Motivi facoltativi di non esecuzione del mandato di arresto europeo e principio di non discriminazione in base alla nazionalità
«Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale - Decisione quadro 2002/584/GAI - Mandato d’arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri - Articolo 4, punto 6 - Motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo - Attuazione nel diritto nazionale - Persona arrestata cittadina dello Stato membro di emissione - Mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà - Normativa di uno Stato membro che riserva la facoltà di non esecuzione del mandato d’arresto europeo al caso delle persone ricercate aventi la cittadinanza di tale Stato».
Con la sentenza in esame,[1] la Corte di giustizia, nella composizione della Grande sezione, è tornata a pronunciarsi sulla interpretazione della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.[2] La Cour d’appel d’Amiens (Francia) aveva richiesto una interpretazione dell’art. 4 della decisione quadro - la disposizione che enuncia i motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo - con riferimento, in particolare al motivo di cui al n. 6, in base al quale «se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». La domanda era volta ad accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’art 695-24 del codice di procedura penale francese, che prevedeva la possibilità di rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo nel caso in cui la persona ricercata per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà possedesse la cittadinanza francese e le autorità francesi competenti si impegnassero ad eseguire la pena. La richiesta era stata sollevata dal giudice francese nell’ambito del procedimento relativo all’esecuzione del mandato d’arresto europeo spiccato nel 2006 dal Tribunale di Lisbona nei confronti del sig. Da Silva Jorge, un cittadino portoghese, che nel 2003 lo stesso Tribunale aveva condannato alla pena di cinque anni di reclusione per traffico di stupefacenti. Dal 2009, il sig. Da Silva Jorge era coniugato con una cittadina francese, con la quale risiedeva in Francia e dove lavorava come autotrasportatore con un contratto a tempo indeterminato.
La Corte di giustizia ha in primo luogo ricordato che il sistema istituito dalla decisione quadro si basa sul principio del mutuo riconoscimento; tuttavia, l’obbligo di esecuzione del mandato d’arresto europeo non è assoluto, come chiaramente emerge dall’art. 4 della decisione quadro, che lascia gli Stati membri la facoltà di consentire alle competenti autorità giudiziarie nazionali di decidere se eseguire direttamente nel territorio dello Stato membro di esecuzione del mandato la pena inflitta da un altro Stato membro (par. 30). Venendo, in particolare, al motivo di non esecuzione facoltativa di cui all’art. 4, n. 6, della decisione quadro, la Corte ha sottolineato che la sua ratio va rintracciata nella volontà di «consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui è stata condannata» (par. 32). Nell’attuazione di questo motivo di non esecuzione gli Stati membri godono di un certo margine di discrezionalità, che è giustificato dal fatto che l’obiettivo che ispira quel motivo può essere legittimamente perseguito da uno Stato membro «solamente nei confronti delle persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di integrazione nella società di detto Stato» (par. 33). Proprio per questa ragione, nella sentenza Wolzenburg (causa C-123/08, Raccolta, 2009, p. I-9621, paragrafi 62 e 74), la Corte ha affermato che lo Stato membro di esecuzione può legittimamente subordinare l’applicazione dell’art. 4, n. 6, della decisione quadro alla condizione che il cittadino riguardato dal mandato d’arresto abbia soggiornato legalmente per un certo periodo nel territorio dello Stato membro di esecuzione. Nella sentenza in esame, invece, la Corte di giustizia ha individuato un limite alla discrezionalità degli Stati membri nell’esigenza di rispettare l’art. 18 TFUE, in base al quale «[n]el campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità». Ciò in quanto «alla luce dell’obiettivo segnatamente perseguito dall’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 (..) i cittadini dello Stato membro di esecuzione ed i cittadini di altri Stati membri che risiedono o dimorano nello Stato membro di esecuzione e sono integrati nella società di tale Stato non dovrebbero, in linea di principio, essere trattati diversamente» (par. 40).
