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Corte di giustizia (Grande sezione), causa C-112/13, A c. B e altri., sent. 11 settembre 2014 (3/2014)

La Corte di giustizia discute le implicazioni della decisione U-466/11 della Corte costituzionale austriaca sul ruolo della Carta dei diritti fondamentali UE come parametro nel controllo di costituzionalità delle leggi

Il rinvio pregiudiziale sollevato dall’Oberster Gerichtshof (la Corte Suprema austriaca) nel procedimento A c. B e altri ha fornito alla Corte di giustizia l’occasione di pronunciarsi su due interessanti questioni. Da un lato, ha avuto modo di discutere la compatibilità (rectius, incompatibilità) con il diritto UE di alcune implicazioni della decisione del Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale austriaca) del 14 marzo 2012, U-466/11. Dall’altro, la Corte è stata chiamata ad interpretare alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali (sul diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo) il Regolamento n. 44/2001 in materia di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.[1]

Discostandosi dalla giurisprudenza precedente, nella decisione U-466/11 il giudice delle leggi austriaco ha affermato che il suo controllo di costituzionalità delle leggi nazionali si estende anche alle compatibilità con le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sono direttamente applicabili e corrispondono a diritti costituzionalmente garantiti in Austria. La giustificazione del revirement è stata individuata nel principio di equivalenza, poiché i diritti della CEDU possono essere utilizzati come parametri nell’ambito del controllo di costituzionalità. Per giustificare il diverso approccio riservato alla Carta rispetto ai principi generali, il Verfassungsgerichtshof ha invece fatto riferimento al grado di maggiore specificità della prima rispetto ai secondi. Nella stessa decisione, la Corte costituzionale austriaca ha anche “interpretato” l’obbligo delle giurisdizioni nazionali di ultima istanza (ex art. 267 TFUE) di rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia per chiarire dubbi sul significato di norme UE stabilendo che tale obbligo non sussiste quando il diritto della Carta rilevante corrisponde ad un diritto costituzionalmente garantito in Austria.[2]

Il giudice a quo nel procedimento A. c. B e altri sottolineava che, per effetto del predetto revirement della Corte Costituzionale, i giudici ordinari venivano ad essere privati del potere/dovere di disapplicare una disposizione di legge in contrasto con la Carta, dovendo invece rivolgersi in via incidentale al Verfassungsgerichtshof per ottenere l’abrogazione con effetto erga omnes della legge in questione. Si domandava pertanto se una tale implicazione fosse imposta dal principio di equivalenza quale operante nell’ordinamento UE.

Richiamando ripetutamente la sentenza Simmenthal,[3] la Corte di giustizia ha ribadito l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di una disposizione o prassi nazionale in forza della quale al giudice nazionale incaricato di dare applicazione alle norme del diritto UE viene negata la possibilità di disapplicare le norme nazionali in contrasto con le prime.[4] In particolare, quando il diritto interno prevede che la constatazione dell’incostituzionalità di una norma è soggetta a ricorso obbligatorio davanti alla Corte costituzionale, non può comunque essere pregiudicata la facoltà – o eventualmente l’obbligo – del giudice nazionale di sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale sull’interpretazione o la validità di una norma UE, “in qualunque fase del procedimento riten[ga] appropriata, e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo della costituzionalità, [nonché] di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria e di disapplicare, al termine del procedimento incidentale, una disposizione legislativa nazionale contraria al diritto dell’Unione.”[5]

