Il decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62: “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”, rappresenta il terzo intervento normativo di attuazione della legge delega n. 227 del 2021 con la quale si incarica il Governo di adottare uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità. L’art. 1 della legge specifica che la revisione e il riordino devono avvenire in conformità con gli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione, con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e al relativo Protocollo opzionale (ratificati dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18)[1], con la Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 della Commissione europea e con la risoluzione del Parlamento europeo sulla protezione delle persone con disabilità del 7 ottobre 2021. Dall’esame del decreto legislativo del 3 maggio 2024 appare evidente come il Governo sia effettivamente intervenuto sugli aspetti critici già segnalati dal Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, organo posto a controllo della CRPD, nel rapporto adottato sull’Italia nel 2016[2].
Il decreto si occupa innanzitutto (art. 2) di dare una nuova definizione della condizione di disabilità superando il modello basato unicamente sulla mera valutazione medica dell’impedimento determinato dalla patologia verso un modello “bio-psico-sociale”. La condizione di disabilità, nella nuova normativa, è intesa quindi come una “compromissione fisica, mentale, intellettiva, del neurosviluppo o sensoriale che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di eguaglianza con gli altri”, ricalcando la definizione che si trova all’art. 1 della Convenzione ONU.[3] Alla norma sottende un diverso approccio anche culturale che è evidenziato dall’utilizzo di diversa terminologia in materia di disabilità (art. 4 dlgs) in cui le espressioni “portatore di handicap” o “handicappato” sono sostituite da “persona con disabilità” e “in situazione di gravità” con la locuzione “(persona) con necessità di sostegno elevato o molto elevato”, con conseguente abolizione di tutti gli altri concetti stigmatizzanti precedentemente adottati. D’altra parte, il Comitato CRPD nel rapporto del 2016 aveva proprio sottolineato come tra le principali aree di preoccupazione relative all’attuazione della Convenzione nel nostro paese vi fosse il fatto che “disability continues to be defined through a medical perspective”[4] e che quindi la definizione non fosse in linea con la Convenzione.
Una volta introdotta la nuova definizione di persona con disabilità, il d.lgs, 62∕2024 determina l’acquisizione di tutele proporzionate al livello di sostegno di cui la persona con disabilità necessita, che potrà essere lieve, medio o intensivo (quest’ultimo elevato o molto elevato se collegato a situazioni di non autosufficienza). Il decreto, quindi, non fa più riferimento alla correlazione fra gravità della menomazione o della patologia per introdurre una nuova correlazione fra disabilità e intensità dei sostegni necessari ad assicurare alla persona il godimento dei diritti secondo i principi di non discriminazione ed uguaglianza con gli altri.
Il primo passaggio per accedere ai sostegni, incluso - come vedremo - il progetto di vita individuale, consiste nella valutazione di base (art. 5 e ss. del d.lgs) che prende avvio con la trasmissione all’INPS del certificato medico introduttivo. Il procedimento prevede una sola ed unica procedura valutativa per la condizione di disabilità (gestita in via esclusiva dall’INPS a partire dal 1° gennaio 2026), andando a sostituire quella moltitudine di procedure sia generali sia mirate che si erano andate stratificando nel tempo a seconda del contesto di applicazione o del tipo di disabilità da accertare.
È importante sottolineare che per quanto riguarda la valutazione di base – che viene effettuata sulla base dei criteri ICD e degli strumenti descrittivi dell’ICF[5] – il decreto riconosce la necessità di applicare i criteri valutativi in base al sesso e all’età della persona con disabilità (art. 12 del d.lgs), anche se questa disciplina di dettaglio è demandata ad un successivo decreto ministeriale da pubblicarsi entro il 30 novembre 2024. Il Comitato ONU aveva difatti molto insistito sulla mancanza di una prospettiva inclusiva nella politica sulla disabilità nel nostro ordinamento. Il Comitato si diceva infatti preoccupato che in Italia “women and girls with disabilities are not systematically mainstreamed in the gender equality agenda and disability agenda” e raccomandava quindi l’adozione di una prospettiva di genere nelle politiche sulla disabilità e specularmente l’inserimento di considerazioni sulla disabilità di donne e ragazze nelle politiche per la parità di genere, in conformità con l’art. 6 della Convenzione e con il Commento Generale n. 3 del 2016.[6] Il Comitato poneva particolare attenzione anche sulla mancanza di dati e di politiche mirate a sostegno dei bambini con disabilità. Al di là di queste due aree di intervento specifiche, il Comitato aveva parlato più in generale della necessità di coinvolgere “a broad range of persons with disabilities that reflect the diversity of people’s backgrounds, including age, sex, faith,
race, sexual orientation, migrant status and impairment groups” nei processi decisionali[7], così da realizzare una risposta efficace contro forme multiple di discriminazione intersezionale.[8]
La riforma tocca anche l’istituto dell’accomodamento ragionevole (art. 17 d.lgs). Al fine di darne pieno riconoscimento e attuazione, il decreto introduce l’art. 5bis nella legge 104∕92 e prevede che qualora le disposizioni di legge non garantiscano alle persone con disabilità il godimento e l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, l’accomodamento ragionevole, ai sensi dell’art. 2 della Convenzione ONU[9], individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati (purché non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato). Qualora la pubblica amministrazione o il soggetto privato neghino questa possibilità, attraverso diniego motivato di accomodamento ragionevole, la persona con disabilità o le associazioni legittimate possono, fermo restando la capacità di agire in giudizio ai sensi dell’art. 3 della legge n. 67 del 2006, chiedere all’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità[10] di verificare la discriminazione di rifiuto di accomodamento ragionevole. Con questa norma l’ordinamento italiano recepisce le raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità riguardo alla necessità per l’Italia di adottare una chiara definizione di accomodamento ragionevole e di riconoscere il diniego dello stesso come una forma di discriminazione verso le persone con disabilità.[11]
Al termine della procedura di valutazione, la persona con disabilità è informata (art. 15 d.lgs) degli interventi, dei sostegni e dei benefici sociali ed economici che direttamente spettano all’interessato ma anche del diritto ad elaborare ed attivare un progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, quale ulteriore strumento di capacitazione.
