Fonti dell'Unione europea

La Corte di giustizia si dichiara competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione di disposizioni a portata generale contenute in decisioni PESC (3/2024)

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 10 settembre 2024, Neves 77 Solutions, causa C‑351/22, ECLI:EU:C:2024:723

Nella sentenza Neves 77 Solutions, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande sezione, è tornata sulla sua giurisprudenza relativa alla portata delle limitazioni imposte dai Trattati alla propria competenza nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC), pronunciandosi per la prima volta in via pregiudiziale circa l’interpretazione di una misura restrittiva a portata generale contenuta in una decisione PESC, nell’ipotesi in cui sarebbe spettato al Consiglio attuare, in un regolamento adottato ai sensi dell’art. 215 TFUE, tale misura, che funge da base per delle misure sanzionatorie nazionali imposte a una persona fisica o giuridica. In particolare, la Corte ha ritenuto che il divieto di fornire servizi di intermediazione enunciato all’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512 è applicabile anche quando le attrezzature militari oggetto dell’operazione di intermediazione non siano mai state importate nel territorio di uno Stato membro. La Corte ha inoltre escluso che tale disposizione, letta alla luce del diritto di proprietà sancito dall’art. 17 della Carta nonché dei principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, osti ad una misura nazionale di confisca dell’intero ricavato di un’operazione di intermediazione, la quale intervenga, in maniera automatica, a seguito dell’accertamento, da parte delle autorità nazionali competenti, di una violazione del divieto di effettuare tale operazione e dell’obbligo di notificare quest’ultima.

 

Ai sensi dell’art. 24, par. 1, secondo comma, ultima frase, TUE e dell’art. 275, primo comma, TFUE, la Corte non è, in linea di principio, competente per quanto riguarda le disposizioni relative alla PESC e gli atti adottati sulla base delle stesse. Tali disposizioni introducono una deroga alla regola della competenza generale che l’articolo 19 TUE conferisce alla Corte per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Gli articoli 24, par. 1, secondo comma, ultima frase, TUE e 275, secondo comma, TFUE prevedono tuttavia due eccezioni: la Corte ha competenza a verificare, da un lato, il rispetto dell’art. 40 TUE[1] e, dall’altro lato, la legittimità delle decisioni del Consiglio, adottate sulla base delle disposizioni relative alla PESC, che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche.

Nella sentenza Rosneft[2], la Corte, pronunciandosi in via pregiudiziale, aveva fornito alcune precisazioni circa la portata delle due eccezioni. Essa aveva infatti chiarito che, riguardo alla prima eccezione, i Trattati non prevedono alcuna modalità particolare per effettuare un siffatto controllo giurisdizionale e che pertanto la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale circa la compatibilità di una decisione adottata nell’ambito della PESC con l’art. 40 TUE. Rispetto alla seconda eccezione, la Corte aveva preso in esame la questione della sua competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale in materia di validità delle decisioni adottate in materia di PESC, quando prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche. Essa aveva, in particolare, rilevato che, da un lato, “sarebbe contrario all’economia del sistema di tutela giurisdizionale effettiva istituito dai Trattati interpretare [l’art. 275, secondo comma, TFUE] nel senso che esclude la possibilità per i giudici degli Stati membri di interrogare la Corte sulla validità delle decisioni del Consiglio che prevedono l’adozione di siffatte misure” (sentenza Rosneft, cit., par. 76). Dall’altro lato, la Corte aveva precisato che per quanto riguarda gli atti adottati sulla base di disposizioni relative alla PESC, “è la natura individuale degli atti che dà accesso, ai sensi dell’articolo 275, secondo comma, TFUE, ai giudici dell’Unione” (ibid., par. 103). Nella stessa sentenza, la Corte aveva poi chiarito che, qualora venga in questione la validità di un regolamento adottato sulla base dell’articolo 215 TFUE[3], che dà attuazione alle posizioni dell’Unione decise nel contesto della PESC, la competenza della Corte non risulta in alcun modo limitata. Infatti, simili regolamenti costituiscono atti dell’Unione adottati sulla base del Trattato FUE e in ordine ai quali i giudici dell’Unione dispongono di tutte le competenze conferite loro dal diritto primario dell’Unione.

