Fonti delle Regioni ordinarie

Il “restauro” della Consulta femminile regionale per le pari opportunità della Regione Lazio. Brevi note alla l.r. 26 luglio 2024, n. 11 (3/2024)

1. Con l’approvazione della legge regionale 26 luglio 2024, n. 11, la Regione Lazio ridisegna la composizione e le funzioni della Consulta femminile regionale per le pari opportunità, abrogando la previgente l.r. 25 novembre 1976, n. 58, con la quale la Consulta femminile era stata originariamente istituita. Al fine di ricostruire la cornice normativa regionale che legittima l’istituzione di tale organo consultivo, preme precisarsi che lo stesso Statuto Regionale – con l. statutaria 11 novembre 2004, n. 1 – impegna la Regione, all’art. 6 co. 6 (Diritti e valori fondamentali), a rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità attraverso l’attivazione di azioni positiva e a garantire le pari opportunità nell’esercizio delle funzioni regionali, assicurando l’equilibrio tra i sessi nelle nomine e nelle designazioni di competenza degli organi regionali. In aggiunta, lo Statuto prevede una disposizione ad hoc, l’art. 73, che si colloca al Capo IV (Organi di consultazione), con la quale si istituisce la Consulta femminile regionale per le pari opportunità, al fianco del Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (art. 71 Statuto), dell’Osservatorio regionale permanente sulle famiglie (art. 72 Statuto), nonché della Consulta regionale per i problemi della disabilità e dell’handicap (art. 74 Statuto). L’articolo in questione specifica che la Consulta rappresenta un organismo autonomo con sede presso il Consiglio regionale, che opera per la valorizzazione delle differenze di genere e il superamento di ogni discriminazione diretta, esercitando funzioni consultive e di proposta nei confronti degli organi regionali (art. 73, co. 2, Statuto Regione Lazio). Al comma successivo l’art. 73 rinvia al Regolamento dei lavori del Consiglio regionale la disciplina della partecipazione della Consulta ai procedimenti consiliari.

 

2. Ciò premesso, al di là delle previsioni statutarie introdotte nel 2004, sul piano della legislazione ordinaria, la Consulta femminile regionale veniva normata dettagliatamente dalla l.r. 25 novembre 1976, n. 58, ora abrogata dalla l.r. 26 luglio 2024, n. 11. La scelta del legislatore regionale di abrogare, anziché modificare (come peraltro era già avvenuto con le leggi l.r. 3 marzo 2009, n. 3 e con l.r. 20 maggio 2019, n. 8), la legge del 1976 sembra poter trovare giustificazione nella scelta di fondo di operare un “restauro” della Consulta al fine di rendere più incisivo il suo ruolo, posto che – come emerge dalla relazione introduttiva che accompagna la l.r. n. 11/2024 – dal 2015 l’organo aveva cessato di essere operativo benché esistente.

3. Cercando, dunque, di mettere in luce le principali novità che la l.r. n. 11/2024 porta con sé, pare utile porre l’accento sulle modifiche, sostanzialmente additive, in relazioni alle prerogative di tale organo consultivo. In primis, la più recente legge regionale declina con maggior dettaglio le funzioni relative alla programmazione regionale, considerato che nella previgente l.r. n. 58/1976 si faceva riferimento ad un generico “contributo attivo” alla elaborazione della programmazione, pianificazione e legislazione regionale, con riferimento alle condizioni di vita e di lavoro della donna in rapporto all’assetto economico e sociale della Regione (art. 3 co. 1, lett. a)). Entrando maggiormente nel merito, la l.r. n. 11/2024 rappresenta un obbligo per la Consulta di redarre un programma triennale di attività da trasmettersi alla commissione consiliare competente in materia di pari opportunità e al Presidente della Regione, unitamente agli eventuali aggiornamenti annuali e ad una relazione annuale sull’attività svolta (art. 4 co. 1, lett. b)). A seguire, tra i compiti affidati alla Consulta, resta fermo il parere obbligatorio che dev’essere reso sulle proposte di legge e sugli strumenti di programmazione generale e di settore della Regione in materia di pari opportunità, con la differenza che la l.r. n. 11/2024 vi include altresì gli atti amministrativi a carattere generale. Nella sostanza restano poi invariate le funzioni di studio e di raccolta dati, denominate, nella l.r. n. 58/1976, “indagini conoscitive” (art. 3 co. 1, lett. e)) ed ora, invece, che figurano quali “approfondimenti e ricerche” sulla condizione femminile e su eventuali discriminazioni in ambito regionale (art. 4 co. 1, lett. d)), con l’aggiunta di una distinzione tra la fase di ricerca e quella di veicolazione dei dati, rispetto ai quali viene configurato l’obbligo di trasmissione al Consiglio regionale e al Presidente della Regione dei dati forniti dai datori di lavoro (pubblici e privati) «relativi alla situazione occupazionale e professionale del personale femminile nonché quelli relativi alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» (art. 4 co. 1, lett. c)).