Ad occuparsi del progetto di vita è l’art. 18 del d.lgs secondo il quale “il progetto di vita individua, per qualità, quantità ed intensità, gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli, volti anche ad eliminare e a prevenire le barriere e ad attivare i supporti necessari per l’inclusione e la partecipazione della persona stessa nei diversi ambiti di vita, compresi quelli scolastici, della formazione superiore, abitativi, lavorativi e sociali”. Nei successivi articoli il d.lgs definisce la procedura partecipata che porta, attraverso una valutazione multidimensionale, alla stesura del progetto di vita personalizzato, scardinando il precedente modello basato su servizi standardizzati. Nel progetto di vita, che alla fine dei lavori dell’unità di valutazione sarà dotato di un proprio budget (art. 28), non soltanto potranno essere messi insieme strumenti che possono avere origine in ambiti diversi, dalla formazione al lavoro, dalla salute alla socialità, al fine di un loro coordinamento, ma potranno essere anche inseriti strumenti di sostegno personalizzati e atipici per rispondere alle esigenze individuali.
La normativa, abrogando quegli articoli del testo della l. 328∕2000 che facevano riferimento al progetto di vita, da nuova linfa a questo istituto dotandolo di chiari obiettivi ed identificando gli ambiti di intervento (art. 26) e le risorse dedicate (art. 31).
Anche il progetto di vita personalizzato e partecipato risponde ad una molteplicità di raccomandazioni provenienti dal Comitato ONU riguardo alla più ampia partecipazione delle persone con disabilità nella formazione, nel lavoro e nella vita sociale e politica. Degno di nota è il fatto che questo tipo di intervento andrà ad incidere notevolmente non soltanto direttamente sulla vita delle persone con disabilità ma anche sulle loro famiglie e in particolare i cd. caregivers. Si ricordi infatti che recentemente, nel 2022, nel caso M.S.B. C. Italia, il Comitato ONU ha riscontrato la violazione da parte del nostro paese di alcuni articoli della Convenzione, fra cui il diritto ad adeguati livelli di vita e protezione sociale, per non aver non aver adottato quelle misure necessarie a garantire l’accesso, alle persone con disabilità e alle relative famiglie, a programmi di assistenza personalizzati (si rimanda nel dettaglio a https://www.osservatoriosullefonti.it/rubriche/fonti-internazionali/4356-osf-3-2022-fontiint-2 ).
[1] V. anche lo stesso art. 1 comma 2 (Oggetto e finalità) del decreto del 3 maggio 2024: “2. Le disposizioni del presente decreto sono finalizzate a garantire, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei supporti, dei benefici e delle agevolazioni, anche attraverso il ricorso all’accomodamento ragionevole e al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato secondo i principi di autodeterminazione e non discriminazione”.
[2] CRPD, Concluding Observations on the Initial Report of Italy, Adopted by the Committee at its 16th Session (15 August-2 September 2016), CRPD/C/ITA/CO/1.
[3] Art. 1 CRPD: “Persons with disabilities include those who have long-term physical, mental, intellectual or sensory impairments which in interaction with various barriers may hinder their full and effective participation in society on an equal basis with others”.
[4] CRPD, Concluding Observations on the Initial Report of Italy, p. 5.
[5] È stato sottolineato come l’adozione dell’ICF (International Classification of Functioning of Disability and Health), a fianco dell’ICD (International Classification of Diseases), costituisca un passo in avanti importante verso l’applicazione del modello bio-psico-sociale.
[6] CRPD, Concluding Observations on the Initial Report of Italy, par. 14: “The Committee recommends that gender be mainstreamed in disability policies and disability be mainstreamed in gender policies, both in close consultation with women and girls with disabilities and their representative organizations. It also recommends that the State party take into account article 6 of the Convention and the Committee’s general comment No. 3 (2016) on women and girls with disabilities while implementing targets 5.1, 5.2 and 5.5 of the Sustainable Development Goals”.
[7] Ibid., par. 8.
[8] Ibid., par. 12.
[9] Art. 2 CRPD: “.. Reasonable accommodation means necessary and appropriate modification and adjustments not imposing a disproportionate or undue burden, where needed in a particular case, to ensure to persons with disabilities the enjoyment or exercise on an equal basis with others of all human rights and fundamental freedoms”.
[10] L’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità rappresenta una novità introdotta con il d.lgs del 5 febbraio 2024, n. 20, e si inserisce fra quegli interventi di attuazione della legge delega n. 227 del 2021. La sua istituzione risponde alle raccomandazioni internazionali, in particolare quelle del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità (v. CRPD, Concluding Observations on the Initial Report of Italy, par. 8: “The Committee recommends that the State party establish a permanent consultative body that effectively and meaningfully consults with persons with disabilities through their representative organizations in the development of all laws, policies and programmes …”).
[11] Ibid., par. 9-10: “9. The Committee is concerned that national legislation lacks a definition of reasonable accommodation and does not include an explicit recognition that the denial of reasonable accommodation constitutes disability-based discrimination. 10. The Committee recommends that the State party immediately adopt a definition of reasonable accommodation aligned with the Convention, and enact legislation that explicitly recognizes the denial of reasonable accommodation as disability-based discrimination across all areas of life, including within public and private sectors”.