti, non solo ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, che il legislatore non ha inteso delegarle, neppure nelle più recenti novelle di settore (v. la più volte ricordata legge del 2020 che ha introdotto l’art. 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006); ma ha di fatto arricchito di contenuti ad esso estranei il potere pianificatorio delle Regioni, individuando la soluzione “normativa” alle criticità impiantistiche nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza” (sempre sentt. nn. 10548 e 10555 del 2023; sottolineato aggiunto).

La natura programmatoria della disciplina sugli impianti minimi, con conseguente invasione delle competenze statali e regionali, viene confermata anche dalla successiva sentenza n. 2255 del 2024.

Tale pronuncia mette in maggiore evidenza un ulteriore profilo che è quello dell’impossibilità per ARERA di riallocare (o comunque alterare) le funzioni amministrative in tema di gestione dei rifiuti “al di fuori di un chiaro mandato legislativo” Posto che “si avrebbe, altrimenti, una modifica, operata mediante un atto secondario, dell’assetto inderogabilmente stabilito dalla legge nazionale competente per materia (quale, nell’ambito di cui si tratta, il d.lgs. n. 152 del 2006), sulla base di una valutazione di congruità rispetto alla dimensione degli interessi implicati”.

7. Le sentenze in commento differiscono soprattutto in relazione alla coniugazione finalistica dalle competenze dell’Autorità.

I precedenti del 2023, nel ripercorrere l’evoluzione del quadro normativo, evidenziano, anche attraverso il richiamo alla teoria dei poteri impliciti (su cui si vedano Cons. Stato, sentt. nn. 1368 e 7279 del 2020), il cennato carattere finalistico delle competenze dell’Autorità, in quanto volte al miglioramento del ciclo dei rifiuti.

A tale riguardo, infatti, è stato affermato quanto segue: “sotto un profilo strettamente letterale, dunque, mentre con riferimento alla individuazione del «metodo tariffario», l’oggetto è limitato al «servizio integrato dei rifiuti» e ai «singoli servizi che costituiscono attività di gestione»; con riguardo alle «tariffe di accesso» (c.d. “tariffe al cancello”), esso può estendersi a tutti gli impianti di trattamento, anche estranei al servizio (i c.d. “gestori non integrati”), purché tuttavia ciò avvenga con la dimostrata finalità di migliorare il ciclo dei rifiuti urbani e assimilati”. Di qui, “la sostanziale estraneità allo stesso della regolamentazione delle tariffe “al cancello” degli impianti di trattamento di rifiuti speciali, salvo si tratti della particolare tipologia degli stessi che deriva dal recupero dei rifiuti urbani medesimi (art. 184, comma 2, lett. g), siccome in grado di impattare sulla chiusura del ciclo, con riferimento ai quali non esiste una pregiudiziale negativa per oggetto ad applicare le “tariffe al cancello” (sentt. nn. 10548 e 10550 del 2023).

Donde la seguente conclusione: se è vero che “in tale logica la regolazione è sicuramente strumento anche pro concorrenziale, come rivendicato da ARERA, funzionale a garantire condizioni di qualità uniformi sul territorio, pur salvaguardando le specificità territoriali, quanto meno in termini di livello minimo essenziale (…) Ciò tuttavia non può avere una portata illimitata, dovendo l’atipicità finalistica del relativo potere confrontarsi con la tipicità di quelli delle altre amministrazioni che con esso interferiscono” (sempre sentt. n. 10548 e 10550 del 2023).

Il riferimento a finalità pro-concorrenziali delle competenze dell’Autorità è completamente assente nella sentt. nn. 2255 del 2024 che in modo più categorico limita i poteri dell’Autorità a quanto strettamente ricavabile del dato normativo primario e circoscrive i poteri impliciti “ai poteri “strumentali”, “sussumibili nello stesso spazio giuridico del potere ‘principale’, situati cioè all’interno dei confini individuati dalla norma attributiva”.

In tale pronuncia il Collegio, al fine di decidere circa “la riconducibilità o meno delle disposizioni sulla individuazione degli impianti minimi all’esercizio alle attribuzioni dell’Autorità, e il loro sovrapporsi ai contenuti degli atti programmatici di Stato e Regioni”, ha ritenuto ineludibile muovere dell’attuale crisi della fonte legislativa, anche con riferimento alla capacità di orientare gli apparati amministrativi.

In questo quadro, osserva il Collegio, “il giudice amministrativo, quale custode della legalità amministrativa ‘ordinaria’, non può limitarsi ad una remissiva presa d’atto dello stato delle cose, ma deve cercare di contemperare la doverosa considerazione dei cambiamenti storici che investono economia, società e politica con il rispetto delle strutture giuridiche costituzionali”.

