Sent. n. 227/2023 – giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
Deposito del 28/12/2023 – Pubblicazione in G.U. 03/01/2024, n. 1
Motivi della segnalazione
Con questa sentenza la Corte costituzionale ha deciso un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato con ricorso del Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, del Giudice per le indagini preliminari e del GUP presso il medesimo Tribunale, che avrebbero violato, per il ricorrente, le prerogative costituzionali poste a presidio dell'esercizio della funzione parlamentare dall’art. 68, comma 3, della Costituzione, anche alla luce della sua attuazione ad opera degli artt. 4 e 6 della legge n. 140/2023.
A venire in rilievo sono atti della Procura della Repubblica di Torino, del GIP e del GUP consistenti nell’effettuazione e nell’utilizzazione, senza l’autorizzazione del Senato della Repubblica, di intercettazioni telefoniche e messaggi WhatsApp avvenute sull’utenza telefonica di un indagato non parlamentare, ma aventi ad oggetto (molte) conversazioni e messaggi WhatsApp di un soggetto, Stefano Esposito, che all’epoca dello svolgimento delle attività asseritamente svolte in contrasto con l’art. 68, comma 3, Cost., era membro del Senato della Repubblica. Oggetto di contestazione, in quanto, nella prospettazione del ricorrente, illegittimamente lesive della sfera di attribuzioni del Senato, sono le attività di intercettazione e di conseguente utilizzazione dei loro risultati, nonché quelle di acquisizione e utilizzazione di messaggi WhatsApp concernenti conversazioni del sen. Esposito con un imprenditore attivo nel settore degli eventi e dello spettacolo sulle cui condotte si indagava. La lesività degli atti svolti dalle autorità giurisdizionali deriverebbe dalla mancata richiesta (e successiva concessione) di autorizzazione preventiva allo svolgimento delle attività investigative sopra ricordate, in quanto consapevolmente indirizzate a raccogliere dati relativi (anche) al sen. Esposito e perciò riconducibili alla fattispecie delle intercettazioni “indirette”(art. 4 della legge n. 140/2023) oppure, per le intercettazioni eventualmente reputate “occasionali”, dalla mancata richiesta di autorizzazione all’utilizzazione dei loro contenuti nei confronti dell’allora senatore Esposito.
In estrema sintesi, a fronte degli elementi a supporto della propria tesi forniti dal ricorrente (intestazione dell’utenza ad un amico abituale del sen. Esposito, coimputato nell’ambito del medesimo procedimento penale, consistente numerosità delle captazioni di conversazioni in cui era coinvolto il senatore e loro indicazionee a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio e, da ultimo, del decreto che dispone il giudizio), la Corte rileva in primo luogo, a proposito dei regimi autorizzatori di cui, rispettivamente, agli artt. 4 e 6 della legge n. 140/2003, che «l’individuazione degli ambiti di applicazione dell’uno e dell’altro regime autorizzatorio discende dalla ratio di garanzia dell’art. 68, terzo comma, Cost., che consiste nel “porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull’esercizio del suo mandato rappresentativo”, quali quelle derivanti da intenti persecutori associati a strumenti “di particolare invasività” come le intercettazioni (sentenza n. 390 del 2007)».
Ciò premesso, il giudice delle leggi ritiene che in relazione ad una prima fase dell’attività di intercettazione, pur essendo già nota agli inquirenti l’abitualità dei contatti telefonici tra il titolare dell’utenza intercettata e il senatore, non si potesse perciò solo ritenere che l’attività investigativa fosse diretta (anche) nei confronti di quest’ultimo e che fosse quindi necessaria un’autorizzazione preventiva ai fini della sua effettuazione. Si trattava in altri termini di intercettazioni “occasionali”. Cionondimeno – afferma la Corte – non spettava alle autorità giurisdizionali resistenti utilizzare tali intercettazioni (effettuate sino al 2 agosto 2015), dal momento che non era stata richiesta, come normativamente previsto, la necessaria autorizzazione ai sensi dell’art. 6 della legge n. 140/2003.
Il punto di svolta nella vicenda, in seguito al quale emergono i presupposti per poteri parlare di intercettazioni “indirette”, è costituito, per la Corte, dall’informativa di polizia giudiziaria del 3 agosto 2015, nella quale i rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato vengono approfonditi alla luce delle ulteriori intercettazioni captate, evidenziando al contempo l’opportunità di trasmettere i contenuti delle conersazioni all’autorità giudiziaria, per consentirle di valutare l’opportunità di ulteriori approfondimenti investigativi. Che la direzione dell’attività di indagine sia a quel punto mutata, orientandosi anche nei confronti del sen. Esposito, al fine di verificare la sussistenza di indizi di reità a suo carico (indizi poi effettivamente riscontrati) emerge ancora più chiaramente dall’adozione di provvedimenti di proroga delle intercettazioni (in particolare, del 13 novembre e del 25 novembre 2015), in cui si rafforzava la consapevolezza del potenziale rilievo penale delle condotte del sen. Esposito e della rilevanza investigativa delle intercettazioni anche in rapporto ad ipotesi di reato a carico del suddetto, nonché dal contenuto di una nota del 28 dicembre 2015 con cui il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino aveva delegato la polizia giudiziaria «a svolgere iniziali accertamenti patrimoniali in relazione al Sen. Stefano Esposito». Alla luce di ciò, la Corte costituzionale conclude che non spettava alle autorità giurisdizionali disporre, effettuare e utilizzare, nell’ambito dei procedimenti penali confluiti in un procedimento iscritto nel registro generale delle notizie di reato del 2015, le intercettazioni che hanno coinvolto Stefano Esposito nel periodo intercorrente tra il 3 agosto 2015 e il 22 marzo 2018. Allo stesso modo, non spettava alle medesime autorità acquisire e utilizzare quali elementi di prova, nell’ambito degli stessi procedimenti, i messaggi WhatsApp scambiati tra Stefano Esposito e il terzo indagato, prelevati il 19 marzo 2018 tramite copia forense dei dati contenuti nello smartphone in uso a quest’ultimo assoggettato a sequestro.
In conseguenza della rilevata non spettanza alle autorità giudiziarie del compimento di attività investigative lesive della sfera di attribuzioni del Senato della Repubblica, in contrasto con l’art. 68, comma 3, Cost., la Corte costituzionale annulla, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal Giudice dell’udienza preliminare in relazione al medesimo procedimento.