La sentenza oggetto della presente segnalazione si inserisce pertanto in tale quadro, affrontando in particolare la questione della competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale circa l’interpretazione di misure restrittive a portata generale contenute in decisioni adottate nell’ambito della PESC.

Il rinvio pregiudiziale traeva origine da una controversia che opponeva la società Neves 77 Solutions (in prosieguo, “Neves”) all’Agenzia nazionale dell’amministrazione tributaria della Romania in merito alle misure nazionali adottate nei confronti della società ed aventi ad aggetto una sanzione pecuniaria e la confisca totale delle somme percepite quale contropartita di un’operazione di intermediazione, a causa del mancato rispetto, segnatamente, dell’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512[4]. Tale disposizione, contenuta in una decisione adottata sulla base dell’art. 29 TUE, si inserisce nel contesto del pacchetto di misure restrittive adottate dall’Unione in risposta alle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina. L’art. 2, par. 2, lett. a), di tale decisione enuncia un divieto di intermediazione di servizi in relazione ai beni militari. Esso prevede che sia vietato «prestare, direttamente o indirettamente, assistenza tecnica, servizi di intermediazione o altri servizi connessi ad attività militari e alla fornitura, alla fabbricazione, alla manutenzione e all’uso di armamenti e materiale connesso di qualsiasi tipo, ivi compresi armi e munizioni, veicoli ed equipaggiamento militari, equipaggiamento paramilitare e relativi pezzi di ricambio, a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo in Russia, o destinati a essere ivi utilizzati». La Neves, ritenendo di non aver commesso la violazione addebitatale, aveva impugnato davanti al giudice del rinvio il verbale che imponeva la sanzione pecuniaria e la confisca adottato dalle autorità rumene. Il giudice del rinvio aveva quindi deciso di sospendere il giudizio e rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte, nutrendo dubbi circa l’interpretazione della decisione riguardo, in particolare, la possibilità di prevedere a livello nazionale una misura come la confisca totale, nonché la proporzionalità della misura in parola.

La Corte, prima di procedere all’analisi delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio, esamina i rilievi mossi dal Consiglio e da alcuni governi degli Stati membri secondo i quali, in virtù dell’art. 24, par. 1, secondo comma, ultima frase, TUE e dell’art. 275 TFUE, la Corte non è competente a interpretare una disposizione di portata generale rientrante nell’ambito della PESC, come l’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, la quale funge da fondamento per misure sanzionatorie nazionali.

La Corte innanzitutto ricorda la propria giurisprudenza relativa alle due eccezioni alla limitazione alla sua competenza previste dai Trattati nell’ambito della PESC. In primo luogo, essa esclude che il caso di specie ricada nell’ambito della seconda eccezione, in quanto l’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, “il cui ambito di applicazione è definito tramite riferimento non a persone fisiche o giuridiche identificate, bensì a criteri oggettivi, costituisce comunque una misura a carattere generale, che non rientra tra le misure restrittive contemplate dall’art. 275, secondo comma, TFUE” (par. 38). Inoltre, il divieto di fornire servizi di intermediazione previsto dalla disposizione in questione non era stato attuato, all’epoca dei fatti in causa, nel regolamento n. 833/2014[5], adottato sulla base dell’art. 215 TFUE e volto a dare attuazione alla decisione 2014/512 (paragrafi 40-41).

In secondo luogo, rispetto alla seconda eccezione, la Corte precisa la portata del controllo che è chiamata ad effettuare sul rispetto dell’art. 40 TUE. Tale controllo implica, in particolare, “di vigilare affinché, per quanto riguarda l’attuazione dell’art. 215 TFUE, il quale stabilisce un collegamento tra gli obiettivi del Trattato UE in materia di PESC e le azioni dell’Unione che comportano misure restrittive rientranti nell’ambito di applicazione del Trattato FUE […], il Consiglio non possa eludere la competenza della Corte per quanto riguarda un regolamento ai sensi dell’articolo sopra citato” (par. 45).