Per il Consiglio di Stato, “il coinvolgimento dei regolatori indipendenti nella produzione di norme di diritto oggettivo deve necessariamente raccordarsi con i vincoli costituzionali in materia di fonti di produzione del diritto (preferenza della legge, riserva di legge, principio di legalità), aventi funzione liberale (di tutelare i diritti dei cittadini contro l’abuso del potere pubblico) e democratica (riconducendo la disciplina di determinate materie sotto il dominio degli organi rappresentativi espressione della sovranità popolare)”, e anche nel settore della regolazione economica il principio di legalità è tale da postulare sia il fondamento del potere, sia limiti contenutistici al suo esercizio.

Se è vera l’estrema difficoltà per il legislatore di dettare prescrizioni puntuali in settori specialistici, “efficienza tecnica e adattabilità regolatoria possono integrarsi con il principio democratico” nei seguenti termini:

- “la legge soddisfa il suo ruolo costituzionale di indirizzo e garanzia dei pubblici poteri quando definisce in modo chiaro: la causa dell’intervento pubblico; il tipo di conformazione del mercato (statuendo ciò che ‘non può’ essere messo in concorrenza e ciò che ‘non si vuole’ sia in concorrenza); la misura compositiva dei bisogni (economici e sociali) contrapposti; il grado di incisione delle sfere giuridiche regolate”;

- “sul versante tecnico-economico, la legge può invece delegare all’Autorità indipendente il compito di ‘implementare’ – anche con ampio margine di autonomia operativa – il dettato normativo con i meccanismi che meglio siano in grado di assicurare l’equilibrio ottimale del sistema in termini di razionalità economica e desiderabilità sociale. Le opzioni regolatorie, per quanto non circostanziate nei loro contenuti dalla fonte primaria, restano ‘raffrontabili’ alla luce degli indici, parametri e standards elaborati dalla comunità scientifica di riferimento”;

- “nei casi in cui l’Autorità indipendente venga coinvolta nella ponderazione lato sensu politica degli interessi, la stessa dovrebbe (a rigore) vedere limitata la propria indipendenza funzionale e rispondere all’indirizzo governativo, per ovviare alla condizione di irresponsabilità derivante dalla sua collocazione istituzionale (estranea cioè al circuito politico rappresentativo di cui all’art. 95 Cost.)”.

Per il Collegio “il deficit di legalità sostanziale non può essere «compensato» da una declinazione ‘procedurale’ del principio di legalità (…) e neppure aggirato con la teoria dei c.d. poteri impliciti”.

In particolare, viene evidenziato come la consultazione non possa equivalere ad investitura democratica, ma debba essere intesa in chiave conoscitiva, partecipativa e come “limitatore” della discrezionalità (al pari della motivazione dell’atto amministrativo: sul tema della dequotazione del principio di legalità in senso sostanziale, giustificata dalla “valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori quali quelli demandati alle Autorità amministrative indipendenti”, che esige un rafforzamento del principio di legalità in senso procedurale, si vedano Cons. Stato, sent. n. 7279 del 2006; Cons. Stato sent. n. 2521 del 2012; Cons. Stato, sent. n. 1532 del 2015; Cons. Stato, sent. n. 2182 del 2016).

Orbene, la trattazione delle questioni di ordine generale, nei termini appena richiamati, fa da cornice all’enunciazione delle ragioni di illegittimità della disciplina degli impianti minimi dettata dall’ARERA.

Per il Consiglio di Stato, infatti, l’Autorità avrebbe introdotto una “misura regolatoria – volta a fronteggiare le manifestazioni di potere economico dei titolari di impianti privati – che eccede il mero svolgimento tecnico di modelli di razionalità tariffaria, sporgendo vistosamente rispetto al mandato legislativo che riguarda la sola determinazione autoritativa del prezzo sulla base dei costi efficienti”. Precisandosi al riguardo quanto segue:”Stabilire i confini tra attività riservate al settore pubblico, attività regolate e attività lasciate alla concorrenza nel mercato, così come orientare i mercati verso assetti più giusti, limitando la spinta alla massimizzazione del profitto, spetta al decisore politico. La delicata combinazione delle componenti di un sistema complesso – in cui si muovono ambiente, società, economia e istituzioni – non può essere rimesso alle opzioni di un’Autorità indipendente che non abbia ricevuto, sul punto, un mandato legislativo espresso”.

In questo senso, dunque, non vi sarebbe spazio per alcuna “atipicità finalistica” (per usare l’espressione dei precedenti del 2023) dei poteri regolatori.

