Interna corporis degli organi costituzionali

Rimane inammissibile l’insindacabilità di gruppo (e di componente?). Brevi osservazioni in tema di insindacabilità a margine del caso Calenda-Mastella (3/2024)

Recentemente il Senato si è trovato ad esaminare un nuovo caso di richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.: nello specifico, si trattava di un procedimento a carico dell’on. Carlo Calenda, segretario di Azione e membro dell’omonima componente del Gruppo Misto, per il reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595, comma 3, c.p. La vicenda giudiziaria era sorta da un post del senatore Calenda sul social network “X” (in passato noto come “Twitter”) del 3 aprile 2024, nel quale era riportata un’immagine contenente le dichiarazioni dell’on. Emma Bonino, Presidente di +Europa: “Europee: Bonino, no Calenda a Stati Uniti d’Europa grande errore”, corredata di alcuni commenti da parte dell’ex Ministro dello Sviluppo economico.

 

È necessario contestualizzare le dichiarazioni in oggetto: in vista delle elezioni europee del 9-10 giugno 2024 Italia Viva e +Europa avevano costituito una lista comune denominata “Stati Uniti d’Europa”, invitando ad aderirvi anche altre forze politiche di area centrista e liberal-democratica, tra le quali anche Azione, che tuttavia aveva rifiutato. A seguito delle dichiarazioni summenzionate, nel post in oggetto il leader di Azione aveva replicato, giustificando le ragioni della sua scelta e mettendo in discussione l’opportunità di candidare alcuni profili inseriti nelle liste di Stati Uniti d’Europa, in particolare con le parole: “Non ha alcun senso portarsi dietro, sia pure per interposta persona, Cuffaro, Cesaro e Mastella. La cultura della mafia è l’opposto dei valori europei”, “Chiamare la lista Stati Uniti d’Europa non può coprire personaggi e comportamenti che rappresentano l’opposto dei valori europei” e “Abbiamo proposto a @Piu_Europa di fare una lista comune di altissima qualità, coerente e pulita”. L’on. Calenda, quindi, stigmatizzava apertis verbis la presenza tra i candidati di personalità asseritamente vicine al già presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro, all’ex presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro e al sindaco di Benevento, nonché più volte ministro e parlamentare, Mario Clemente Mastella, facendo riferimento in relazione a costoro a una “cultura della mafia”. Potevano altresì essere riconducibili alla medesima osservazione critica il rilievo della presenza di personaggi e comportamenti reputati “all’opposto dei valori europei” e l’affermazione di aver proposto la formazione di una lista comune “coerente e pulita”, in ipotesi quindi priva di determinati profili inadeguati e inopportuni a dire di Calenda.

In replica, l’on. Mastella sporgeva querela per il reato di diffamazione aggravata “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, nozione all’interno della quale sono pacificamente ricompresi i social network, reputando lesivo della propria reputazione l’accostamento della sua persona ad altri soggetti già coinvolti in procedimenti giudiziari in materia di criminalità organizzata (circostanza mai verificatasi con riguardo al sindaco di Benevento) e, indirettamente, alle organizzazioni mafiose in sé. Trasmessa la querela al Tribunale di Roma per competenza territoriale, i fatti venivano iscritti nel Registro Generale Notizie di Reato (RGNR) e, in data 2 luglio 2024, il G.I.P. del Tribunale di Roma sospendeva il procedimento e ha inviato i relativi atti al Senato, non ritenendo che sussistessero le circostanze fondanti l’applicabilità dell’art. 68, comma 1, Cost. ed escludendo dunque l’archiviazione.

Si giungeva quindi all’esame della richiesta di deliberazione nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, presso la quale l’on. Calenda depositava una memoria scritta dove escludeva che il riferimento alla mafia nel post del 3 aprile 2024 fosse effettivamente esteso anche a Clemente Mastella, affermando invece che fosse circoscritto al solo Salvatore Cuffaro, come sarebbe altresì emerso da una nota diffusa da Azione nell’immediatezza dei fatti[1]. Nel medesimo documento, si rilevava che le dichiarazioni in oggetto sarebbero state coperte dalla tutela predisposta dall’art. 68, comma 1, in ragione della sussistenza di un nesso funzionale con gli interventi alla Camera dei Deputati dell’on. Antonio D’Alessio, anch’egli appartenente al gruppo di Azione, risalenti al 23 maggio, 11 giugno e 19 luglio 2024 e aventi ad oggetto i temi della lotta alla mafia. Sotto questo profilo, nonostante l’atto parlamentare con il quale si sarebbe costituito un nesso funzionale fosse riconducibile ad un altro soggetto (appartenente tra l’altro alla Camera e non al Senato), il leader di Azione sosteneva che gli interventi dell’on. D’Alessio fossero in rappresentanza del partito di cui è segretario e dunque esprimessero gli orientamenti politico-culturali comuni ai membri della formazione. Quanto invece all’elemento temporale, l’on. Calenda richiamava la sentenza n. 104 del 2024 della Corte Costituzionale, e in particolare l’esclusione della “rigida applicazione dell’indice del legame temporale in termini di mera divulgazione di un atto, necessariamente esistente e antecedente”, permettendo dunque di ricondurre il caso in specie all’interno del “medesimo contesto temporale tra atto tipico e sua divulgazione”, come specificato nella sentenza n. 221 del 2006.

