(aggiornato al 28.02.2012)
Nel periodo di riferimento Ottobre 2011 – Gennaio 2012, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (d’ora in poi, indicata con l’acronimo A.G.Com.) ha adottato due rilevanti provvedimenti di natura regolamentare atti a incentivare lo sviluppo delle infrastrutture fisiche e dei servizi di rete di nuova generazione (cd. N.G.N.). Si tratta, in primo luogo, della Delibera n. 622/11/CONS, rubricata “Regolamento in materia di diritti di installazione di reti di comunicazione elettronica per collegamenti dorsali e coubicazione e condivisione di infrastrutture”[1], nonché della Delibera n. 1/12/CONS, denominata “Individuazione degli obblighi regolamentari relativi ai servizi di accesso alle reti di nuova generazione”[2].
I due provvedimenti, letti nel loro insieme, costituiscono una cornice di riferimento per la realizzazione delle reti in fibra sul territorio nazionale, delineando un percorso regolamentare che, in coerenza con le indicazioni di ambito europeo, si articola secondo tre passaggi logici: dalla definizione delle regole che presiedono alla posa e al passaggio delle infrastrutture, agli incentivi per investimenti sulla rete e, infine, all’individuazione dei remedies atti a garantire la piena competizione sui servizi.
Analizziamo i due regolamenti nel dettaglio.
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Delibera n. 622/11/CONS
Il “Regolamento in materia di diritti di installazione di reti di comunicazione elettronica per collegamenti dorsali e coubicazione e condivisione di infrastrutture” si ispira a due principi chiave: quello della semplificazione e dell’armonizzazione delle quadro normativo vigente, con specifico riguardo alle procedure adottate dagli enti locali, atte a consentire agli operatori la realizzazione sul territorio di nuove reti a larga banda, e alla definizione dei criteri per l’accesso alle infrastrutture pubbliche preesistenti utili alla ramificazione di reti di comunicazione elettronica (strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, porti, interporti...). L’Autorità, in altri termini, ha ritenuto che lo sviluppo di infrastrutture a rete potesse essere implementato, semplificando e velocizzando i procedimenti sottesi al rilascio dei permessi. In tal guisa, l’Autorità, dietro consultazione pubblica con gli stakeholders, con la medesima Delibera ha adottato un regolamento e anche un documento contenente un insieme di Linee guida programmatiche e di indirizzo.
Le due tipologie di atti sono diversi, non nell’oggetto, ma nel grado di vincolatezza delle misure introdotte. Il contenuto dei regolamenti predisposti dagli enti pubblici in ordine ai diritti di passaggio e di accesso alle infrastrutture pubbliche, appare, dunque, previamente orientato dall’Autorità, mediante una disciplina di natura vincolante che ne delinea a monte caratteristiche e contenuti essenziali: lo scopo ultimo è quello di evitare che l’eccessiva frantumazione delle regole di settore da parte dei singoli enti pubblici e territoriali contrasti con lo sviluppo armonico delle reti, anzi si riveli di ostacolo alla libera l’iniziativa imprenditoriale.
D’altronde, le esigenze connesse alla individuazione di regole omogenee di livello nazionale, in ragione della esigenza di uniformità del sistema, è stata da tempo sottolineata dalla stessa Corte costituzionale[3], secondo la quale ciascun impianto di telecomunicazione costituisce parte integrante di una complessa ed unitaria rete nazionale, sicché non è neanche immaginabile una parcellizzazione di interventi nella fase di realizzazione di una tale rete. Pertanto, una differenziazione nelle modalità di costruzione e accesso delle reti nei singoli territori potrebbe acuire le iniziali condizioni di asimmetria territoriale. A tal proposito, le Linee guida (Allegato 1 della Delibera) contengono misure di dettaglio non vincolanti, in funzione accessoria rispetto al regolamento, a loro volta finalizzate a orientare in anticipo le amministrazioni e le parti coinvolte nei procedimenti amministrativi in ordine alla semplificazione delle procedure, e a favorire l’adozione di procedure autorizzatorie uniformi sul territorio nazionale mediante la fissazione di regole comuni.
