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La Corte ritorna sulla necessità dell'intesa (anche al tempo della crisi) con le Regioni autonome (2/2015)

Sentenza n. 82/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 15/05/2015 – Pubblicazione in G. U. 20/05/2015 n. 20

Motivo della segnalazione

Con sette ricorsi la Regione autonoma Trentino-Alto Adige, la Provincia autonoma di Trento, la Regione autonoma Valle d'Aosta, la Regione siciliana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione autonoma Sardegna e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.

La Corte ha, in questa sentenza, esaminato i riuniti ricorsi in base alle censure della Regione Valle d'Aosta e Regione siciliana, uniche a non rinunciare al ricorso (le altre ricorrenti hanno medio tempore stipulato appositi accordi con lo Stato).

L'art. 28 prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui; che le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino, parimenti a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio. A tale concorso è previsto che si applichino le procedure di cui all'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, ovvero «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi» (comma 1). Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo complessivamente corrispondente all'anzidetto concorso sia accantonato, in misura proporzionale alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.

Per la Regione Valle d'Aosta, «il censurato comma 3 violerebbe, in primo luogo, il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione, in quanto definisce unilateralmente l'assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione; in secondo luogo, gli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e della relativa normativa di attuazione [...], in quanto lede la particolare autonomia finanziaria, anche con riguardo all'ambito locale, della Regione autonoma, senza rispettare il metodo dell'accordo e determinando l'immediato accantonamento di somme spettanti alla stessa Regione; in terzo luogo, il principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost., in quanto non enuncia i criteri in base ai quali è determinata la misura del contributo dovuto dalla Regione autonoma e dai Comuni valdostani». Inoltre, «[i]l rinvio operato dall'art. 28, comma 3, alla futura emanazione delle norme di attuazione statutaria di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, non sarebbe una garanzia sufficiente, dal momento che il termine di trenta mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del 2009, originariamente previsto per l'adozione delle norme anzidette, è stato abrogato dal comma 4 del censurato art. 28» (punto 4.1. del Cons. in dir.).

La stessa ricorrente ha poi censurato l'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, «il quale, dopo aver riservato all'erario, per cinque anni, le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge, dispone che con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze siano stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso apposita contabilizzazione. La disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della l. cost. n. 4 del 1948, nonché con l'art. 8 della legge n. 690 del 1981 e, altresì, con il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in particolare in quanto non stabilisce che l'apposito decreto sia emanato previa intesa con il Presidente della Giunta regionale» (ivi).

La Regione siciliana ha impugnato gli stessi artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, ritenendoli violare, in primo luogo, l'art. 43 dello statuto speciale, che demanda la determinazione delle norme per la propria attuazione a una commissione paritetica; in secondo luogo, «il principio di leale collaborazione, come espresso dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, il quale prevede un tavolo di confronto per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome» (punto 4.2. del Cons. in dir.).

La Regione siciliana ha censurato anche sotto altro profilo l'art. 28, «il quale, dopo aver previsto, al comma 2, l'applicabilità anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dell'aumento dell'aliquota di base dell'addizionale IRPEF, impone alle suddette autonomie speciali di assicurare il già descritto concorso alla finanza pubblica di cui al comma 3, con il pure già descritto accantonamento dell'importo complessivo a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali; e precisa, sempre al comma 3, ultimo periodo, che per la sola Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale conseguente all'applicazione dell'incrementata aliquota di base dell'addizionale IRPEF».

Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni si porrebbero in contrasto con il principio di leale collaborazione, con gli artt. 17, primo comma, lettera b), 36 e 37 dello statuto speciale e con le relative norme di attuazione in materia finanziaria.

Viene altresì impugnato, per violazione degli stessi parametri ad eccezione dell'art. 37 dello statuto speciale, l'art. 28, comma 6, nella parte in cui prevede l'accantonamento delle somme spettanti alla Regione siciliana a titolo di Fondo sanitario nazionale, per un periodo non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio, subordinandone l'erogazione alla verifica positiva degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente. Infine, la Regione siciliana ha censurato i commi da 7 a 10 dell'impugnato art. 28, i quali prevedono una riduzione del finanziamento dello Stato ai Comuni e alle Province ricompresi sia nel territorio delle Regioni ordinarie, sia nel territorio della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna, per gli anni 2012 e successivi.

Ad avviso della Regione siciliana, sarebbe violato il principio di leale collaborazione, in quanto gli importi delle descritte riduzioni non sarebbero stati previamente quantificati, né si sarebbe tenuto conto delle peculiari condizioni economiche della Regione siciliana e degli enti locali del suo territorio.

La Corte dichiara anzitutto inammissibile la doglianza della Regione siciliana sull'intero testo degli artt. 28 e. 48 del d.l. n. 201 del 2011, risultando «generica, perché rivolta indiscriminatamente contro l'intero contenuto normativo di entrambi questi articoli, i quali sono composti da una pluralità di proposizioni normative e solo in parte riguardano la Regione siciliana» (punto 5. del Cons. in dir.). La Corte dichiara altresì inammissibile anche la doglianza sull'art. 28, comma 3, ultimo periodo, del d.l. n. 201 del 2011, sia per insufficienza della motivazione che per incompleta ricostruzione del quadro normativo (punto 5. del Cons. in dir.).