Tuttavia, la proposta conclusiva, redatta dall’on. Ada Lopreiato (M5S) in qualità di relatrice, si esprimeva in senso contrario all’applicazione delle guarentigie previste dall’art. 68, comma 1: il voto della Giunta del 1 ottobre è stato conforme a tale orientamento, approvando la proposta con il consenso dei membri dei gruppi Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Italia Viva e l’astensione dei gruppi di maggioranza. Il 29 ottobre l’Aula si è espressa sulla stessa linea, collocandosi quindi nella scia della giurisprudenza costituzionale ormai consolidata e del tendenziale orientamento delle Giunte in materia.

Durante il dibattito in Giunta il tema maggiormente problematico, al di là dell’effettiva idoneità della garanzia disciplinata dal primo comma dell’art. 68 a coprire dichiarazioni potenzialmente assai lesive della reputazione e dell’onorabilità del destinatario, ha riguardato la possibilità di instaurare un nesso funzionale tra le opinioni espresse dall’on. Calenda e gli atti posti in essere da un altro parlamentare, sebbene appartenente al medesimo gruppo. Ferma restando la validità della costante giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di insindacabilità in presenza di un nesso funzionale con atti di esercizio del mandato parlamentare caratterizzati da un’omogeneità tanto temporale quanto contenutistica, sebbene non necessariamente con l’utilizzo dei medesimi termini[2], non appariva possibile adottare un’interpretazione analogica dell’art. 68, primo comma, Cost. Ciò risultava ulteriormente corroborato dall’assenza di qualsiasi riferimento ai gruppi parlamentari tanto nell’art. 68 Cost. quanto nell’art. 135 del Regolamento del Senato e nell’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, dove tra l’altro si menziona la connessione con la funzione “di parlamentare” per l’insindacabilità dell’attività espletata fuori dalle Camere, evidenziando così il carattere individuale e non collettivo di tali guarentigie; appare dunque pacifico come non sia rinvenibile alcuna disposizione tale da permettere una sorta di “immedesimazione organica” del singolo parlamentare nelle posizioni espresse da qualsiasi altro componente del gruppo di riferimento. Peraltro, all’epoca dei fatti l’on. Calenda non era membro del gruppo di Azione, in quanto esso si era sciolto nel novembre 2023, bensì della componente “Azione-Renew Europe” del Gruppo Misto: di conseguenza, un’eventuale interpretazione ultra-estensiva dell’art. 68, comma 1, avrebbe dovuto spingersi fino a ricomprendere perfino le componenti del Gruppo Misto riconducibili a un gruppo parlamentare attivo nell’altra camera. In generale, se appare assai arduo superare i principi della personalità di voti e opinioni espresse, lo è altrettanto ricondurre a tutti i membri dello stesso partito le dichiarazioni extra moenia effettuate da un singolo esponente.

Inoltre, la giurisprudenza costituzionale in materia è del tutto omogenea e univoca: in numerose pronunce la Consulta ha chiarito l’irrilevanza di atti costituenti esercizio di funzioni parlamentari posti in essere da altri membri delle Camere, anche se riproduttivi o divulgativi delle opinioni espresse extra moenia dal deputato o senatore coinvolto nel procedimento, dal momento che la norma costituzionale indica una "correlazione soggettiva che è indefettibile per la responsabilità penale e costituisce la regola generale per quella civile e amministrativa”[3], mentre è da escludersi la c.d. “insindacabilità di gruppo”[4] (ex multis, Corte Cost., sentenze n. 347/2004, n. 146/2005, n. 249/2006, n. 452/2006, n. 304/2007, n. 134/2008, n. 135/2008, n. 39/2012). In ogni caso, nella sentenza n. 347/2004 la Corte chiarisce che, in caso di prosecuzione del procedimento innanzi al giudice penale, la circostanza dell’identità di oggetto con gli atti parlamentari di altri deputati o senatori può tornare a rilevare al fine di escludere l’intento diffamatorio qualora emerga l’esercizio del diritto di critica politica. Tuttavia, tale accertamento è di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria, senza che la Camera di appartenenza possa effettuare alcuna valutazione in merito.