Il secondo principio cui si ispira l’azione dell’Autorità, introdotto nel regolamento come obbligazione vincolante, si riconnette direttamente alla economicità e celerità delle operazioni di infrastrutturazione, e si basa sulla imposizione di obblighi di condivisione tra operatori delle rispettive piattaforme per la realizzazione di reti di nuova generazione.
L’obbligo di condivisione della infrastruttura, a ben riflettere, appare diretto a evitare un evento temuto, ossia che l’operatore autorizzato alla realizzazione dell’opera civile predisponga strozzature nell’accesso alla stessa da parte terzi dei soggetti, assumendo, in tal guisa, una condotta in contrasto con la garanzia dell’equilibrio competitivo delle piattaforme.
Si tratta, pertanto, di una misura di carattere “simmetrico”. Mentre l’obbligo asimmetrico viene imposto esclusivamente in capo all’operatore incumbent, in ragione della pregressa situazione di vantaggio che questi vanta rispetto agli altri concorrenti, al fine di equiordinare le alterne condizioni di partenza, l’obbligo simmetrico riguarda indifferentemente un qualsiasi soggetto che, per primo, realizza l’infrastruttura e ne detiene il controllo, a prescindere dalla pregressa posizione di dominanza. La finalità del remedy è quindi quella di evitare a monte comportamenti volti a realizzare strozzature concorrenziali nell’accesso all’infrastruttura mediante i cd. bottleneck, che rendono la duplicazione economicamente inefficiente o fisicamente impraticabile. Il regolatore francese da tempo ha imposto un obbligo simmetrico in capo agli operatori non dominanti che realizzano il cablaggio verticale del palazzo: l’obbligo consiste nel mettere a disposizione la nuova infrastruttura ai soggetti richiedenti, limitando il rischio di creazione di un monopolio sulle piattaforme[4].
In conclusione, questo regolamento coniuga l’esigenza della semplificazioni ed economicità delle procedure con quello della competizione, accesso aperto, non discriminazione delle piattaforme delle nuove reti. A tal fine, il regolamento dispone altresì della istituzione di un Catasto delle infrastrutture, ovvero di un inventario nazionale destinato ad agevolare l’accesso ai dati comunicati dai vari soggetti che ne sono in possesso, rendendo disponibili agli operatori le informazioni delle strutture di posa esistenti.
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Delibera n. 1/12/CONS
Il secondo regolamento si pone in logica prosecuzione delle norme atte a stimolare le opera civili di infrastrutturazione: sotto tale punto di vista, esso persegue un duplice obiettivo, ovvero quello di incentivare la propensione dei privati a effettuare un investimento rischioso – poiché dalla costruzione di una rete futura deriva un ritorno economico dal carattere incerto – e garantire, al contempo, la piena competizione fra gli attori del mercato a valle.
In tal guisa, il regolamento si ispira al principio della c.d. ladder of investment previsto dalla Commissione europea nell’ambito della Raccomandazione del 20 settembre 2010, relativa all’accesso regolamentato alle reti di nuova generazione, introducendo regole conformative delle condotte degli operatori privati, “elastiche” rispetto alle condizioni del mercato, e aventi efficacia graduata nel tempo e nello spazio.
Divideremo il discorso in due parti, uno attinente al procedimento di approvazione, l’altro riguardante il suo contenuto.
- Quanto al procedimento di approvazione del regolamento
Si tratta di un atto di natura regolamentare preceduto da una sostanziale duplice consultazione pubblica[5], ancorché la seconda consultazione sia stata ritenuta dalla Autorità “integrativa” della prima. Il provvedimento normativo appare, pertanto, caratterizzato dall’essere una fattispecie a formazione progressiva. Difatti, la prima consultazione è stata indetta con Delibera 1/11/CONS, rubricata “Consultazione pubblica in materia di regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione”[6], la cui proposta di articolato, sottoposta all’attenzione degli stakeholders, è contenuta in un allegato alla stessa.
