L'identificazione e l'esatta collocazione delle autorità indipendenti tra gli organismi pubblici è un argomento che, fin dalla loro istituzione, ha occupato le riflessioni della dottrina e della giurisprudenza italiana.
In venti anni di dibattiti dottrinari e di sentenze, si è ormai giunti a una definizione e classificazione piuttosto precise, benché margini di dubbi e zone d'ombra, in assenza di una legislazione univoca e unica o, peggio, in presenza di tentativi maldestri di codificazione, continuino a essere presenti, tanto da far emergere a livello legislativo quella che è stata definita una "dissociazione fra forma (qualificazione testuale) e sostanza (fisionomia organizzativa)" (così G. Puccini, Il problema dell'identificazione delle autorità indipendenti fra giurisprudenza amministrativa e decreto "salva-Italia, corsivo originale, in www.osservatoriosullefonti, n. 1/2012).
Di recente, si è anche dubitato della loro appartenenza al settore delle pubbliche amministrazioni da includere nel conto economico consolidato.
Il caso prende le mosse dai provvedimenti con cui l'Istat, i sensi dell'art. 1, comma 5, della legge n. 311 del 30 dicembre 2004 e dell'art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009, ha inserito le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità tra i soggetti che compongono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche e il cui bilancio, di conseguenza, rientra nel conto economico consolidato.
Contro una tale decisione, sia l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ricorrevano al Tar del Lazio deducendo che, proprio alla luce delle classificazioni europee che erano state prese come parametro di riferimento dall'Istat per la individuazione degli enti pubblici (Regolamento CE n. 223 del 2009 e SEC95), esse non avrebbero potuto essere considerate tra gli enti soggetti a controllo pubblico. Il Tar accoglieva i ricorsi, contro i quali l'Istat proponeva appello al Consiglio di Stato.
Il supremo giudice amministrativo, contrariamente all'opinione del Tar, con la sentenza del 28 novembre 2012, n. 6014 ha ritenuto che, per verificare se le due autorità debbano essere ritenute parti della pubblica amministrazione, non è necessario ricorrere ai parametri europei, secondo cui sono enti pubblici quegli enti che risultano in posizione di dipendenza, di sostegno finanziario, o di di controllo da parte di un ente pubblico. Se questo fosse il criterio, è evidente che né l'AEEG né l'AGCOM potrebbero appartenere a tale categoria, dal momento che godono di piena autonomia finanziaria e decisionale. Tuttavia, argomenta il Consiglio di Stato, la definizione comunitaria di "unità istituzionale pubblica", che fa leva sul concetto di controllo e finanziamento da parte delle pubbliche amministrazioni, "soccorre qualora non sia evidente che l'organismo esaminato è esso stesso una pubblica amministrazione: diversamente opinando gli stessi organi istituzionali dello Stato ordinamento sfuggirebbero alla definizione dal momento che, per essi, sarebbe difficile configurare un controllo in senso amministrativo, ovvero un sistema di finanziamento eterologo".
Piuttosto, e molto più linearmente, secondo il Consiglio di Stato, le Autorità indipendenti sono già amministrazioni pubbliche in senso stretto, alle quali la legge stessa attribuisce tale connotato, attribuendo ad esempio lo status di pubblici ufficiali ai soggetti che le compongono. Esse, inoltre, svolgono "compiti propri dello Stato", come il potere normativo secondario e il potere sanzionatorio, di ispezione e controllo, "hanno, in conclusione, poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in forza della natura pubblica che deve - necessariamente - essere loro riconosciuta".
Ad avviso del supremo giudice amministrativo, quindi, non rileva che esse, non essendo sottoposte al controllo di un organismo pubblico, non siano riconducibili alla definizione comunitaria di "unità istituzionale pubblica", perché tale definizione va utilizzata residualmente, quando non è possibile ricondurre un ente nella nozione più stretta di pubblica amministrazione, come è invece nel caso delle Autorità indipendenti.
E d'altronde, si conclude, che le autorità amministrative indipendenti siano definite come tali dal legislatore è proprio perché sfuggono al controllo del Governo, che "non può esercitare la tipica funzione di indirizzo e coordinamento nel senso che non può influire sull'esercizio dei poteri tecnico-discrezionali spettanti alle autorità", ma ciò non potrebbe intendersi "come ragione di esonero dalla applicazione della disciplina di carattere generale riguardante le pubbliche amministrazioni".
L'esito del giudizio era forse prevedibile, dal momento che la stessa legge istitutiva delle due autorità (l. n. 481/1995), comunque la si voglia interpretare, assegna loro la qualifica di amministrazione pubblica. Come già detto, non si spiegherebbe, altrimenti, il fatto che l'art. 10 assegna ai loro componenti e funzionari il titolo di pubblici ufficiali, né, più in generale, si spiegherebbe l'assegnazione ad esse di poteri di regolazione, controllo e verifica sicuramente inerenti alla funzione amministrativa, né, infine, si spiegherebbe l'obbligo di cui all'art. 38, lett. b), per gli operatori del settore di versare direttamente alle Autorità i contributi, già ricondotti dalla Corte costituzionale nella tipologia delle entrate tributarie statali (sentenza n. 256/2007).
Tuttavia, la decisione ribalta la precedente sentenza del Tar, segno che l'esatto inquadramento delle Autorità indipendenti nel sistema istituzionale, anche nei loro profili più essenziali come la riconducibilità o meno al novero delle amministrazioni pubbliche, è un esercizio ancora in corso di svolgimento.