Per altro verso, mancavano del tutto elementi in grado di far emergere dall’attività parlamentare del sen. Calenda una riproposizione delle tematiche oggetto delle dichiarazioni reputate lesive dal sindaco di Benevento, non risultando sufficiente una generica “attività politica” effettuata dal parlamentare in assenza di atti quantomeno presentati nella camera di appartenenza (ex plurimis, si veda la chiara esclusione operata nella sentenza n. 144 del 2015 della possibilità di applicare estensivamente la prerogativa dell’insindacabilità a “tutte quelle occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando opinioni imputabili o riconducibili alla carica ricoperta e non riferibili alla propria sfera privata di interessi”[5]).

Un ultimo cenno non può non riguardare la sentenza n. 104 del 2024, più volte citata durante il dibattito in Giunta: in tale pronuncia, infatti, la Consulta si è espressa nel senso del superamento della rigidità degli elementi costitutivi del nesso funzionale, definendo la corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio dell’attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale tra quanto affermato extra moenia e gli atti intra moenia come meri “indici rivelatori, per quanto particolarmente consistenti e qualificati, e non già di elementi costitutivi di una fattispecie puntualmente delineata dalla Costituzione o dalla legge”[6]. Ne consegue che l’insindacabilità si può applicare anche nel caso di “dichiarazioni rese extra moenia, non necessariamente connesse ad atti parlamentari ma per le quali si ritenga nondimeno sussistente un evidente e qualificato nesso con l’esercizio della funzione parlamentare”[7], una circostanza che la sentenza n. 133 del 2018 aveva configurato solo come “non da escludere, in astratto”[8]. Tuttavia, anche se la Consulta ha ammesso la garanzia costituzionale di “opinioni che, iscrivendosi in un contesto politico, siano funzionali all’esercizio dell’attività parlamentare”[9], appare assai arduo far rientrare nel perimetro dell’art. 68, comma 1, tanto la questione dell’insindacabilità di gruppo quanto, in sé, le espressioni rivolte all’indirizzo di Clemente Mastella, certamente apparse ancora più lesive della reputazione del destinatario per la formulazione sintattica del post, ma comunque idonee a ingenerare nel pubblico un’indebita equiparazione delle posizioni dei soggetti citati con riferimento ai rapporti con la criminalità organizzata.

 

[1] Disponibile all’indirizzo https://www.ansa.it/campania/notizie/2024/04/03/azionemai-detto-mastella-mafioso.riferimento-a-sentenza-cuffaro_56a52fd9-9ee6-4d15-a5c2-4e8106b48749.html.

[2] Tale valutazione risulta attuale anche a seguito della sentenza n. 104 del 2024 della Corte Costituzionale, che si è limitata a chiarire la non tassatività degli indici rivelatori, non andando però a metterne in discussione la validità, v. più approfonditamente infra.

[3] Corte Cost., sent. n. 347 del 2004, Considerato in diritto, § 5.

[4] Tra l’altro, la sentenza n. 28/2008 chiarisce che l’insindacabilità di gruppo non sia configurabile neanche quando l’atto parlamentare con il quale si asserisce il nesso funzionale sia stato sottoscritto da una consistente frazione dei componenti del gruppo parlamentare di appartenenza, ma non dal deputato o senatore oggetto del procedimento.

[5] Corte Cost., sent. n. 144 del 2015, Considerato in diritto, § 5.

[6] Corte Cost., sent. n. 104 del 2024, Considerato in diritto, § 7.3.

[7] Corte Cost., sent. n. 133 del 2018, Considerato in diritto, § 3.1.

[8] Funditus, T.F. Giupponi, I limiti dell’insindacabilità parlamentare nelle sentt. nn. 59 e 133 del 2018. La Corte costituzionale ancora tra forma e sostanza, in vista di una svolta dai confini incerti, in Forum di Quaderni costituzionali, 23 febbraio 2019.

[9] Corte Cost., sent. n. 104 del 2024, Considerato in diritto, § 7.3.1.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

L’Osservatorio sulle fonti è stato riconosciuto dall’ANVUR come rivista scientifica e collocato in Classe A.

Contatti

Per qualunque domanda o informazione, puoi utilizzare il nostro form di contatto, oppure scrivici a uno di questi indirizzi email:

Direzione scientifica: direzione@osservatoriosullefonti.it
Redazione: redazione@osservatoriosullefonti.it

Il nostro staff ti risponderà quanto prima.

© 2017 Osservatoriosullefonti.it. Registrazione presso il Tribunale di Firenze n. 5626 del 24 dicembre 2007 - ISSN 2038-5633