Il successivo step è contenuto nella Delibera 310/11/cons: qui lo schema di provvedimento che l’Autorità si appresta a notificare alla Commissione europea, ai sensi dell’articolo 12 del Codice delle Comunicazioni elettroniche, risulta arricchito dalle sintesi delle osservazioni dei soggetti intervenuti durante la prima consultazione, nonché dalle valutazioni dell’Autorità in merito. Pertanto, la nuova proposta di articolato precisa numerosi aspetti e presenta un maggior dettaglio nell’individuazione degli obblighi regolamentari rispetto a quanto riportato dalla prima Delibera, in coerenza con la natura “porosa” del procedimento sotteso alla regolamentazione partecipata, atto a prendere in considerazione le indicazioni provenienti dal basso, recepirle o discostarsene con motivazione. Il modello di partecipazione all’eteronormazione contribuisce, una volta realizzato, a restituire democraticità alle Autorità, in ragione di una «legittimazione guadagnata sul campo, accertabile di volta in volta, variabile nel grado in ragione della capacità di conformare le condotte degli uomini, temporanea, perché non acquisibile in via definitiva e, come tale, sottoposta a verifiche continue[7]».
L’Autorità ha dunque ritenuto opportuno sottoporre lo schema di provvedimento a una nuova consultazione pubblica nazionale – svolta parallelamente alla consultazione comunitaria – al fine di consentire ai soggetti interessati di esprimere osservazioni aggiuntive sugli elementi di novità introdotti rispetto agli orientamenti espressi dalle parti intervenute nella prima fase.
Occorre interrogarsi sulla liceità di un procedimento partecipativo che si articola in più fasi. Teoricamente, la sottoposizione a nuova consultazione pubblica di una proposta di articolato già oggetto di precedenti osservazioni da parte dei regolati potrebbe andare a detrimento dei principi di snellezza e celerità che caratterizzano l’agire della Pubblica Amministrazione; sotto altro punto di vista, tuttavia, la costante attenzione rivolta dall’Autorità nei confronti degli stakeholders potrebbe apportare un vantaggio effettivo, lì dove contribuisca a produrre regole «congeniali» a chi poi dovrà seguirle.
Nell’ottica di un bilanciamento proporzionato e ragionevole fra interessi contrapposti potrebbe, quanto meno in linea di principio, ammettersi la possibilità di indire più consultazioni su schemi di regolamento che investono materie particolarmente complesse, qualora ciò conduca a una regolamentazione “buona e giusta”. In punto di diritto, invece, la Delibera 453/03/CONS[8] (disciplina madre concernente la procedura di consultazione) non è esplicito sul punto, né l’attuale versione del Codice delle Comunicazioni elettroniche, all’art. 11, mostra aperture. Tuttavia, il nuovo Testo del Codice delle Comunicazioni elettroniche, di recepimento del pacchetto Direttive del 2009, nella versione a sua volta sottoposta consultazione pubblica da parte del Ministero[9] prevede la possibilità di indire una nuova consultazione (in ambito nazionale ed europeo) qualora dalla Decisione della Commissione derivino modifiche rilevanti[10]. Ciò appare sintomatico del fatto che gli elementi di novità introdotti su di uno schema di provvedimento, qualora appaiono numerosi e rilevanti, possono indurre l’Amministrazione a indire una nuova consultazione atta a evitare che la decisione finale, nel raccogliere i suggerimenti provenienti dal basso, non finisca con lo sviare dal fine suggeritole, producendo un rimedio regolamentare peggiore del male che si vuole evitare.
