Sentenza n. 4/2024 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito dell’11/01/2024 – Pubblicazione in G.U. 17/01/2024 n. 3
Motivo della segnalazione
Con la sentenza n. 4/2024 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato [legge finanziaria 2001]). La disposizione impugnata prevedeva che l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992 “si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988-31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità”, fatta “salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge”. Il giudice rimettente lamentava la violazione dei principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché del diritto a un equo processo e alla parità delle parti in giudizio. La disposizione impugnata, infatti, avrebbe mirato a condizionare retroattivamente l’esito dei ricorsi collettivi pendenti, a fronte di un orientamento giurisprudenziale che si era già consolidato. I parametri invocati, perciò, erano gli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU).
Questioni di costituzionalità aventi ad oggetto la stessa disposizione erano già state presentate – e rigettate – in passato; in questo caso, però, la questione è ammissibile perché il giudice rimettente ha fatto riferimento ai più recenti orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e della stessa Corte costituzionale (in particolare, le sentenze nn. 174/2019 e 12/2018.
La Corte costituzionale ha accolto la questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in quest’ultimo caso in relazione all’art. 6 CEDU. In primo luogo, la disposizione impugnata non presenta i caratteri della legge d’interpretazione autentica, configurandosi piuttosto come una legge innovativa con efficacia retroattiva. All’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992, infatti, la disposizione impugnata, anziché assegnare uno dei possibili significativi normativi a esso attribuibili, ne ha conferito uno nuovo, non ricavabile dal testo di legge. Se è così, sulle leggi a efficacia retroattiva, la Corte è chiamata a esercitare “uno scrutinio particolarmente rigoroso”. Questa esigenza risulta ulteriormente rafforzata qualora il legislatore con le sue scelte incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui nei processi sia coinvolta un’amministrazione pubblica. Si deve infatti scongiurare il rischio di uno sbilanciamento fra le posizioni delle parti coinvolte.
In questo ambito, osserva il giudice delle leggi, ha assunto un rilievo crescente la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU, allora, occorre verificare la sussistenza di alcuni elementi sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa. Il sindacato di costituzionalità, “in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo”, è chiamato ad assicurare “una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo”. Un primo elemento sintomatico è il fatto che lo Stato o l’amministrazione pubblica siano parti di un processo già instaurato e che l’intervento del legislatore si collochi a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto della (presunta) interpretazione autentica. È il caso della disposizione impugnata, che segue di ben nove anni l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992 ed è entrata in vigore in un momento in cui erano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei confronti di pubbliche amministrazioni. Un secondo elemento sintomatico è il fatto che la disposizione censurata, che pure si qualifica come interpretativa, abbia in realtà introdotto un significato che non si poteva in alcun modo evincere dalla disciplina introdotta nel 1992. Il terzo – e decisivo – elemento sintomatico è il fatto che il legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, “al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti”. Non si può neppure invocare, come ragionevole giustificazione, la tutela di principi, diritti e beni costituzionali: su questo punto la giurisprudenza della Corte EDU – in sintonia, peraltro, con quella della Corte costituzionale – si caratterizza per il prevalere di un orientamento restrittivo: il generico riferimento a considerazioni finanziarie o al contenimento della spesa pubblica non può essere annoverato fra le ragioni imperative di carattere generale che possono giustificare l’adozione di norme retroattive.
Ne deriva, in conclusione, l’incostituzionalità dell’art. 51, comma 3, della legge finanziaria per il 2001.