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GIURISPRUDENZA AEEGSI e CONSOB (2/2015)

AEEGSI: il Consiglio di Stato sottolinea il particolare rilievo rivestito, dal punto di vista sistematico, dal principio di legalità in senso procedimentale in ordine alle concrete modalità di esercizio della potestà regolamentare dell’Autorità.

Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con la sentenza 20 gennaio 2015, n. 1532, ha avuto modo di sottolineare il particolare rilievo rivestito, dal punto di vista sistematico, dal c.d. principio di legalità in senso procedimentale in ordine alle modalità di esercizio della potestà regolamentare dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (AEEGSI).

Il giudizio aveva riguardo ad una serie di deliberazioni di natura normativa dall’AEEGSI in materia di disciplina  degli sbilanciamenti di energia elettrica e di contenimento degli oneri di dispacciamento: deliberazioni che l’Autorità, motivando con la sussistenza in casu di ragioni di “straordinaria urgenza”, aveva adottato senza il previo esperimento della consultazione pubblica.

Si rammenti appunto in proposito come, ai sensi dell’art. 4, co. 4, del regolamento adottato dall’Autorità in materia di disciplina della partecipazione ai procedimenti di regolazione della medesima (deliberazione n. 46/2009), sia possibile procedere in assenza di previa consultazione solo “quando essa è incompatibile con esigenze di straordinaria urgenza, emergenza o segretezza”.

Orbene, al riguardo il Consiglio di Stato si preoccupa di ribadire ancora una volta come la previsione dell’obbligo della previa consultazione pubblica serva indefettibilmente a compensare, in termini di legalità in senso procedimentale, il deficit di legalità in senso sostanziale tipicamente sussistente nella disciplina legislativa della potestà regolamentare dell’Autorità, e sicuramente riscontrabile, del resto, anche nel caso di specie.

In quest’ottica, l’art. 4, co. 4, della deliberazione n. 46/2009, sopra richiamato andrebbe “inteso quale disposizione di centrale di rilievo sistemico volta a presidiare - con valenza, per così dire, di ‘chiusura ‘ – le stringenti condizioni di legittimità dell’esercizio di un potere regolatorio del tutto peculiare nell’ambito dell’ordinamento giuridico vigente”.

Alla luce di siffatti “parametri sistematici” di rango costituzionale, dunque, si ritiene che la previsione dell’art. 4, co. 4, sopra testualmente riportata, inerente all’eventuale sussistenza di “esigenze di straordinaria urgenza”, debba essere “interpretata in modo del tutto restrittivo (ed intesa quale previsione eccezionale prima ancora che lato sensu derogatoria)”.

Di qui, la necessità di una congrua e puntuale motivazione sul punto da parte dell’Autorità, e l’insufficienza, ai fini di una valida giustificazione del mancato previo esperimento della consultazione, di una “mera affermazionedi generiche ragioni di ‘straordinaria urgenza’”.

Nella medesima prospettiva poi, tendente a sottolineare la peculiare valenza sistematica della previsione dell’obbligo della previa consultazione pubblica,  nella sentenza in esame si nega altresì l’ammissibilità di qualunque tentativo volto ad affermare la validità di atti normativi come quelli in questione  attraverso “un percorso logico di carattere controfattuale (in qualche misura assimilabile al modello concettuale del carattere non invalidante dei vizi meramente procedimentali di cui all’articolo 21-octies  della l. 241 del 1990)”: di qualunque tentativo volto cioé a dimostrare che, anche se detto obbligo procedurale fosse stato concretamente osservato, ciò non avrebbe tuttavia in alcun caso portato all’adozione di atti normativi contenutisticamente diversi da quelli adottati.

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CONSOB: secondo il Consiglio di Stato il regolamento del 2005 recante la disciplina del procedimento sanzionatorio in materia di market abuse è soggetto alla giurisdizione amministrativa ed è illegittimo, ma non è autonomamente impugnabile in quanto sprovvisto di effetti immediatamente e direttamente lesivi.