Nel caso specifico, tuttavia, vi è almeno un elemento di diversità rispetto a quanto prospettato nella nuova versione del Codice delle comunicazioni elettroniche: le modifiche registrate, che hanno indotto l’Autorità a indire la seconda consultazione, non derivano dalle osservazioni della Commissione, piuttosto vengono filtrate dal basso, cioè dalle ragioni addotte dagli stakeholders che presero parte alla prima consultazione risalente al gennaio 2011. Sicché, le osservazioni della Commissione intervengono una sola volta, perché l’Autorità, come da d.lgs. 297/03, è tenuta a sottoporre alla Commissione lo schema definitivo di regolamento, e quindi non la prima bozza, che è ancora un preliminare, ma la delibera successiva, che contiene la versione definitiva dell’articolato.
Potrebbe allora concludersi nel senso che la procedura di consultazione impiegata, benché si componga di due appelli al pubblico diacronicamente scadenzati nel tempo[11], sia da ritenersi formalmente unica. Difatti, il meccanismo della consultazione (nazionale e comunitaria) si compie soltanto nella seconda fase. Cioè il primo schema di provvedimento, risalente a gennaio 2011, non è stato mai sottoposto all’attenzione di Bruxelles, poiché la delibera iniziale non conteneva una vera e propria proposta regolamentare, bensì lineamenti di future policy regolatorie, rivedibili alla luce delle osservazioni raccolte nel corso della consultazione[12]. Si tratta, quindi, di un’unica consultazione, costruita nel tempo, a discapito della celerità dell’adozione delle norme, ma forse a vantaggio della bontà delle stesse.
B. Quanto al contenuto del provvedimento.
Anticipiamo il contenuto dei rimedi regolatori introdotti dall’A.G.Com., per poi analizzarne il dettaglio.
Secondo il regolamento finale, l’incumbent è tenuto a garantire in primo luogo l’unbundling fisico alle proprie infrastrutture passive, ancorché in presenza delle condizioni tecniche e di mercato atte a consentirlo (art. 3 e 4); nell’attesa che le suddette condizioni si avverino, l’incumbent è tenuto a fornire in via transitoria il servizio end to end, ma solo compatibilmente con il proprio piano di investimenti (programmazione degli ordini e studio di fattibilità); altrimenti, in ultima istanza, a garantire un unbundling di tipo virtuale, ovvero il servizio VULA – una sorta di bitstream più controllabile dal punto di vista della configurazione dei servizi dagli operatori (art. 5) – o ancora un servizio bitstream in senso tradizionale, ma con prezzi regolamentati (art. 5 e 9).
Analizziamo i singoli rimedi nel loro dettaglio.
i) Il rimedio dell’unbundling (cd. ULL) consiste nella possibilità, riconosciuta in capo ai nuovi operatori telefonici, di utilizzare le infrastrutture esistenti di proprietà di altro operatore, al fine di offrire ai clienti servizi propri, dietro pagamento di un canone all’operatore legalmente proprietario delle infrastrutture preesistenti. Tale rimedio, che apporta il vantaggio per gli OLO di gestire in proprio la parte di rete finale che li collega all’utente, è stato contemplato dall’Autorità a seguito delle osservazioni della Commissione in una lettera di commento[13], ma al contempo la sua fattibilità è stata sottoposta dalla stessa A.G.Com. a doppia condizione, cioè compatibilità tecnica e sviluppo infrastrutturale, che in diritto si traduce nell’essere meramente potestativa, cioè nulla, perché il suo avverarsi dipende dalla volontà dell’obbligato alla misura asimmetrica.
Quest’ultimo, ad oggi, per la costruzione della rete in fibra si avvale della tecnologia GPON punto-multipunto, che dal punto di vista tecnico non consente la realizzazione dell’unbundling: l’operatore SMP vive, pertanto, un fisiologico conflitto di interessi, in quanto sarà indotto a non realizzare nel tempo le condizioni tecniche atte a consentire l’accesso degli OLO alla propria rete. In altri termini, si lascia all’incumbent la scelta delle tecnologie da impiegare, che potrebbero essere proprio quelle che non garantiscono l’unbundling.
