Le disposizioni dei Trattati in materia di libera prestazione dei servizi ostano ad una normativa nazionale, quale l’art. 38, commi 2 e 4, del “Decreto Bersani”, tramite la quale uno Stato membro protegge le posizioni commerciali degli operatori esistenti del settore dei giochi d’azzardo imponendo solo ai nuovi concessionari il rispetto di distanze minime.
Dalla sentenza in via pregiudiziale del 6 marzo 2007 nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica e a. (in Raccolta, p. I-1891), risultava l’incompatibilità con gli artt. 43 e 49 CE (ora, artt. 49 e 56 TFUE) di alcuni aspetti della normativa italiana che, all’epoca dei fatti, disciplinava l’attività di organizzazione di giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse. In particolare, la Corte aveva censurato l’esclusione dalla possibilità di esercitare tali attività degli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati. A tal proposito, la Corte aveva osservato che, «[p]er quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (..) Tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo. Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori» (par. 63).
Il legislatore italiano ha provveduto ad adeguare l’ordinamento interno ai precetti enunciati dalla Corte di giustizia in Placanica con il Decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (di seguito, il decreto Bersani).[2] Con la sentenza nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Marcello Costa e Ugo Cifone, la Corte ha rilevato, tuttavia, l’incompatibilità con gli artt. 43 e 49 CE di alcune disposizioni previste dal decreto Bersani.
In primo luogo, il giudice del rinvio interrogava, in sostanza, la Corte circa la compatibilità con gli artt. 43 e 49 CE di una disposizione quale l’art. 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani, secondo cui i concessionari che hanno ottenuto la concessione a seguito delle nuove gare indette dal medesimo decreto devono insediarsi ad una distanza minima dai concessionari già esistenti.[3] La Corte di giustizia ha dapprima ricordato che «le autorità pubbliche che rilasciano concessioni in materia di giochi d’azzardo sono tenute a rispettare le norme fondamentali dei Trattati, e segnatamente gli articoli 43 CE e 49 CE, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva» (par. 54; si vedano anche le sentenze del 3 giugno 2010, Sporting Exchange, C-203/08, in Raccolta, p. I-4695, par. 39, e del 9 settembre 2010, Engelmann, C-64/08, non ancora pubblicata in Raccolta, par. 49). In particolare, la Corte ha precisato che «[i]l principio di parità di trattamento impone (..) che tutti i potenziali offerenti dispongano di uguali opportunità, ed implica dunque che costoro siano assoggettati alle medesime condizioni» e che ciò «vale a maggior ragione in una situazione (...) in cui una violazione del diritto dell’Unione da parte dell’autorità aggiudicatrice interessata ha già avuto come conseguenza una disparità di trattamento in danno di alcuni operatori» (par. 57). Quindi, la Corte ha affermato che l’obbligo per i nuovi concessionari di rispettare delle distanze minime dai concessionari già esistenti implica una discriminazione nei confronti dei primi, poiché una misura siffatta «ha come effetto di proteggere le posizioni commerciali acquisite dagli operatori già insediati a discapito dei nuovi concessionari, i quali sono costretti a stabilirsi in luoghi meno interessanti dal punto di vista commerciale rispetto a quelli occupati dai primi» (par. 58). Come risulta da una giurisprudenza costante, «ragioni di natura economica – come l’obiettivo di garantire agli operatori [già insediati] la stabilità finanziaria o una giusta remunerazione degli investimenti realizzati – non possono essere riconosciute quali motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato» (par. 59; si veda anche la sentenza dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C-384/08, in Raccolta, p. I-2055, paragrafi 53-56). La Corte ha poi respinto le giustificazioni addotte dal Governo italiano a sostegno della compatibilità della prescrizione sulle distanze minime con il diritto dell’Unione. In particolare, la Corte ha affermato che l’Italia non può utilmente richiamare l’esigenza di ridurre le occasioni di gioco, dal momento che per lungo tempo il settore dei giochi d’azzardo è stato caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali (par. 62). Allo stesso tempo, sebbene l’esigenza di incanalare le attività di gioco d’azzardo entro circuiti controllati costituisca, in astratto, una valida giustificazione, il fatto che la norma sulle distanze minime sia imposta esclusivamente ai nuovi concessionari induce a ritenere che l’obiettivo realmente perseguito attraverso tale misura sia piuttosto quello di proteggere le posizioni commerciali degli operatori già insediati (paragrafi 63-65).
In secondo luogo, il giudice del rinvio interrogava la Corte circa la compatibilità con gli artt. 43 e 49 CE delle nuove ipotesi di decadenza dalla concessione introdotte a seguito del decreto Bersani. In particolare, l’art. 23 dello schema di convenzione tra l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) e l’aggiudicatario della concessione relativa ai giochi d’azzardo diversi dalle corse dei cavalli prevedeva la decadenza dalla concessione, nonché l’incameramento delle garanzie pecuniarie costituite allo scopo di ottenerla, qualora:
– venisse avviato nei confronti del titolare della concessione, ovvero del suo legale rappresentante o dei suoi amministratori, un procedimento penale per qualsiasi ipotesi di reato «suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS» (art. 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione), oppure
– il titolare della concessione commercializzasse, sul territorio nazionale od attraverso siti telematici situati al di fuori dei confini nazionali, giochi d’azzardo assimilabili a quelli gestiti dall’AAMS ovvero giochi d’azzardo proibiti dall’ordinamento giuridico nazionale (art. 23, comma 3, dello schema di convenzione).