Anzi, precisa il Collegio come “una competenza regolatoria generale e innominata per l’intero ciclo di vita dei rifiuti” non possa trarsi dalle “generiche formulazioni finalistiche contenute nell’incipit dell’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017” (viene richiamato proprio il  “fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti […] per garantire […] l’adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea»”).

La pronuncia del 2024, in relazione al profilo esaminato, sembra prendere le distanze dai precedenti del 2023, senza peraltro occuparsi, nella delimitazione delle competenze dell’Autorità, del rimando espresso che la l. n. 205 del 2017 effettua alle finalità pro-concorrenziali stabilite dalla l. n. 481 del 1995.

8. Ad ogni modo, come già anticipato, la sentenza n. 2255 del 2024, muovendo da premesse in parte diverse, giunge alle medesime conclusioni dei precedenti del 2023, compreso il fatto che “la funzione di «fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento» (lettera g), può invece riguardare – come deve ritenersi alla luce dell’interpretazione logica e sistematica dei diversi alinea attraverso cui si dipana la disposizione – anche gli impianti di trattamento estranei al servizio integrato””.

Analogamente il Consiglio di Stato riconosce che il legislatore ha attribuito all’Autorità un “mandato legislativo che riguarda la sola determinazione autoritativa del prezzo sulla base dei costi efficienti”: il che non risulta di poco momento, sembrando abilitare l’Autorità alla definizione di criteri tariffari per tutti gli impianti di trattamento, senza distinzione alcuna.

9. Le decisioni del Consiglio di Stato, da prospettive diverse – vuoi laddove apprezzano gli obiettivi e la concezione virtuosa del “sistema” approntato della disciplina regolatoria (sentenze 2023), vuoi ove richiamano l’esigenza di chiarezza del mandato legislativo (sentenza n. 2255 del 2024) – spingono a riflettere sull’adeguatezza delle disposizioni attributive di competenze regolatorie ad ARERA nel settore dei rifiuti, non foss’altro per il fatto che si tratta di un ambito di intervento che presenta sostanziali differenze con il settore dei servizi idrici.

10. Le sentenze in rassegna – in particolare quelle del 2023 – si soffermano anche sul ruolo del Programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR), che in più parti richiama la tassonomia degli impianti individuata dall’Autorità e la disciplina degli impianti “minimi”.

Il Collegio sottolinea che “la riproposizione delle relative indicazioni nel Programma, «che costituisce in realtà la corretta sedes materiae, date le competenze individuate dall’art. 198-bis del Codice dell’Ambiente» (punto 12), sposta effettivamente sull’analisi dello stesso, da effettuare in primo luogo nella pertinente sede territoriale (ossia il Tar Lazio, innanzi al quale pendono i giudizi sul PNGR, ndr), l’asse della problematica futura, collocando le scelte pianificatorie regionali nell’ambito della disciplina transitoria ivi prevista. In sintesi, vuoi che la delibera n. 363 del 2021 sia un mero “fatto storico” di cui il Programma nazionale dà atto, vuoi che, viceversa, nel farlo ridetto Programma ne abbia recepito i contenuti, operando la novazione della fonte ipotizzata da ARERA, ciò non può che valere pro futuro e riguardare l’esatta portata e l’eventuale illegittimità di quella (nuova) previsione, non la correttezza dell’attuale”.

Sebbene il Collegio ritenga estranea al thema decidendum la questione della valenza delle previsioni del PNGR (in quanto devoluta correttamente dal Tar Lombardia al Tar Lazio), esso non manca di rilevare come sia “egualmente vero (…) che il Ministero mostra in verità di condividere le opzioni dell’Autorità, evidentemente non ravvisando nella relativa estrinsecazione alcuna invasione delle proprie competenze” (vedi in particolare sent. n. 10548 del 2023).

11. Da tali ultime considerazioni, in effetti, l’Autorità ha preso le mosse nel dare ottemperanza alle pronunce del Consiglio di Stato, attraverso la deliberazione 7/2024/R/rif (https://www.arera.it/atti-e-provvedimenti/dettaglio/24/7-24 ) confermata dalla deliberazione 72/2024/R/rif (https://www.arera.it/atti-e-provvedimenti/dettaglio/24/72-24 ).

In estrema sintesi, l’Autorità ha ancorato l’individuazione degli impianti minimi ai criteri indicati nel PNGR con effetti pro futuro, ossia per le annualità 2024 e 2025.


(*) La scheda contiene opinioni personali dell’autore che non impegnano l’Amministrazione di appartenenza.

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