Il 26 giugno 2024 è stata pubblicata la legge n. 86 recante disposizioni per l'attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione[1].
La legge n. 86 si compone di 11 articoli.
All’art. 1 della legge n. 86 del 2024 vengono esplicitate le finalità che consistono nel “favorire la semplificazione e l'accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, nonchè del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione”.
Viene specificato, all’art. 1 comma 2, che l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, primo comma, lettera m), della Costituzione, ivi inclusi quelli connessi alle funzioni fondamentali degli enti locali, e nel rispetto dei principi sanciti dall'articolo 119 della Costituzione.
L’attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia viene prevista con legge rinforzata, che, dal punto di vista sostanziale, è formulata sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.
La legge, all’art. 2, introduce i principi procedimentali per l’approvazione delle “intese”, che la Costituzione, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, richiede per l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. In proposito, si stabilisce che l'iniziativa sia presa dalla regione interessata, sentiti gli enti locali, secondo le modalità previste nell'ambito della propria autonomia statutaria. L'iniziativa di ciascuna regione può riguardare la richiesta di autonomia in una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni cui segue il negoziato tra il Governo e la regione per la definizione di uno schema di intesa preliminare.
L'attribuzione alle Regioni ordinarie delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nelle materie di cui all’art. 116, comma 3, Cost., è stata, pertanto, espressamente subordinata alla previa determinazione dei relativi livelli essenziali, la cui opera di definizione si configura, pertanto, quale requisito preliminare e necessario affinché si possa procedere alla stipula delle intese tra lo Stato e le singole Regioni per la realizzazione della loro autonomia differenziata. A tal uopo, l’art. 3 della legge n. 86 contiene una delega al Governo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi per l’individuazione dei LEP, sulla base dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di bilancio 2023, i cui schemi sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro il termine di 45 giorni.
Come prevedibile, le reazioni all’approvazione della legge n. 86 sono state molteplici. Venerdì 5 luglio è stato depositato in Cassazione un primo quesito referendario abrogativo della legge n. 86 avente ad oggetto l’autonomia differenziata.
La richiesta di referendum tuttavia potrebbe incontrare alcuni ostacoli da superare nell’ambito del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale.
La legge, infatti, si presenta, in primo luogo, quale un collegato alla manovra di finanza pubblica e, in secondo luogo, quale attuazione di una disposizione costituzionale e, come tale, normativa a contenuto costituzionalmente vincolato.
Rispetto al primo limite, occorre ricordare la Corte ha ritenuto, sin dalla sentenza n. 16 del 1978, che la interpretazione letterale delle cause di inammissibilità testualmente descritte nell'art. 75 della Costituzione deve essere integrata “da un’interpretazione logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa”.
Presumibilmente il giudizio di ammissibilità sarà chiamato a sindacare, nel caso in oggetto, se la legge n. 86, al di là della qualificazione formale, di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum, presenti “effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività” delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa. Questo stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario. Si tratta di leggi che non si limitano a porre discipline ordinamentali prive di diretti effetti finanziari ma che, incidendo in modo rilevante nell'ambito di operatività delle leggi di bilancio, non sono suscettibili di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità generali, quali inevitabilmente risulterebbero da una determinazione referendaria che si esprime su di un solo elemento del quadro complessivo”[2].
Nella sentenza n. 6 del 2015 è stato ulteriormente precisato che “[…] con riguardo alla categoria, in particolare, delle «leggi di bilancio», che – se non possono, agli effetti del divieto sub art. 75 Cost., a questa equipararsi «le innumerevoli leggi di spesa» (sentenza n. 16 del 1978), ancorché (e per il solo fatto che) perseguano obiettivi di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12 del 2014) – sono, viceversa, a detta categoria riconducibili quelle leggi che «presentino effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa»”.
In secondo luogo, come anticipato, la legge n. 86 del 2024 costituisce attuazione del disposto costituzionale dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione e questo potrebbe rappresentare il presupposto integrativo del limite di ammissibilità a referendum delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato.
In questa categoria rientrano quelle leggi “il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)” (sent. n. 16/1978) né quelle “la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione” (sent. n. 35/1997).
Sarebbero, quindi, sottratte a referendum abrogativo le sole leggi a contenuto costituzionalmente vincolato in senso stretto ovvero quelle che rappresentano l’unica attuazione possibile, “a rime obbligate”, di un principio costituzionale, escludendo che vi possa essere una scelta discrezionale del legislatore rispetto alle modalità attuative[3].
Sin dalla sentenza n. 16 del 1978, tale limite è stato rintracciato nella necessità di preservare l’esistenza di “valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell’art. 75 secondo comma Cost.”. Una delle categorie in cui si articolava tale limite consisteva, in particolare, nei “referendum aventi per oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)”. Più in particolare, la Corte ha precisato che tale categoria non si riferisce a “tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o previsti dalla Costituzione”, ma solo a quelle “che non possono venir modificate o rese inefficaci, senza che ne risultino lese le corrispondenti disposizioni costituzionali”.
Successivamente, anche alla luce della “naturale difficoltà a distinguere in concreto le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato da quelle semplicemente riferibili a norme e principi costituzionali” (sent. n. 45 del 2005), la Corte ha individuato il proprium di tale categoria nel fatto che “la legge ordinaria da abrogare incorpori determinati principi o disposti costituzionali, riproducendone i contenuti o concretandoli nel solo modo costituzionalmente consentito” (sent. n. 26 del 1981).
Con la sentenza n. 27 del 1987 sono state conseguentemente individuate due distinte ipotesi rispetto al cui metro valutare la riferibilità della disposizione oggetto di referendum a un contenuto costituzionalmente necessitato: “[i]nnanzitutto le leggi ordinarie che contengono l’unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest’ultima (cfr. sentenze n. 16/1978 e n. 26/1981); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale “la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sent. n. 25 del 1981)”.
Parallelamente, la Corte ha individuato, nel novero delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, “anche la categoria delle leggi ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione” (sent. n. 35 del 1997).
Considerate anche le scelte approvate recentemente nei Consigli regionali di Campania e Emilia Romagna e le intenzioni di adesione alle richieste referendarie annunciate da altre Regioni, le questioni menzionate potranno costituire, in toto o parzialmente, oggetto del sindacato costituzionale nell’ambito del giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie presentate.
[1] L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. "regionalismo differenziato" o "regionalismo asimmetrico", in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma).
La panoplia delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia è di seguito indicata: tutte le materie che l'articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente. Un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull'istruzione; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
[2] Cfr. il punto 5 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 1994.
[3] Su questo si veda recentemente il punto 7 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2022.