L’ordinamento amministrativo della Giunta della Regione Campania, riconducibile all’ambito delle competenze residuali regionali ex art. 117, c. 4, Cost.[1], risultava disciplinato, prima della sentenza n. 138 del 2023 della Corte Costituzionale, dal regolamento approvato con la D.G.R. 29 ottobre 2011, n. 612 (“Ordinamento amministrativo della Giunta regionale della Campania”).
La citata fonte secondaria traeva legittimazione dalla delega conferita all’esecutivo regionale dall’art. 2, co. 1, della l.r. della Campania n. 8/2010 (“Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale”) che, operando una delegificazione rispetto alla disciplina normativa contenuta nella previgente l.r. n. 11/1991 (“Ordinamento amministrativo della Giunta regionale”), autorizzava la Giunta a disciplinare con regolamento la propria organizzazione.
L’art. 2, co. 1, della l.r. n. 8/2010 prevedeva che l’atto regolamentare dovesse essere emanato, «sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, in attuazione dei principi dell’attività amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello Statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali: a) imparzialità, buon andamento dell’amministrazione regionale e trasparenza dell’azione amministrativa; b) razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti; c) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, ed economicità nell’esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate; d) realizzazione della più ampia flessibilità nell’organizzazione degli uffici regionali; e) rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi politico-amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l’istituzione di apposite strutture organizzative».
Il meccanismo della delegificazione nell’ordinamento regionale campano trova fondamento nell’art. 56 dello Statuto, che disciplina la potestà regolamentare – riconducibile alla materia della forma di governo – e, più nel dettaglio, nel comma 4 del medesimo articolo, il quale, riproducendo «quasi letteralmente»[2] l’art. 17, co. 2, della l. n. 400/1988 in tema di regolamenti governativi autorizzati alla delegificazione, prevede che «[n]elle materie di competenza esclusiva della Regione la legge regionale può autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie già disciplinate con legge», descrivendo in tal modo, come osservato in dottrina, «un modello di produzione normativa rinforzata applicato alla delegificazione» che «non può essere derogata dal legislatore regionale» (VUOLO, 2024).
In tali ipotesi, prosegue la norma, «la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l’abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data dell’entrata in vigore delle norme regolamentari». Conseguentemente, l’art. 2, co. 2, della l.r. n. 8/2010 aveva disposto l’abrogazione – con le sole eccezioni espressamente indicate – della fonte primaria che disciplinava in precedenza la materia, ossia la l.r. n. 11/1991, condizionando la realizzazione dell’effetto abrogativo all’entrata in vigore del regolamento di cui al primo comma dell’art. 2.
Con ordinanza del 19 settembre 2022, il Consiglio di Stato, sez. V, ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 2, co. 1, della l.r. n. 8/2010, fondate essenzialmente sull’omessa determinazione da parte della legge regionale delle norme generali regolatrici della materia, rilevando, in ragione di tale carenza, dei profili di contrasto con l’art. 56, co. 4, dello Statuto campano, con conseguente violazione – secondo il fenomeno dell’interposizione normativa[3] – dell’art. 123 Cost., che pone lo Statuto «ad un livello più elevato della legge regionale e in una posizione di preminenza» nel sistema delle fonti, come evidenziato nell’ordinanza di rinvio e confermato altresì dalla precedente giurisprudenza costituzionale[4].
Secondo il Consiglio di Stato, i criteri indicati all’art. 2, co. 1, della legge regionale campana, riproducono meri «principi fondamentali di rilevanza sovraordinata alla legge, cui, pertanto, anche le norme primarie non potrebbero derogare».
Aderendo alla tesi prospettata dal massimo organo di giustizia amministrava, la Corte costituzionale, con la nota sentenza 10 luglio 2023, n. 138, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, della l.r. n. 8/2010 per violazione dell’art. 123 Cost., in considerazione della circostanza che la norma regionale censurata – autorizzativa del potere regolamentare – «reca norme generali regolatrici della materia solo per profili parziali e privi di organicità, permettendo al regolamento di invadere spazi in precedenza coperti da norme legislative, ma senza dettare alcuna disposizione generale ad essi specificamente riferibile» e senza disporre «alcunché sull’articolazione degli uffici, né sul numero di essi, né, di conseguenza, sulle competenze loro demandate». In via consequenziale, la Corte ha altresì dichiarato, ai sensi dell’art. 27 della l. n. 87/1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 2, della l.r. n. 8/2010 che – come anticipato – prevedeva l’abrogazione della l.r. n. 11/1991.