Un ulteriore elemento di novità quanto alle funzioni dell’organo consultivo emerge dall’art. 4 co. 1, lett. d) della l.r. n. 11/2024 in cui il legislatore regionale prevede che la Consulta formuli «proposte al Consiglio regionale e alla Giunta regionale, finalizzate alla rimozione di ogni forma di discriminazione basata sul genere, anche tenendo conto degli obiettivi della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 e dell’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030 (parità di genere) con particolare riferimento a quelli coerenti con le finalità della [...] legge», disposizione che, nella versione previgente della l.r. n. 58/1976, veniva formulata in termini di facoltà di proporre «agli organi consiliari iniziative da sottoporre al Parlamento, dirette a tutelare i diritti della donna e a promuovere le pari opportunità» (art. 3 co. 1, lett. b)). Si aggiungono a tali competenze la facoltà di promuovere lo svolgimento di audizioni, ex art. 33 co. 6 dello Statuto, da parte della commissione consiliare competente in materia di pari opportunità; nonché di svolgere una missione valutativa alla medesima commissione, la quale può far propria la proposta e trasmettere la stessa al Comitato per il monitoraggio dell’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche regionali; ed infine, l’obbligo di promuovere il rispetto dell’equilibrio di genere nelle nomine e nelle designazioni di competenza degli organi regionali.

4. Un altro elemento di interesse su cui la normativa ivi presa in esame ha inciso concerne la composizione e la durata in carica della Consulta. Originariamente, la legge degli anni Settanta prevedeva che l’organo consultivo restasse in carica per quattro anni (art. 3bis) e, con riguardo al primo aspetto, indicava il numero massimo di componenti dell’organo, fissato in sessanta membri, e la modalità di designazione (art. 4). Era precisato, a questo proposito, che i membri erano nominati da parte di associazioni e gruppi femminili e femministi rappresentativi a livello nazionale e regionale, dalle commissioni femminili delle organizzazioni sindacali confederali presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, dalle commissioni o movimenti femminili delle organizzazioni dei lavoratori autonomi presenti nel medesimo Consiglio, oppure, ancora, dalle commissioni o movimenti femminili e giovanili regionali dei partiti democratici ed antifascisti.

La l.r. n. 11/2024 interviene in questo solco, da un lato, rendendo omogenea la durata in carica della Consulta con il naturale decorso della legislatura regionale, fissandola, dunque, in anni cinque e, dall’altro, riducendo il numero massimo di componenti dell’organo (in totale quindici), parallelamente intervenendo sulle modalità di designazione, che risultano ora connotate per essere frutto di una scelta di natura politico-discrezionale (ancorché in qualche modo possa dirsi una discrezionalità vincolata) ed espressione della maggioranza politica. Scelta, questa, che ha destato alcune critiche da parte dell’opposizione in sede di approvazione del testo[1].

Più precisamente, l’art. 2 co. 1 prevede che dieci componenti siano votati dal Consiglio regionale sulla base delle candidature femminile proposte dagli enti del Terzo settore e dalle organizzazioni sindacali, datoriali e professionali che operano sul territorio regionale nelle materie indicate dalla legge. Le candidature rispetto alle quali il Consiglio regionale esprime il suo voto sono quindi limitate a quelle individuate – tramite pubblicazione di avviso pubblico – e raccolte da parte degli enti del Terzo settore iscritti al Registro unico (RUNTS) più rappresentativi a livello regionale e dalle altre organizzazioni appena menzionate. Similarmente, per la designazione degli ulteriori cinque componenti della Consulta, è prevista la previa pubblicazione di apposito avviso pubblico, con la differenza che si assiste in tal caso ad una nomina diretta, anziché ad una votazione, da parte del Presidente della Regione e sentita la commissione consiliare competente in materia di pari opportunità, tra persone che possiedono requisiti di particolare competenza ed esperienza nel settore delle pari opportunità.

5. Per concludere, pare interessante allargare lo sguardo per saggiare lo stato dell’arte nelle altre regioni italiane. La tendenza inaugurata dalla l.r. n. 11/2024 di “restauro” della Consulta femminile regionale, e che va nella direzione di rafforzare le prerogative di tale organo e di snellire l’apparato burocratico necessario al suo funzionamento (vd. riduzioni dei membri e modifiche delle modalità di designazione), sembra rimanere, allo stato, episodio isolato. Tracciando una tassonomia delle leggi regionali in tale ambito, ed avvalendosi del valido supporto della rassegna già svolta in questa Rivista nel 2014 (cfr. E. Catelani, C. Bertolini, Rassegna leggi e degli organi ed organismi regionali in tema di pari opportunità, in Rubriche -Fonti delle Regioni ordinarie, n. 2/2014)[2], si può osservare un quadro pressoché invariato. Le sole modifiche che si possono segnalare rispetto alla citata Rassegna interessano la Regione Umbria, dove nel 2016 è intervenuta la corposa l.r. 25 novembre 2016, n. 14 (Norme per le politiche di genere e per una nuova civiltà delle relazioni tra donne e uomini) che ha attribuito nuovi obiettivi – con norme di natura programmatica – al Centro per le pari opportunità (CPO) istituito con l.r. 15 aprile 2009, n. 6 e la Regione Friuli Venezia Giulia che con l.r. 21 marzo 2018, n. 11 ha modificato la l.r. 21 maggio 1990, n. 23, che istituiva la Commissione regionale per le pari opportunità tra uomo e donna, riformando la composizione di quest’ultima. A completare il quadro, da ultimo, si segnala che Regione Lombardia ha formalmente costituito il Consiglio delle Pari Opportunità con decreto del Presidente del Consiglio regionale n. 13 del 13 settembre 2018.

 

[1] Per un sunto dei lavori del Consiglio regionale in relazione alla l.r. n. 11/2024, si rinvia a https://www.consiglio.regione.lazio.it/?vw=newsDettaglio&id=3354.

[2] La rassegna è consultabile online al seguente link: https://www.osservatoriosullefonti.it/archivio-rubriche-2014/fonti-delle-regioni-ordinarie/1031-rassegna-leggi-e-degli-organi-ed-organismi-regionali-in-tema-di-pari-opportunita.

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