Ma l’Autorità poteva consentire ciò?
In realtà, la stessa Commissione sembra procedere a passo di gambero nella lettera del giugno 2011: in linea di principio, la Commissione riteneva possibile imporre l’obbligo asimmetrico dell’unbundling per le fibre a prescindere dall’architettura di rete e dalla tecnologia impiegata dall’operatore SMP, ai sensi del punto n. 23 della Raccomandazione sulle reti di accesso di nuova generazione, ma poi rimette all’Autorità la valutazione ultima sull’obbligatorietà del rimedio lì dove non fosse tecnicamente compatibile con l’architettura concretamente adottata dall’incumbent.
L’Autorità, dal canto suo, non solo ha ritenuto di non essere legittimata a imporre a TI – che gode di piena libertà imprenditoriale nell’adozione delle scelte architetturali – l’adozione di una determinata tecnologia compatibile con l’unbundling fisico, ma ha ulteriormente condizionato la fattibilità dell’obbligo legandolo all’avverarsi di una nuova condizione, ovvero lo sviluppo del mercato e delle infrastrutture. Nel caso specifico, quindi, l’Autorità ha tenuto in considerazione le osservazioni della Commissione, ma se ne è in parte discostata, ancorché motivando la sua scelta, introducendo una condizione ulteriore per l’operatività obbligatoria del rimedio, e rimettendo la scelta della tecnologia all’incumbent[14].
ii) Per garantire la concorrenza fra piattaforme nel breve periodo, l’A. introduce un nuovo obbligo asimmetrico a carico di TI, ma graduato e rivedibile nel tempo. Il servizio end to end consiste nell’obbligo di TI di offrire agli operatori che ne faranno richiesta tratti di fibra ottica spenta che gli stessi dovranno affittare e preoccuparsi di attivare al fine di fornire i loro servizi. Il rimedio end to end comporta quindi che l’operatore SMP costruisca “pezzi di rete” necessari all’operatore al fine di raggiungere autonomamente il cliente finale. La Commissione aveva ritenuto che l’obbligo di fornire il servizio suddetto comprendesse un obbligo di costruzione – inteso come rimedio proporzionato in materia di accesso – solo in via transitoria, fino a quando non fosse disponibile l’accesso alla fibra già costruita da TI, e anche nei casi in cui il richiedente l’accesso avesse chiesto tale servizio al di fuori del cd. “meccanismo di programmazione degli ordinativi e studio di fattibilità” (art. 21 e 14 bis del regolamento)[15].
L’Autorità ha ritenuto, pertanto, di non essere legittimata a imporre a TI di adottare una specifica tecnologia che consentisse l’unbundling, e ha optato per l’imposizione del rimedio end to end, considerato più tecnicamente simile all’unbundling e in grado di svincolare gli OLO dalle particolari scelte architetturali di TI. Tuttavia, i richiedenti potranno inoltrare i loro ordinativi a TI soltanto compatibilmente con i meccanismi di programmazione degli ordinativi di cui all’art. 21 del regolamento e degli studi di fattibilità dell’art. 14 dello stesso. In altri termini il nuovo rimedio, che presenta il pregio di conciliare le esigenze legate alla tecnologia impiegata da TI con l’iniziativa degli OLO, appare insufficiente lì dove la richiesta di questi ultimi dovrà risultare compatibile con il piano di investimenti: se la richiesta è eccessiva rispetto al piano, l’OLO non potrà disporre della tratta fisica.