Invero, come ricordato dalla Corte di giustizia, il Verfassungsgerichtshof aveva escluso che dal proprio revirement derivasse una compressione dei poteri/doveri del giudice nazionale appena descritti.[6] Ciononostante, un meccanismo quale quello previsto dal giudice delle leggi austriaco potrebbe determinare l’abrogazione per contrasto con la Costituzione nazionale (in particolare, di una norma della stessa che garantisce un diritto fondamentale previsto anche dalla Carta) di una legge che si limita a trasporre “le disposizioni imperative di una direttiva”, in tal modo privando la Corte di giustizia della possibilità di verificare la validità della direttiva alla luce della Carta.[7] In un caso del genere, pertanto, la giurisdizione nazionale di ultima istanza deve sollevare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia vertente sulla validità della direttiva, e poi trarre le conseguenze che derivano dalla pronuncia di quest’ultima, a meno che il giudice che ha dato avvio al controllo in via incidentale di costituzionalità non abbia già investito della questione – che ha carattere preliminare – la Corte di giustizia.[8]

La Corte ha poi richiamato la propria affermazione nella sentenza Melloni secondo cui, “quando il diritto dell’Unione riconosce agli Stati membri un margine di discrezionalità nell’attuazione di un atto di diritto dell’Unione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali assicurare il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione nazionale, purché l’applicazione degli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione”.[9] La Corte sembra contrapporre questa ipotesi a quella precedentemente considerata in cui la legge si limita a trasporre “disposizioni imperative” di una direttiva. Tuttavia, se il parametro che non deve essere compromesso è il livello di tutela garantito dalla Carta nell’interpretazione fatta dalla Corte di giustizia, a questa seconda ipotesi non sembra collegarsi uno scenario completamente diverso. Il giudice di ultima istanza dovrà comunque – ove la questione non sia già stata chiarita – interrogare la Corte di giustizia circa il livello di tutela previsto dalla Carta.

Ricordando che il principio di equivalenza impone agli Stati membri di assicurare che “le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna”, la Corte ha quindi escluso che detto principio possa dispensare i giudici nazionali dal rispetto dell’art. 267 TFUE.[10]

La disposizione nazionale della cui compatibilità con la Carta il giudice a quo dubitava era la norma del codice di procedura civile secondo cui gli atti del curatore del convenuto in absentia, nominato dal giudice nel caso in cui il domicilio del convenuto risulti sconosciuto, equivalgono a quelli di un legale rappresentate dotato di mandato. Nel caso di specie, il curatore del convenuto in absentia di A era comparso dinanzi al giudice adito da B chiedendo il rigetto del ricorso, senza contestare la competenza internazionale. Successivamente, un legale cui A aveva conferito mandato era intervenuto eccependo la competenza internazionale del giudice adito. Quest’ultimo accoglieva l’eccezione, dopo aver ritenuto che la comparsa del curatore del convenuto in absentia non rileva ai sensi dell’art. 24 del Regolamento n. 44/2001, in materia di proroga della competenza, secondo cui “il giudice di uno Stato membro davanti al quale il convenuto è comparso è competente”. All’opposta conclusione giungeva, invece, il giudice dinanzi al quale B. proponeva appello. Di fronte all’Oberster Gerichtshof, ciascuna delle parti si richiamava all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE per evidenziare come la tesi della controparte violasse il proprio diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva ai sensi di quella disposizione. Da un lato, A sosteneva che equiparare la comparsa del curatore del convenuto in absentia a quella del convenuto ai fini dell’art. 24 del Regolamento si traduceva in una violazione del suo diritto di difesa. Dall’altro, B evidenziava che la nomina del curatore del convenuto in absentia ed il riconoscimento allo stesso di un ampio potere di rappresentanza era funzionale alla tutela del suo diritto ad un ricorso effettivo.

La Corte di giustizia doveva, quindi, interpretare l’art. 24 del Regolamento tenendo conto delle contrapposte esigenze di tutela delle parti in una situazione quale quella di A e B, ciascuna delle quali chiamava in causa un diverso aspetto del diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 47 della Carta.