In tale seconda ipotesi, infatti, la Corte ritiene che “dalla chiara formulazione dell’art. 215, par. 1, TFUE, e in particolare dall’uso del verbo «adotta», che si distingue dalle parole «può adottare» utilizzate nel paragrafo 2 del medesimo articolo, spetta al Consiglio adottare le misure necessarie di cui al suddetto paragrafo 1 per dare attuazione a una decisione PESC che stabilisce la posizione dell’Unione in merito all’interruzione o alla riduzione delle relazioni economiche e finanziarie con un paese terzo” (par. 46). Pertanto, dato che il Consiglio si trova, nell’ipotesi contemplata dall’art. 215, par. 1, TFUE, in una situazione di competenza vincolata, l’inattività di tale istituzione non può portare a una limitazione della competenza conferita alla Corte dai Trattati al fine di garantire la tutela giurisdizionale dei terzi (par. 48). La possibilità per la Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale relativamente ad un regolamento adottato sul fondamento dell’art. 215, par. 1, TFUE deve, di conseguenza, “essere riconosciuta con riguardo a tutte le disposizioni che il Consiglio avrebbe dovuto includere in un siffatto regolamento e che costituiscono il fondamento di una misura nazionale sanzionatoria adottata nei confronti dei terzi” (par. 49). Tale conclusione, secondo la Corte, permette sia di assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali, sia di garantire la necessaria coerenza del sistema di tutela giurisdizionale previsto dal diritto dell’Unione.

È pertanto sulla base degli articoli 19, 24 e 40 TUE nonché dell’art. 215, par. 1, TFUE, letti alla luce degli articoli 2 e 21 TUE, che la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sull’interpretazione di una misura a carattere generale di un atto adottato sul fondamento delle disposizioni relative alla PESC, nell’ipotesi in cui sarebbe spettato al Consiglio attuare, in un regolamento ai sensi dell’art. 215 TFUE, tale misura, che funge da base per delle misure sanzionatorie nazionali imposte a una persona fisica o giuridica.

Alla luce di tale ricostruzione, la Corte esamina se il divieto di fornire servizi di intermediazione connessi ad attrezzature militari previsto dall’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512 rientri tra le misure necessarie, ai sensi dell’art. 215, par. 1, TFUE, che incombe al Consiglio adottare.

A tal fine, la Corte si limita a constare che tale divieto “mira a restringere la capacità degli operatori economici di effettuare operazioni rientranti nell’ambito di applicazione del Trattato FUE, pertanto esso può essere messo ad esecuzione a livello dell’Unione soltanto se viene seguito dall’adozione di un regolamento a titolo dell’art. 215 TFUE, al fine di garantire la sua applicazione uniforme in tutti gli Stati membri” (par. 56). Infatti, le armi e le attrezzature militari contemplati all’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, così come i servizi connessi, rientrano nella competenza dell’Unione in virtù degli articoli 114 e 207 TFUE. Ciò è confermato dal fatto che dette armi e attrezzature, che figurano nell’Elenco comune delle attrezzature militari dell’Unione europea contemplato dall’art. 12 della posizione comune 2008/944[6] e che funge da riferimento per gli elenchi nazionali di tecnologia e di attrezzature militari degli Stati membri, sono soggette alla tariffa doganale comune, come emerge dal regolamento (CE) n. 150/2003 del Consiglio, del 21 gennaio 2003[7], che sospende i dazi doganali applicabili a talune armi e attrezzature ad uso militare. Peraltro, la Corte osserva che, mediante la successiva adozione del regolamento 2023/1214[8], il Consiglio ha attuato il divieto di fornire servizi di intermediazione connessi ad attrezzature militari previsto dall’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, il che, secondo la Corte, “tende a confermare che una tale misura rientra tra quelle che dovevano essere adottate in un regolamento basato sull’art. 215, par. 1, TFUE” (par. 59).

Alla luce del ragionamento svolto, la Corte conclude ritenendosi competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512.

