Il riferimento ai «principi dell'ordinamento comunitario» nell'art. 1 della legge n. 241/1990 non configura alcun rinvio diretto e incondizionato al diritto dell'Unione
Nel secondo aggiornamento di questa Rubrica relativo all’anno 2011 si dava notizia di un’ordinanza con la quale la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia, sottoponeva alla Corte di giustizia due quesiti pregiudiziali in merito all’interpretazione degli artt. 296 TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta dei diritti fondamentali UE, relativi all’obbligo delle istituzioni ed organi dell’Unione di motivare i propri atti.
Tali domande erano volte a valutare la compatibilità con tali disposizioni dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché dell’art. 3 della legge regionale della Sicilia n. 10/1991, in base ai quali gli atti paritetici comunque vincolati in materia pensionistica possono sfuggire all’obbligo di motivazione. Allo stesso tempo, la Corte dei conti chiedeva se le medesime disposizioni UE ostassero ad una disposizione quale l’art. 21 octies, n. 2, prima frase, della legge n. 241/1990 che, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa, consente all’amministrazione di integrare la motivazione del provvedimento [amministrativo] in sede processuale. Ad avviso della Corte dei conti, infatti, il riferimento contenuto nell’art. 1 della legge n. 241/1990 ai «principi dell’ordinamento comunitario» configurava un rinvio diretto e incondizionato all’ordinamento dell’Unione, con la conseguenza, da un lato, di estendere alle situazioni interne disciplinate dalla legge anzidetta la stessa disciplina dell’obbligo di motivazione prevista per gli atti di diritto UE e, dall’altro, di rendere competente la Corte di giustizia a fornire un’interpretazione delle disposizioni UE in materia di motivazione dei provvedimenti delle istituzioni. La Corte di giustizia, con ordinanza, ha dichiarato di non essere competente a risolvere le questioni sollevate dalla Corte dei conti, dal momento che l’art. 1 della legge n. 241/1990 appena ricordato non configura alcun rinvio diretto e incondizionato al diritto dell’Unione.
In primo luogo, la Corte di giustizia ha ricordato che, secondo una giurisprudenza consolidata, essa è in linea di principio tenuta a pronunciarsi quando le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione. In applicazione di questa giurisprudenza, essa «si è ripetutamente dichiarata competente a statuire su domande di pronuncia pregiudiziale vertenti su disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni in cui i fatti della causa principale si collocavano al di fuori dell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione ma nelle quali tali disposizioni di detto diritto erano state rese applicabili dal diritto nazionale in forza di un rinvio operato da quest’ultimo al contenuto delle medesime» (par. 17). Infatti, pur trattandosi di situazioni puramente interne, vi è in tali casi un interesse certo dell’Unione a che le disposizioni o nozioni UE riprese dal diritto nazionale ricevano un’interpretazione uniforme, al fine di assicurare un trattamento identico alle situazioni interne e a quelle disciplinate dal diritto dell’Unione (paragrafi 18 e 19; per un excursus della giurisprudenza relativa alla competenza pregiudiziale della Corte di giustizia in situazioni puramente interne si rinvia all’ordinanza della Corte dei conti, pubblicata in questa Rubrica, e alla nota introduttiva alla stessa). Tuttavia, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie non si configurasse alcun rinvio né diretto né incondizionato al diritto dell’Unione. In primo luogo, l’art. 1 della legge 241/1990 rinvia in modo generale ai «principi dell’ordinamento comunitario», e non specificamente agli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ovvero ad altre disposizioni del diritto dell’Unione relative all’obbligo di motivazione dei provvedimenti (par. 25). Inoltre, sia la legge 241/1990 che la legge regionale della Sicilia n. 10/1991 prevedono norme specifiche in materia di obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (paragrafi 23-24). Allo stesso modo, il generico riferimento ai «principi dell’ordinamento comunitario» nell’art. 1 della legge 241/1990 non può essere considerato un rinvio «incondizionato» al diritto dell’Unione, tale da rendere le disposizioni UE in materia di obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi applicabili senza limiti alle fattispecie considerate dalla normativa nazionale (par. 27). A questo proposito, ha osservato la Corte, il giudice a quo non aveva in alcun modo affermato che il riferimento ai «principi dell’ordinamento comunitario» nell’art. 1 della legge 241/1990 era da ritenersi volto ad escludere l’applicazione delle norme nazionali sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi in favore degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta UE (par. 28). Pertanto, la Corte ha statuito che «né la decisione di rinvio, né la legge n. 241/1990 apportano indicazioni sufficientemente precise dalle quali potrebbe dedursi che, richiamandosi, all’art. 1 della legge n. 241/1990, ai principi del diritto dell’Unione, il legislatore nazionale abbia inteso, con riferimento all’obbligo di motivazione, realizzare un rinvio al contenuto delle disposizioni degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta o ancora ad altre disposizioni del diritto dell’Unione inerenti all’obbligo di motivazione dei provvedimenti, al fine di applicare un trattamento identico alle situazioni interne e a quelle disciplinate dal diritto dell’Unione» (para. 29). Per tali motivi, la Corte non ha ravvisato l’esistenza di un interesse certo dell’Unione a che sia preservata l’uniformità di interpretazione delle disposizioni già menzionate relative all’obbligo di motivazione dei provvedimenti delle istituzioni e organi dell’Unione (ibidem).
[1] Ordinanza del 21 dicembre 2011, terza sezione.