Appare meritevole di attenzione, in questa sede, il passaggio della pronuncia[5] in cui la Corte Costituzionale approfondisce la «generale tendenza a rendere più flessibile la disciplina dell’organizzazione degli uffici pubblici» riscontrata anche nella legislazione nazionale, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, in ragione dell’avvertita «necessità di contrastare la precedente tendenza a irrigidire nella forma della legge anche profili di minore impatto sulla vita delle istituzioni e della comunità». Se è vero, infatti, secondo la Corte, che «compete alla legge, sia nelle materie assistite da riserve relative, sia in quelle non coperte da alcuna riserva, determinare il grado di analiticità con il quale disciplinare talune situazioni e lo spazio che, viceversa, può essere aperto a fonti del diritto di natura secondaria», è altrettanto vero che occorre distinguere fra «quanto merita di essere attratto alle forme e alle garanzie proprie della fonte primaria, e quanto può invece essere affidato all’attività normativa regolamentare, e più in generale secondaria, sulla base del presupposto che essa abbia una migliore capacità di evolvere a seconda delle necessità, e permetta a sua volta una immediata tutela presso le giurisdizioni comuni».
Per chiarire il punto, la Corte richiama la precedente giurisprudenza costituzionale in materia di delegificazione – sviluppatasi con riferimento al modello tracciato dalla l. n. 400/1988 e riprodotto dallo Statuto campano – secondo la quale «le norme generali regolatrici della materia hanno, tendenzialmente, una funzione delimitativa più stringente rispetto ai principi e criteri direttivi» di cui all’art. 76 Cost. (Corte Cost., sent. n. 303 del 2005). In tali ipotesi, seppur con una certa flessibilità, le norme regolatrici della materia devono avere «un raggio di azione tale da costituire le scelte fondanti l’assetto normativo dell’oggetto della delegificazione, sul quale il regolamento si innesta non per completare o integrare queste ultime, ma per svilupparle ulteriormente». Circostanza che, secondo il giudice costituzionale, non è possibile riscontrare positivamente nella l.r. n. 8/2010 della Campania.
È opportuno segnalare come la Corte Costituzionale abbia giudicato rilevanti le questioni di legittimità costituzionale poc’anzi prospettate sebbene l’art. 1 della l.r. n. 14/2022 (“Disposizioni in materia di rafforzamento ed efficientamento della capacità amministrativa della Regione Campania”) avesse previsto una seconda delegificazione avente ad oggetto l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale, dettando quindi nuove norme generali regolatrici della materia e, al contempo, precisando la perdurante vigenza del regolamento regionale n. 12/2011 nelle more dell’entrata in vigore del nuovo regolamento, che tuttavia non risultava adottato al tempo del giudizio.
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 della l.r. n. 8/2010, il legislatore campano ha dapprima “legificato”, con l’art. 7, co. 2 della l.r. n. 15/2023, le disposizioni sull’ordinamento, l’organizzazione e le funzioni degli uffici della Giunta regionale di cui al regolamento n. 12/2011, al dichiarato fine di assicurare la continuità amministrativa e l’espletamento delle funzioni e delle competenze regionali «fino all’attuazione dell’articolo 1, comma 1 della legge regionale 21 ottobre 2022, n. 14», per poi giungere, in un successivo momento, alla definizione di una nuova disciplina legislativa con l’approvazione della l.r. n. 6/2024 (“Ordinamento e organizzazione degli uffici della Giunta regionale”).
La nuova normativa regionale – che dispone l’abrogazione, fra gli altri, dell’art. 1, co. 1 e 2, della l.r. n. 14/2022 – è volta a disciplinare in maniera organica l’assetto organizzativo degli uffici della Giunta regionale, riconoscendo all’esecutivo, ai sensi dell’art. 20, la facoltà di definire con propria deliberazione le attività e l’organizzazione in Settori e Unità operative dirigenziali semplici delle strutture amministrative di cui agli artt. 14, 17, 18 e 19 della nuova legge.
Ai sensi della l.r. n. 6/2024, il nuovo regolamento dovrà essere adottato «nel rispetto dei vincoli di bilancio e dell’invarianza di spesa» e «nel rispetto dei principi di cui all’articolo 2», questi ultimi invero non dissimili da quelli già previsti dall’art. 2 della l.r. n. 8/2010, che risultano oggi però collocati all’interno di una base normativa primaria che – come suggerito dalla «più importante pronuncia della Corte sulla delegificazione» (TARLI BARBIERI, 2023) – prevede specifiche previsioni concernenti l’articolazione, il numero degli uffici e le competenze demandate a questi ultimi. Tale tecnica legislativa sembra aver ispirato il legislatore campano anche con riferimento alla disciplina dei regolamenti di organizzazione del Consiglio regionale di cui alla l.r. n. 11/2022 (“Disposizioni in materia di organizzazione del Consiglio regionale”), interessata dalle recenti modifiche integrative apportate dall’art. 1 della l.r. n. 8/2024.
[1] Ex multis, Corte Cost., sent. n. 95 del 2007 e n. 274 del 2003.
[2] Corte Cost., sent. n. 130 del 2016.
[3] Corte Cost. sent. n. 118 del 2015, n. 188 del 2011 e n. 4 del 2010.
[4] Corte Cost., sent. n. 178 del 2019.
[5] Corte Cost., sent. n. 138 del 2023, Considerato in diritto n. 5.