iii) In caso di rifiuto, TI sarà tenuta a fornire un servizio VULA (virtual unbundled local access, cfr. p. 11 del regolamento) o bitstream. Anche qui il regolamento reca un miglioramento significativo rispetto alla prima bozza: qui l’obbligo di garantire l’orientamento al costo veniva meno in ragione della “concorrenza infrastrutturale”, ovvero la mera presenza (o probabile presenza) di una infrastruttura alternativa rispetto a quella dell’incumbent. Nel testo ultimo del regolamento, invece, sussiste l’obbligo dell’orientamento al costo, e del calcolo di un risk premium che vada a remunerare l’investitore nelle aree geografiche, solo dove sussista una concorrenza infrastrutturale; lì dove invece emerga un livello di “concorrenza sostenibile”, evidenziato da opportune analisi economiche condotte in futuro dall’Autorità, i prezzi potranno essere fissati nel mero rispetto del principio di non discriminazione.
Quindi, il calcolo del prezzo per l’accesso all’ingrosso alla banda larga appare rimedio graduato in ragione del grado di concorrenza evidenziato dall’Autorità nelle singole aree geografiche: dove più alto è il livello di competizione, il rimedio si diluisce in senso inversamente proporzionale. La differenziazione dei prezzi del servizio su base geografica, d’altronde, appare rimedio coerente con il Commission staff working document allegato alla Raccomandazione NGN, che introduce la differenziazione geografica dei rimedi nonché la possibilità di introdurre alcuni elementi di flessibilità nella definizione dei prezzi.
iv) Infine, il regolamento rinvia a provvedimenti futuri della stessa Autorità la specificazione di ulteriori rimedi a sostegno della competizione sulle nuove reti: la delibera A.G.Com. prevede, infatti, che nel tempo siano avviati i procedimenti atti a definire la disciplina delle tecnologie Vdsl avanzate (cd. vectoring[16] e bonding), l’eventuale previsione di obblighi simmetrici di accesso alle infrastrutture, la definizione del risk premium e, più in generale, delle condizioni economiche per i servizi in questione.
In conclusione, il nuovo regolamento, pur presentando dei punti d’ombra, appare un provvedimento normativo da salutarsi con favore, in quanto, come sottolineato dal Presidente Corrado Calabrò, con questa delibera, l’Italia si colloca nel gruppo dei Paesi che hanno già completato il quadro regolamentare funzionale allo sviluppo delle reti di nuova generazione, come sollecitato dall’Agenda digitale europea, conciliando promozione degli investimenti e tutela della concorrenza.
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Questa rassegna sulle Delibere adottate dall’Autorità nel periodo considerato si conclude con la Delibera n. 147/11/CIR, rubricata “Revisione delle norme riguardanti la portabilità del numero mobile – approvazione del regolamento”[17].
La portabilità del numero (mobile number portability - MNP) consiste in una prestazione atta a consentire agli utenti che ne facciano richiesta di conservare il proprio numero telefonico fisso o mobile dopo il passaggio a un differente operatore mobile.
La delibera in oggetto è stata approvata in ottemperanza alla Direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 recante modifica della Direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. Questa Direttiva, in particolare, innova le disposizioni relative alla portabilità delle numerazioni[18]. In proposito, la Commissione Europea aveva formulato, in data 24 novembre 2011, un parere motivato rivolto ad alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, nel quale viene rilevata la mancata attuazione, entro il termine previsto del 25 maggio 2011, delle misure in essa previste.
L’Autorità ha inteso, pertanto, modificare la precedente delibera n. 78/08/CIR sulla portabilità del numero, al fine di rendere le relative procedure compatibili con le modifiche introdotte dalla citata Direttiva. L’Autorità, d’altro canto, è chiamata in prima istanza ad attuare le norme di derivazione europea, in ragione del carattere self executing della Direttiva in oggetto[19], nonché della legittimazione delle Autorità indipendenti alla disapplicazione delle norme interne eventualmente in contrasto con quelle di derivazione europea[20].