Non fondate neppure quelle aventi ad oggetto l'art. 28, comma 3: la Corte ha «costantemente affermato che di regola i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell'esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale» (da ultimo, nella sentenza n. 46 del 2015). Del resto, gli «obiettivi programmatici del patto di stabilità e crescita non possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci d'imporsi all'intero sistema delle autonomie [...] In tale prospettiva, questa Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 19 del 2015, specificamentre in merito a disposizioni (art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011) che, come quelle impugnate nel presente giudizio, determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna autonomia speciale. Esaminando le censure rivolte a queste disposizioni, in quanto il contributo ivi previsto era stato determinato in via unilaterale dallo Stato, la Corte ha attribuito un preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri; tempestività che non può essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di avere completato l'iter di negoziazione con ciascun ente territoriale» (punto 7.4. del Cons. in dir.).

Quindi, pur se la «Corte non ha mancato di sottolineare che in riferimento alle Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la via dell'accordo, espressione di un principio generale che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali; è altresì vero, tuttavia, che tale principio non è stato recepito dagli statuti di autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio – o dalle norme di attuazione degli stessi», di talché esso può essere derogato dal legislatore ordinario (ivi). Appare quindi chiaro che «lo Stato ha stabilito la misura del contributo richiesto alle autonomie speciali, nonché ai Comuni ricompresi nel territorio di alcune Regioni speciali, nell'adempimento della propria funzione di coordinamento della finanza pubblica e nell'esercizio della relativa competenza legislativa» (punto 7.4. del Cons. in dir.). La Corte precisa comunque che «nell'attuazione delle previsioni sopra richiamate deve essere rispettato il principio di leale collaborazione, il quale richiede un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l'autonomia finanziaria delle Regioni con l'indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche» (ivi).

Anche la censura dell'art. 28, comma 6, oggetto di impugnazione da parte della sola Regione siciliana, ad avviso della quale le somme che le spettano a titolo di Fondo sanitario nazionale dovrebbero giungere immediatamente nella sua disponibilità e non dovrebbero restare accantonate in bilancio, viene dichiarata infondata. Infatti, l'accantonamento di cui la Regione lamenta l'illegittimità costituzionale «non è stato dunque introdotto dal censurato art. 28, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, ma era già previsto dal citato art. 77-quater del d.l. n. 112 del 2008 come convertito. Neppure gli adempimenti la cui positiva verifica è condizione per l'erogabilità delle somme spettanti alla Regione siciliana a titolo di fondo sanitario nazionale sono stabiliti nella disposizione impugnata» (punto 8. del Cons. in dir.).

Infine, sono dichiarate infondate le questioni sollevate dalla Regione siciliana nei confronti dei commi da 7 a 10 dell'art. 28, di riduzione del finanziamento dello Stato ai Comuni e alle Province anche delle Regioni autonome: la ricorrente «lamenta che la riduzione dei finanziamenti, operata in via unilaterale dallo Stato, sia di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni, anche alla luce delle peculiari condizioni economiche della Regione e dei suoi enti locali. Tuttavia, a supporto di tale circostanza la ricorrente non fornisce alcun elemento che dimostri in concreto che l'intervento normativo abbia dato luogo ad una insufficienza complessiva dei mezzi finanziari a disposizione» (punto 9. del Cons. in dir.). Del resto, «le riduzioni di cui ai commi da 7 a 10 del censurato art. 28 hanno interessato anche i fondi destinati a finanziare gli enti locali delle Regioni ordinarie. In relazione alle altre Regioni ad autonomia speciale, non può considerarsi irragionevole che la riduzione riguardi solo i Comuni e le Province ricompresi nel territorio delle due Regioni isolane: infatti, solo in queste, tra tutte le autonomie speciali, la finanza degli enti locali riceve tuttora contributi a carico dello Stato» (ivi).

Piuttosto, viene dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, rubricato «clausola di finalizzazione». In virtù di tale articolo, «sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale». Ai sensi del secondo periodo dello stesso comma 1, un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, del quale la legge di conversione ha prescritto la trasmissione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, stabilisce le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso una contabilizzazione separata.

In particolare, in «riferimento al suddetto art. 48, la Regione autonoma Valle d'Aosta censura il comma 1, secondo periodo, lamentando che la disposizione impugnata non ha rispettato le condizioni previste dall'art. 8, primo comma, della legge n. 690 del 1981, il quale consente che maggiori entrate erariali siano riservate allo Stato qualora esse siano destinate per legge alla copertura di nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale, a condizione che il maggior gettito riservato all'erario sia «determinato per ciascun esercizio finanziario con decreto dei Ministri delle finanze e del tesoro, d'intesa con il presidente della giunta regionale»; tale intesa, si deduce, non sarebbe prevista dal censurato art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito» e «[n]eppure in sede attuativa si è verificata tale intesa». Del resto, «da tempo la giurisprudenza costituzionale ha chiarito la differenza tra un semplice onere di informazione da parte dello Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle Regioni, e la vera e propria intesa, la quale costituisce «una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione è giuridicamente imputata e quello la cui volontà deve concorrere alla decisione stessa» (sentenza n. 337 del 1989; in tal senso, sentenza n. 116 del 1994). Come questa Corte ha recentemente ribadito nella sentenza n. 65 del 2015, in relazione all'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 27 del 2012, la normativa di attuazione dello statuto della Regione autonoma Valle d'Aosta richiede l'intesa con il Presidente della Regione ai fini dell'adozione della determinazione ministeriale per la quantificazione delle maggiori entrate, riservate allo Stato, rivenienti nel territorio della Regione autonoma. Pertanto, ferma restando la spettanza sostanziale del maggiore gettito così riservato allo Stato, il vizio qui accertato risiede esclusivamente nella mancata previsione di un'intesa con il Presidente della Giunta regionale in merito al provvedimento tecnico con il quale si quantifica l'esatto ammontare di tale gettito, in ordine a quanto percepito nel territorio della Regione autonoma Valle d'Aosta» (punto 10. del Cons. in dir.).

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