La Corte prende dunque in esame la questione sollevata dal giudice del rinvio se il divieto di fornire servizi di intermediazione enunciato in tale disposizione sia applicabile anche quando le attrezzature militari oggetto dell’operazione di intermediazione di cui trattasi non siano mai state importate nel territorio di uno Stato membro. In base all’interpretazione letterale della disposizione, e in particolare dall’uso dei termini “direttamente o indirettamente”, la Corte ritiene che il divieto da essa stabilito “si applica estesamente, segnatamente quando dei servizi di intermediazione connessi ad attrezzature militari vengono forniti a una persona, a un’entità o ad un organismo in Russia, senza che tale formulazione preveda una condizione che esige l’importazione di tali attrezzature nel territorio di uno Stato membro” (par. 64). Infatti, “è sufficiente che tali servizi siano forniti, direttamente o indirettamente, ad un operatore in Russia, indipendentemente dalla destinazione finale delle attrezzature in questione” (ibid.). Tale interpretazione, secondo la Corte, è corroborata anche dal contesto e dagli obiettivi perseguiti dalla normativa dell’Unione in questione.

In secondo luogo, la Corte, dopo aver riformulato la questione, prende in esame se,  in sostanza, l’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, letto alla luce del diritto di proprietà sancito dall’art. 17 della Carta nonché dei principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una misura nazionale di confisca dell’intero ricavato di un’operazione di intermediazione, la quale intervenga, in maniera automatica, a seguito dell’accertamento, da parte delle autorità nazionali competenti, di una violazione del divieto di effettuare tale operazione e dell’obbligo di notificare quest’ultima.

La Corte constata che una siffatta misura di confisca “costituisce una restrizione all’esercizio del diritto di proprietà, rientrante nella regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi dell’art. 17, par. 1, terza frase, della Carta” (par. 84). È quindi necessario che tale misura sia giustificata alla luce delle condizioni poste dall’art. 52, par. 1, della Carta relative alle limitazioni ammesse ai diritti fondamentali sanciti nella Carta che non costituiscono diritti fondamentali assoluti.

In primo luogo, la Corte rileva che una misura di confisca come quella imposta alla Neves è prevista dalla legge, ai sensi dell’art. 52, par. 1, della Carta. Infatti, tale misura si basa sulla normativa rumena e sull’Elenco nazionale di tecnologia e attrezzature militari contemplato dall’art. 12 della posizione comune 2008/944 (par. 87). In secondo luogo, poiché la misura di confisca rientra nella regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi dell’art. 17, par. 1, terza frase, della Carta e non costituisce una privazione di proprietà, ai sensi del medesimo art. 17, par. 1, seconda frase, “essa rispetta il contenuto essenziale del diritto di proprietà” (par. 88). In terzo luogo, detta misura mira alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla decisione 2014/512, e risponde quindi a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione (par. 89).

In quarto luogo, la Corte valuta il rispetto del principio di proporzionalità ritenendo innanzitutto che la misura di confisca è idonea a raggiungere gli obiettivi perseguiti. Infatti, la misura di confisca, complementare a una misura sanzionatoria pecuniaria, “è intervenuta a seguito dell’accertamento, da parte delle autorità rumene competenti, del mancato rispetto del divieto di effettuare un’operazione relativa ad un bene costituente l’oggetto di una sanzione internazionale, derivante, nel caso di specie, dalla decisione 2014/512, e dell’obbligo di informare immediatamente dette autorità di tale operazione” (par. 91). Di conseguenza “l’imposizione di tale misura di confisca è idonea a dissuadere gli operatori interessati dall’effettuare simili operazioni e ad incoraggiarli a rispettare sia tale divieto che tale obbligo di informazione, il quale facilita il monitoraggio, da parte delle autorità competenti degli Stati membri, delle operazioni che coinvolgono i prodotti interessati, nella fattispecie attrezzature militari” (ibid.).