L’Autorità ha definito le misure in tema di MNP regolando in anticipo le condizioni contrattuali del rapporto fra Operatore donating" (l’operatore mobile che ha il contratto per la fornitura del servizio di comunicazioni mobili e personali con il cliente che ha chiesto la portabilità del numero), Operatore Ricevente (indicato anche come “Operatore recipient") e cliente finale.
La nuova cornice regolatoria ha dunque previsto un regime atto a semplificare il procedimento tecnico amministrativo sotteso alla portabilità del numero, alla luce dei seguenti principi:
1. ridurre i tempi per l’espletamento della portabilità entro un giorno lavorativo;
2. assicurare al cliente la continuità del servizio;
3. arginare il fenomeno del trasferimento ad altro operatore contro la volontà dei clienti stessi;
4. prevedere sanzioni adeguate per le imprese, tra cui l’obbligo di risarcire i clienti, in caso di ritardo nel trasferimento del numero o in caso di abuso di trasferimento da parte delle imprese o in nome di queste. In particolare, è stata introdotta la possibilità per il cliente di chiedere indennizzi nel caso di ritardi nella portabilità del numero L’operatore o gli operatori che causano un ritardo nella realizzazione della portabilità, rispetto ai tempi massimi previsti, corrispondono all’operatore recipient una penale, direttamente proporzionale al numero di giorni solari della inadempienza (cfr. Articolo 14).
[1] Reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=7986&.
[2] Reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=7991&.
[3] Corte Cost., n. 336 del 2005, reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/index.html.
[4] Sull’esperienza francese, cfr. M. Viggiano, La Francia: regolazione e obiettivi della banda larga e ultra larga, in G. De Minico (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete, Napoli, 2010, p. 189 sgg. Da ultimo, cfr. Delibera n. 43/12/CONS, Avvio del procedimento volto a valutare la sussistenza delle condioni per l’imposizione di obblighi asimmetrici di accesso alle infrastrutture fisiche di rete, reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=8148.
[5] Il procedimento sulla partecipazione è stato introdotto dall’articolo 7 Direttiva Quadro 2002/21/CE, così come modificato dalla Direttiva 2009/140/CE.
[6] Reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=5555.
[8] Reperibile al seguente link.
[9] Reperibile al seguente link.
[10] Articolo 7Direttiva 140/2009/CE: Consolidamento del mercato interno delle comunicazioni elettroniche:
6. Se la Commissione che ha adottato una decisione conformemente al paragrafo 5 impone all’autorità nazionale di regolamentazione di ritirare un progetto di misura, l’autorità nazionale di regolamentazione lo modifica o lo ritira entro sei mesi dalla data della decisione della Commissione. Se il progetto di misura è modificato, l’autorità nazionale di regolamentazione avvia una consultazione pubblica secondo le procedure di cui all’articolo 6 e notifica nuovamente il progetto di misura modificato alla Commissione conformemente al paragrafo 3.
Articolo 12 Codice Comunicazioni elettroniche, nuova versione sottoposta a consultazione:
Consolidamento del mercato interno per le comunicazioni elettroniche (…4 bis). Qualora la Commissione europea adotti una decisione ai sensi dell’art. 7, paragrafo 5, della direttiva 2002/21/CE, l’Autorità modifica o ritira il progetto di misura entro sei mesi dalla predetta decisione. Se il progetto di misura è modificato, l’Autorità avvia una consultazione pubblica secondo le procedure di cui all’articolo 11 e notifica nuovamente il progetto di misura modificato alla Commissione europea conformemente al comma 3.
[11] La Commissione riceveva la notifica del secondo schema, così come integrato dalle osservazioni degli stakeholders, in data 23 maggio (parallelamente allo svolgimento della consultazione nazionale) e si esprimeva con osservazioni in data 27 giugno.
[12] Cfr. Paola M. Manacorda e Giovanna De Minico (a cura di), Il ruolo delle Regioni e dei Co.Re.Com. nello sviluppo della Banda Larga, in corso di pubblicazione, da p. 40 del paper.