Dopo aver ricordato l’esigenza di interpretare le disposizioni del diritto UE alla luce della Carta, la Corte ha rilevato che “l’insieme delle disposizioni del regolamento n. 44/2001 esprime l’intenzione di garantire che, nell’ambito degli obiettivi perseguiti da quest’ultimo, i procedimenti che portano all’adozione di decisioni giurisdizionali si svolgano nel rispetto dei diritti della difesa sanciti dall’art. 47 della Carta”.[11] La norma sulla proroga tacita della competenza di cui all’art. 24 del Regolamento è giustificata dalla scelta volontaria che il convenuto manifesta comparendo dinanzi al giudice adito senza contestarne la competenza, e difatti si applica anche nel caso in cui il giudice sia adito in violazione delle norme dello stesso regolamento. Ciò presuppone, evidentemente, che egli sia venuto a conoscenza del giudizio instaurato nei suoi confronti, circostanza che, invece, non si verifica nel caso di comparsa del curatore del convenuto in absentia. In un caso siffatto, il convenuto non vede adeguatamente tutelato il proprio diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, poiché non può fornire al curatore “tutte le informazioni necessarie a verificare la competenza internazionale del giudice adito e a consentirgli di opporsi in modo efficacie a detta competenza oppure di accettarla con cognizione di causa”.[12]

La Corte ha poi rigettato la tesi di B secondo cui, in un caso come quello di specie, l’equiparazione tra gli atti del curatore del convenuto in absentia e quelli di un legale rappresentante con mandato dovrebbe essere accettata per evitare una situazione di diniego di giustizia. In particolare, ha evidenziato la differenza rispetto alle particolari circostanze che venivano in rilevo nel caso Hypoteční banka, in cui la Corte ha affermato che “il Regolamento n. 44/2001, interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta, non osta a un procedimento contro un convenuto in absentia nel quale quest’ultimo sia stato privato della facoltà di difendersi efficacemente, [poiché] detto convenuto ha la possibilità di far rispettare i diritti della difesa opponendosi, in forza dell’articolo 34, punto 2, di tale Regolamento, al riconoscimento della decisione pronunciata nei suoi confronti.” Una tale possibilità presuppone la contumacia del convenuto e, quindi, che egli sia effettivamente a conoscenza del giudizio. Ciò non si verifica quando una disposizione nazionale equipara gli atti di procedura compiuti dal curatore del convenuto in absentia a quelli compiuti dal convenuto stesso. Una norma come quella del codice di procedura austriaco, quindi, non stabilisce un giusto equilibrio tra i diritti a un ricorso effettivo e i diritti della difesa, e non può ritenersi compatibile con l’art. 24 del Regolamento n. 44/2001, interpretato alla luce dell’art. 47 della Carta.


[1] G.U. 2001 L 12, p. 1.

[2] Per un’ analisi della decisione U-466/11, si rimanda a R. Klaushofer, R. Plamstorfer, “Austrian Constitutional Court uses Charter of Fundamental Rights of European Union as Standard of Review: Effects on EU Law”, European Public Law, 2013(1), p. 1 ss.

[3] Sent. 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, in Raccolta, 629.

[4] A c. B e altri, cit., paragrafi 38-40.

[5] Ibid., par. 32, nonché sent. 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e 189/10, Melki e Abdeli, in Raccolta, I-5667, (su quest’ultima, si veda la scheda in questo Osservatorio.

[6] Cfr. A c. B e altri, cit., par. 32, con riferimento al par. 42 della decisione U-466/11,

[7] A c. B e altri, cit., par. 42, e Melki, par. 55.

[8] Ibid., rispettivamente par. 43 e par. 56.

[9] A c. B e altri, cit., par. 44, e sent. 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Melloni, non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 60 (su quest’ultima si veda anche la scheda in questo Osservatorio

[10] A c. B e altri, cit., par. 45.

[11] A c. B e altri, cit., par. 51, nonché sent. 17 novembre 2011, causa C-327/10, Hypoteční banka, in Raccolta, paragrafi 48 e 49.

[12] A c. B e altri, cit., paragrafi 54 e 55.

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