Inoltre, la misura di confisca appare anche necessaria in quanto, dato il basso massimale dell’importo della sanzione pecuniaria prevista come sanzione principale dalla legislazione nazionale rispetto al potenziale vantaggio economico che si può trarre dalle operazioni di intermediazione relative ad attrezzature militari, “la sola imposizione di tale sanzione non può essere sufficiente per dissuadere gli operatori economici dal violare il divieto di fornire servizi di intermediazione connessi a tali attrezzature nonché l’obbligo di informare in proposito le autorità nazionali competenti” (par. 92). Allo stesso modo, il fatto che una misura di confisca intervenga in maniera automatica tramite un processo verbale di accertamento redatto dall’autorità amministrativa competente è necessario per garantire la piena efficacia della sanzione, “fermo restando il diritto a un ricorso effettivo al fine di far controllare la regolarità di tale verbale e di ottenere, eventualmente, la restituzione delle somme confiscate, in particolare se, alla fine, dovesse risultare che l’operazione in questione non ricade sotto tale divieto” (par. 94). A tal proposito, spetterà al giudice nazionale accertare che la Neves goda di sufficienti garanzie procedurali, in particolare per quanto riguarda l’accertamento della concreta esistenza della violazione amministrativa che le viene imputata (par. 97).  Infine, la Corte ritiene che, per quanto riguarda il carattere proporzionato in senso stretto della misura di confisca, quest’ultima sia commisurata alla gravità della violazione che essa mira a sanzionare in quanto, da un lato, l’importo della sanzione pecuniaria che accompagna la misura di confisca è modulabile; dall’altro lato, tali sanzioni “pre[ndono] di mira soltanto persone che, con cognizione di causa, si sono astenute dal procedere a tale segnalazione o che hanno comunque effettuato una tale operazione” (par. 99).

In definitiva, la Corte conclude ritenendo che “la restrizione all’esercizio del diritto di proprietà derivante da una siffatta misura di confisca sembra rispettare il principio di proporzionalità e, di conseguenza, appare giustificata alla luce delle condizioni stabilite dall’art. 52, par. 1, della Carta” (par. 101), cosa che spetterà in ogni caso al giudice del rinvio valutare.

Per quanto riguarda il rispetto dei principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, la Corte esclude una siffatta violazione rimettendo, in ogni caso, al giudice del rinvio di verificare la normativa nazionale in vigore al momento dei fatti, nonché il rispetto dei requisiti di chiarezza e di prevedibilità di tale normativa (paragrafi 105 e 106).

Alla luce del ragionamento svolto, la Corte esclude che l’art. 2, par. 2, lett. a), della decisione 2014/512, letto alla luce del diritto di proprietà sancito dall’art. 17 della Carta nonché dei principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, osti ad una misura nazionale di confisca dell’intero ricavato di un’operazione di intermediazione, la quale intervenga, in maniera automatica, a seguito dell’accertamento, da parte delle autorità nazionali competenti, di una violazione del divieto di effettuare tale operazione e dell’obbligo di notificare quest’ultima (par. 107).

 

[1] L’art. 40 TUE prevede quanto segue: “L'attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l'applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l'esercizio delle competenze dell'Unione di cui agli articoli da 3 a 6 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. L'attuazione delle politiche previste in tali articoli lascia parimenti impregiudicata l'applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l'esercizio delle competenze dell'Unione a titolo del presente capo”.

[2] Corte di giustizia, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C-72/15, ECLI:EU:C:2017:236. Il testo della sentenza è reperibile qui.

[3] L’articolo 215 TFUE prevede che: “1. Quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo V del trattato sull'Unione europea prevede l'interruzione o la riduzione, totale o parziale, delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta congiunta dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, adotta le misure necessarie. Esso ne informa il Parlamento europeo. 2. Quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo V del trattato sull'Unione europea lo prevede, il Consiglio può adottare, secondo la procedura di cui al paragrafo 1, misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, di gruppi o di entità non statali. 3. Gli atti di cui al presente articolo contengono le necessarie disposizioni sulle garanzie giuridiche.”

[4] Decisione 2014/512/PESC del Consiglio, del 31 luglio 2014, concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (GUUE L 229 del 31.7.2014).

[5] Regolamento (UE) n. 833/2014 del Consiglio, del 31 luglio 2014, concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (GU L 229 del 31.7.2014).

[6] Posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio, dell’ 8 dicembre 2008, che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari (GU L 335 del 13.12.2008).

[7] Regolamento (CE) n. 150/2003 del Consiglio, del 21 gennaio 2003, che sospende i dazi doganali applicabili a talune armi e attrezzature ad uso militare (GU L 25 del 30.1.2003).

[8] Regolamento (UE) 2023/1214 del Consiglio del 23 giugno 2023 che modifica il regolamento (UE) n. 833/2014, concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (GU L 159I del 23.6.2023).

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