[13] Reperibile in al seguente link
[14] Sul punto, il parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 19 luglio 2011 (cfr. Bollettino n. 1 del 23 gennaio 2012) appare piuttosto critico. Difatti, con il servizio end to end gli OLO non disporrebbero di un adeguato grado di certezza sulla disponibilità di risorse da parte dell’incumbent, mentre quest’ultimo apparirebbe soggetto a un obbligo decisamente gravoso, quello di costruire una rete alternativa per conto di altri, e dunque sproporzionato. Infine, secondo l’antitrust la raccomandazione sulle NGN esonera le ANR dall’imporre l’unbundling soltanto ove si riscontri la presenza di una piena competizione, ovvero una molteplicità di infrastrutture alternative in combinazione con offerte di accesso competitive a valle.
[15] Nell’ambito delle consultazioni il rimedio end to end ha sollevato forti dubbi da parte degli stakeholders: in primo luogo, non ha affatto trovato il placet di TI, secondo la quale la Raccomandazione sulle NGA non prevede alcun obbligo di investire per realizzare infrastrutture alternative su richiesta e per conto di terzi operatori, ma soltanto obblighi di accesso alle infrastrutture esistenti o, nel caso in cui l’incumbent decida di investire, di costruire in modo tale che anche gli OLO possano utilizzare le infrastrutture (principio del coinvestimento). TI, sul punto, ritiene di aver soddisfatto tali obbligazioni nell’ambito degli impegni assunti nel 2009. Gli OLO, dal loro canto, hanno ritenuto che, in chiave prospettica, il rimedio non presenti alcuna certezza di fattibilità, vista l’ampia discrezionalità di cui godrebbe TI nella definizione di tempi, modalità e condizioni economiche per la realizzazione del servizio.
[16] In proposito, cfr. Delibera n. 42/12/CONS, Avvio del procedimento volto a valutare l’impatto regolamentare dell’introduzione di nuove tecniche trasmissive quali il Vectoring nello sviluppo di reti di nuova generazione, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
[17] Reperibile al seguente link.
[18] La direttiva 2009/136/CE esprime, al punto (47) della premessa, considerazioni relative alla portabilità del numero. Inoltre, l’art. 30 della Direttiva 2002/22/CE, così come sostituito dal punto 21) dell’articolo 1 della Direttiva 2009/136/CE, prevede norme mirate ad agevolare il cambiamento del fornitore del servizio che fa uso di numerazione.
[19] La questione della trasposizione delle Direttive comunitarie coinvolge a pieno titolo l’attività dell’autorità. È noto che, dal punto di vista della applicabilità interna delle fonti di derivazione europea, la Direttiva richiede una “mediazione” di diritto interno per operare all’interno dell’ordinamento degli Stati membri; tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha da tempo riconosciuta l’efficacia diretta della Direttiva nei rapporti verticali fra privati e Stato, dando ai primi la possibilità di far valere dinanzi ai giudici nazionali gli diritti e obblighi riconosciuti dalla direttiva stessa, qualora questi derivino da disposizioni chiare, precise e non condizionate. Da ultimo, l’efficacia diretta delle direttiva è stata riconosciuta anche sul piano dei rapporti orizzontali: quando una direttiva inattuata contiene norme tecniche o principi generali dell'ordinamento Ue - che, in quanto tali, nella loro trasposizione nel diritto interno non lascerebbero alcuna discrezionalità allo stato nazionale - essa è direttamente applicabile nei rapporti di diritto privato, a prescindere dal suo recepimento sul piano del diritto interno. In tema, cfr. V. Colcelli, Rapporti di diritto privato e d effetti diretti delle direttive comunitarie inattuate: il caso SEDA KÜCÜKDEVECI e il controllo sulla discrezionalità dello Stato, in Giustizia Civile, 2011, n. 5, p. 231.