In particolare, la Corte di giustizia ha escluso la possibilità per gli Stati membri che prevedono il motivo di non esecuzione di cui all’art. 4, n. 6, della decisione quadro rispetto ai propri cittadini di escludere tout court la possibilità di applicare quello stesso motivo ai cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono da un certo tempo nello Stato membro di esecuzione; ciò in quanto anche tali persone potrebbero presentare dei legami con quest’ultimo Stato tali da giustificare l’esecuzione della pena nel suo territorio (para. 41). Ad esempio, nella già citata sentenza Wolzenburg, la Corte di giustizia ha affermato che una condizione di soggiorno in via continuativa per cinque anni può essere considerata idonea a garantire che la persona ricercata è sufficientemente integrata nello Stato membro di esecuzione, pur non possedendone la cittadinanza. La Corte ha invece escluso la giustificazione addotta dal Governo francese, secondo cui, in base al suo diritto interno attuale, esso poteva impegnarsi ad eseguire sul proprio territorio solo le pene comminate da altri Stati membri a cittadini francesi, non essendo la Francia firmataria né della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, firmata a l’Aja il 28 maggio 1970, né della Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee sull’esecuzione delle condanne penali straniere, ma solo della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, firmata a Strasburgo nel 1983, il cui art. 3, par. 1, lettera a), prevede che un trasferimento per l’esecuzione della parte residua della pena è previsto solo verso lo Stato di cittadinanza della persona condannata. Il governo francese faceva anche notare che la decisione quadro 2008/909/GAI,[3] che mira ad estendere il principio del trasferimento delle persone condannate alle persone residenti in uno Stato membro, non poteva trovare applicazione al caso del sig. Da Silva Jorge, in quanto la richiesta era pervenuta prima del 5 dicembre 2011, ovvero la data entro la quale gli Stati membri dovevano attuare la decisione (cf. gli articoli 28 e 29 della decisione quadro 2008/909/GAI). La Corte ha tuttavia evidenziato che né la Convenzione del 1983 né alcuna altra norma di diritto internazionale obbligano a riservare ai soli cittadini nazionali la possibilità di eseguire nello Stato di cittadinanza la pena inflitta da altro Stato; anzi, la Convenzione consente agli Stati membri definire la nozione di ‘cittadino’, ai fini della sua attuazione, in modo da ricomprendere anche alcune categorie di persone che dimorano o risiedono nello Stato pur non possedendone la cittadinanza (paragrafi 45-48).
Dunque, la Corte di giustizia ha stabilito che «gli Stati membri, qualora traspongano l’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 nel loro ordinamento interno, non possono, pena la lesione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, limitare tale motivo di non esecuzione ai soli cittadini nazionali, escludendo in maniera assoluta e automatica i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel territorio dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dai legami che essi presentano con tale Stato membro» (par. 50). Allo stesso tempo, la Corte ha anche precisato che «[ciò] non implica che lo Stato membro in questione debba necessariamente rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di una persona residente o dimorante in tale Stato, ma, nei limiti in cui essa presenti un grado di integrazione nella società di detto Stato membro paragonabile a quello di un cittadino nazionale, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve poter valutare se sussista un interesse legittimo che giustifichi che la pena inflitta nello Stato membro di emissione sia eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione» (par. 51).
Da ultimo, la Corte ha ricordato che le decisioni quadro non sono idonee a produrre effetti diretti (cf. art. 34, par. 2, lettera b), TUE). Anche rispetto alle decisioni quadro, invece, sussiste l’obbligo di interpretazione conforme da parte del giudice nazionale (par. 53; nello stesso senso si veda la sentenza resa nella causa C‑105/03, Pupino [2005], Raccolta, p. I‑5285, paragrafi 33 e 34), che è dunque tenuto ad interpretare la decisione quadro per quanto più possibile alla luce della sua lettera e del suo scopo. Nel caso di specie, in particolare, la Corte d’appello d’Amiens dovrà tenere in considerazione sia le disposizioni della decisione quadro che «i principi e le disposizioni dell’ordinamento giuridico interno che disciplinano le conseguenze che un giudice è legittimato a trarre da una discriminazione vietata dal diritto nazionale, in particolare quelli che consentono a detto giudice di ovviare a una discriminazione siffatta fino all’adozione, da parte del legislatore, delle misure necessarie all’eliminazione della stessa» (par. 57). Laddove una tale interpretazione risultasse possibile, la Corte d’appello d’Amiens dovrà verificare «se, nel procedimento principale, sussistano tra la persona ricercata e lo Stato membro di esecuzione, sulla base di una valutazione globale degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione di tale persona, legami sufficienti, in particolare familiari, economici e sociali, idonei a dimostrare la sua integrazione nella società di detto Stato, tali per cui essa si trovi effettivamente in una situazione paragonabile a quella di un cittadino nazionale» (par. 58).
[2] G.U. 2002 L 190, p. 1 ss. Sull’interpretazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo, si vedano anche le sentenze nelle cause C‑303/05, Advocaten voor de Wereld,[2007], Raccolta, p. I‑3633, par. 28, Causa C-66/08, Kozłowski [2008], Raccolta, p. I‑6041, paragrafi 31 e 43, C-123/08, Wolzenburg [2009], Raccolta, p. I-9621, par. 56, e C‑261/09, Mantello [2010], non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 35.