Come evidente, pur trattandosi formalmente di ipotesi di decadenza dalla concessione, queste ipotesi costituivano in pratica dei veri e propri presupposti per l’ottenimento della concessione. Pertanto, la Corte di giustizia ha ricordato che certamente «una normativa nazionale (...) la quale subordini l’esercizio di un’attività economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione, costituisce un ostacolo alle libertà così garantite dagli articoli 43 CE e 49 CE» (par. 70). Tuttavia, il diritto dell’Unione ammette simili restrizioni, quando esse «[rientrano] tra le misure in deroga espressamente previste dagli articoli 45 CE e 46 CE [ora, artt. 51 e 52 TFUE], o possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che esse rispettino i requisiti di proporzionalità risultanti dalla giurisprudenza della Corte» (par. 71). Anche in questo caso, la Corte si è richiamata all’obbligo dell’autorità di rispettare il principio di trasparenza, essenziale ad assicurare sia l’uguaglianza tra coloro che intendono operare nel settore del gioco d’azzardo che la certezza del diritto. Quest’ultima esige, infatti, che «le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare quando esse possano avere conseguenze sfavorevoli per gli individui e le imprese» (paragrafi 73 e 74). Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto che l’esclusione di operatori i cui gestori abbiano riportato condanne penali può in linea di principio essere considerata come una misura giustificata dall’obiettivo della lotta contro la criminalità (par. 76). Tuttavia, se, da un lato, il riferimento contenuto nell’articolo 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione alle «ipotesi di reato di cui alla legge 19 marzo 1990, n. 55» sembra soddisfare le esigenze sopra descritte, dall’altro, lo stesso non sembra potersi dire per quanto riguarda il riferimento operato dalla medesima disposizione a «ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS». In ogni caso, spetta al giudice nazionale verificare il rispetto, anche in questa seconda ipotesi, degli obblighi imposti dal principio di trasparenza (par. 79). Parimenti, il giudice nazionale deve verificare anche il carattere proporzionato delle restrizioni: in particolare, la Corte ha affermato che «un’esclusione dal mercato in virtù della decadenza della concessione dovrebbe, in linea di principio, essere considerata proporzionata all’obiettivo della lotta contro la criminalità unicamente nel caso in cui fosse fondata su una sentenza avente autorità di giudicato e riguardante un delitto sufficientemente grave. (...) [Detta legislazione dovrebbe] prevedere un’efficace possibilità di ricorso in sede giurisdizionale nonché un risarcimento del danno subìto nel caso in cui, in un momento successivo, tale esclusione si rivelasse ingiustificata» (par. 81).
Inoltre, la Corte ha osservato che la causa di decadenza dalla concessione prevista dall’art. 23, comma 2, lettera a) dello schema di convenzione aveva l’effetto pratico di escludere dalle nuove gare indette dal decreto Bersani gli operatori che, prima della sentenza Placanica, erano stati sottoposti a procedimenti penali per esercizio dell’attività di raccolta di scommesse senza le necessarie autorizzazioni. Tuttavia, secondo quanto previsto dalla stessa sentenza Placanica, l’Italia non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore che, in violazione del diritto dell’Unione, era stato escluso dalle gare pertinenti (par. 83).
Da ultimo, la Corte ha affermato che l’ipotesi di decadenza prevista dall’art. 23, comma 3, dello schema di convenzione manca di chiarezza riguardo agli obiettivi ed effetti, «i quali potrebbero essere o di impedire che un concessionario commercializzi attivamente nel territorio italiano giochi d’azzardo diversi da quelli per i quali egli detiene una concessione, o di impedire qualsiasi attività transfrontaliera in materia di giochi d’azzardo» (par. 88). Pertanto, una tale ipotesi di decadenza non risponde all’esigenza, prevista dal diritto dell’Unione, che le condizioni e le modalità di una procedura di gara siano formulate in modo chiaro, preciso e univoco (par. 89).
[3] L’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani stabilisce le nuove modalità di distribuzione dei giochi d’azzardo riguardanti, da un lato, gli eventi diversi dalle corse dei cavalli e, dall’altro, le corse dei cavalli. In particolare: – si prevede l’apertura di almeno 7 000 nuovi punti di vendita per i giochi d’azzardo riguardanti gli eventi diversi dalle corse dei cavalli, e almeno 10 000 nuovi punti di vendita per i giochi d’azzardo riguardanti le corse dei cavalli; – il numero massimo di punti di vendita per ciascun comune è fissato in proporzione al numero di abitanti e tenendo conto dei punti di vendita per i quali è già stata rilasciata concessione a seguito delle gare del 1999; – i nuovi punti di vendita devono rispettare una distanza minima da quelli per i quali è già stata rilasciata concessione a seguito delle gare del 1999; – l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, operante sotto l’egida del Ministero dell’Economia e delle Finanze, è incaricata della «definizione delle modalità di salvaguardia» dei titolari di concessioni assegnate all’esito delle gare del 1999.