Con due sentenze “gemelle”, la n. 1595 e la n. 1596 del 2015, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunziarsi su altrettante sentenze del Tar Lazio, Roma, II Sezione, le quali, a loro volta si erano pronunziate su ricorsi proposti avverso il regolamento Consob n. 15086 del 21 giugno 2005, recante la disciplina del procedimento sanzionatorio in materia di market abuse: regolamento, peraltro, oggi non più in vigore, in quanto abrogato e sostituito dal successivo regolamento approvato in materia con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013.

Le due pronunzie del Consiglio di Stato meritano di essere segnalate per una serie molteplice di motivi.

In primo luogo, giova rilevare come in esse si sia affermata la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione amministrativa.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, la giurisdizione ordinaria, secondo quanto deciso in materia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162/2012, sussiste in relazione alle sanzioni amministrative inflitte dalla Consob, in quanto tipicamente destinate ad incidere su diritti soggettivi.

Diversamente, secondo il Supremo consesso amministrativo, oggetto dei giudizi qui considerati non sono sanzioni amministrative, bensì “l’atto di natura regolamentare con il quale la Consob […] ha disciplinato il procedimento sanzionatorio”, esercitando un potere autoritativo di natura tipicamente discrezionale, rispetto al quale sussistono tipicamente posizioni di interesse legittimo.

Ed ancora: “Nel caso di specie il regolamento non viene contestato per i vizi riflessi che dalla sua illegittimità posso derivare sulla sanzione (non ancora applicata del resto), ma è oggetto di una immediata e diretta  contestazione sul presupposto che la sua esistenza arrechi un vulnus a situazioni giuridiche che assumono la consistenza di interessi legittimi”.

In secondo luogo, vale la pena osservare come il problema della legittimità del regolamento in questione sia stato affrontato, nelle sentenze in esame, attraverso il raffronto fra la normativa dettata dal medesimo e quelle risultanti da una pluralità di fonti di diversa natura.

Innanzitutto, si è trattato del diretto approfondito raffronto con la normativa della CEDU in materia, e segnatamente con l’art 6, par. 1, della Convenzione concernente il diritto ad un equo processo, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Alla luce di tale raffronto, peraltro, il Consiglio di Stato non ha ritenuto sussistere nel regolamento impugnato profili di invalidità.

La normativa regolamentare è stata poi altrettanto direttamente raffrontata con i principi costituzionali in materia di giusto processo, ed anche in questo caso dal raffronto non è scaturita alcuna affermazione di invalidità di tale normativa.

Infine, il parametro di raffronto è stato rappresentato dalla disciplina legislativa nazionale del procedimento sanzionatorio contenuta negli artt. 187-septies e 195 del T.U.F., nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 62/2005.

In questo caso peraltro, a differenza che in quelli precedenti, dal raffronto è scaturita una valutazione di difformità, ritenendosi che la disciplina regolamentare del procedimento sanzionatorio non assicuri il rispetto dei principi del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti espressamente richiamati da quella legislativa. Valutazione di difformità che si noti, è stata esplicitamente estesa dal Consiglio di Stato, sia pur soltanto incidenter tantum, alla nuova normativa dettata in materia dal nuovo regolamento Consob del 2013, in quanto riproduttiva dei medesimi aspetti di difformità rispetto al dettato legislativo riscontrati in quella precedente del 2005.

In terzo e ultimo luogo, si ritiene che, comunque, il regolamento Consob in questione non sia suscettibile di essere autonomamente impugnato dinanzi al giudice amministrativo per violazione delle regole sul giusto procedimento.

Ad avviso del Consiglio di Stato infatti, nel caso di specie, non essendo stata concretamente inflitta alcuna sanzione, e non essendosi quindi attualizzata alcuna lesione, verrebbe a mancare una fondamentale condizione dell’azione quale “l’interesse al ricorso, che richiede l’attualità delle lesione”.

E merita altresì riportare testualmente quanto concluso sul punto nelle sentenze in esame: “Nonostante la crescente importanza assunta (sia a livello nazionale che sovranazionale) dal principio del giusto procedimento, deve, tuttavia, escludersi che la pretesa al c.d. ‘giusto procedimento’ sia una pretesa giuridicamente rilevante e autonomamente azionabile in giudizio a prescindere e ancor prima dell’emanazione del provvedimento sanzionatorio”.

Osservatorio sulle fonti

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